Il culto dei ‘Ramara’ a Troina

Troina. Sono molti i troinesi che, a malincuore, sono andati via dal loro paese a cercare lavoro all’estero o in una delle città del Nord d’Italia economicamente sviluppate. Il distacco dalle persone care e dai luoghi familiari non è senza dolore per i nostri emigrati, che ricordano con nostalgia la loro casa e la loro terra natale. Sono la sincera e profonda devozione per San Silvestro, monaco basiliano e patrono di Troina, e le feste in suo onore che tengono vivo negli emigrati il ricordo del loro paese d’origine e a rendergli più sopportabile la nostalgia, una parola italiana di derivazione greca che significa dolore per il ritorno. Un lavoratore emigrato in Germania, che ha imparato molto bene il tedesco, ci ha spiegato che la parola tedesca “heimweh”, che significa mal del paese, è la più adatta ad esprimere i sentimenti che provano gli emigrati. Heim – continuava a spiegarci questo nostro concittadino – è il luogo popolato da persone amate, dove ci sente protetti, luogo al quale tornare, spazio-tempo a cui si appartiene, storia-vissuto di cui si partecipa pienamente. Ci siamo ricordati di questa definizione leggendo le lettere di due emigrati, che ci hanno voluto confidare i sentimenti che provano in occasione del IX Centenario della nascita del santo patrono di Troina di cui sono devotissimi. Andrea Vinci aveva 20 quando, nel 1980, se ne andò a Milano. Andrea ne ha fatta di strada: oggi gestisce una solida azienda di installazione di impianti di condizionamento d’aria che opera a Milano ed in molte altre città della Lombardia. Andrea ha Troina nel cuore: “I colori, gli odori, i suoni, le luci che ho vissuto nella mia infanzia e nelle mia adolescenza a Troina hanno impresso nella mia anima una traccia indelebile, che nostalgicamente spesso ripercorro nei momenti di riposo”. Ma i ricordi più intensi che Andrea conserva sono quelli dei festeggiamenti di San Silvestro: “Provavo invidia ed ammirazione per i Ramara quando li vedevo partire in pellegrinaggio, immaginando la fatica del loro viaggio di un paio di giorni a piedi per senieri impervi sui Nebrodi e l’atmosfera di devozione e sacralità che dona una pace interiore impagabile”. Andrea ricorda con commozione la sfilata dei Ramara per le vie del paese e l’uscita della Vara: “Oggi che vivo a Milano, tutto questo mi manca”. Anche per Antonio Cortese, che dal 1992 vive e lavora e Pavia, il ricordo della festa dei Rami in onore d San Silvestro è il legame più forte con la sua Troina. Perché si diventa Ramaro? E’ questa la domanda che si pone Antonio ed alla quale si dà questa risposta: il Ramaro è colui che accetta di darsi in sacrificio in cambio di una grazia, un miracolo che gli possa cambiare la vita o quanto meno migliorare una condizione di disagio, di sofferenza e di dolore. Il Ramaro, che riassume i tratti più salienti del carattere del troinese, è la metafora dell’uomo che lascia, per un certo periodo di tempo o per tutta la vita, ogni sua comodità, la sua famiglia e le cose più care per abbandonarsi al destino che il buon Dio gli riserva. Nel faticoso pellegrinaggio dei Ramara gli emigrati vedono rispecchiata la loro esperienza di vita e questo spiega il motivo per cui della festa dei Rami conservano un ricordo indelebile che li lega fortemente a San Silvestro ed al loro paese d’origine.

Silvano Privitera