Unità d’Italia a Troina: Niente rimpianti per il passato ma delusione per il nuovo

Troina. Ai troinesi di oggi non dispiace che si festeggi il 150° dell’Unità d’Italia. Ma si può dire la stessa cosa per il troinesi della fine dell’800 e l’inizio del 900 per il 50° dell’Unità d’Italia? I troinesi di allora non avevano nostalgia dei Borboni, ma non si può dire che fossero contenti del nuovo stato sabaudo. Nel febbraio del 1898, i contadini troinesi, spinti dalla fame, si rivoltarono contro i grandi proprietari terrieri e si scontrarono con la sanguinosa reazione del nuovo stato. Quella rivolta contadina, che diede il via a quella serie di sommosse in molte parti d’Italia che si conclusero con la rivolta di Milano del maggio 1898 soffocata nel sangue dal generale Bava Beccaris, fu la manifestazione più clamorosa della delusione dei ceti popolari troinesi per il nuovo stato. In un certo senso, i troinesi di allora ebbero la sensazione che gli ideali del Risorgimento fossero stati traditi. “Legga quello che scriveva il maestro Forti Giuliano sul periodico L’Eco dei Monti, che tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 si pubblicò a Nicosia, per farsi un idea di quello che pensavano del nuovo stato i troinesi vissuti subito dopo l’unificazione dell’Italia sotto la guida dei Savoia”, ci ha consigliato il geom. Donato Pettinato che, da quando è in pensione, passa gran parte del suo tempo a leggere libri e documenti di storia locale. Leggendo gli articoli scritti dal maestro Foti-Giuliano, che ci ha suggerito il geom. Donato Pettinato, non si può dire che i troinesi di 110 anni fa fossero contenti del nuovo stato sabaudo, anche se non avevano alcun rimpianto per il passato regime. Nei suoi articoli comparsi su “L’eco dei monti”, il maestro Foti-Giuliano scriveva che a Troina il malcontento era generale: “Si lamentano i contadini, gli artigiani, i professionisti e i proprietari. I contadini, dopo aver visto distruggere i vigneti dalla fillossera e dopo essere stati sopraffati da una sequela di annate scarse, dicono che la terra qui più non dà e pigliano la via dell’America. Gli artigiani, cui manca spesso il lavoro e lo scarso lucro non basta al mantenimento delle famiglie alle esigenze della vita moderna, imprecano anch’essi, e molto, scoraggiati partono in cerca di un soggiorno migliore. I proprietari, che tutto ricavano dalla terra, non trovano, anche con diminuzione di prezzo, a fittare le loro tenute ed hanno abbandonato l’unica industria che qui esisteva, la pastorizia. Il commercio è nullo”.

Silvano Privitera