Ad Enna il piano NON E’ regolatore

Il Piano regolatore di una città, altrove diventato piano di governo del territorio perché prodotto da una disciplina che oramai si definisce appunto come governo del territorio (anche se noi preferiamo l’originaria definizione di regolatore perché frutto dell’urbanistica) è chiamato a fissare le regole per mantenere il carattere della città come bene pubblico e nello stesso tempo bilanciare, con soluzioni sostenibili dal punto di vista ambientale ed economico, gli interessi che alimentandosi esclusivamente delle rendita urbana (rappresentata da chi esercita quelle fondiaria) sono la causa di città e spazi invivibili.

Forse abbiamo dato la risposta a tutto. Aver privato la città di Enna del piano regolatore può essere letto come un atteggiamento che favorisce esclusivamente quella rendita fondiaria cavalcata senza scrupoli da un’imprenditoria edilizia spesso ignorante ed arrogante che finisce col determinare le linee di espansione di Enna, lasciata completamente libera dall’assenza di linee di indirizzo e di intervento del potere pubblico locale.

Ecco che abbiamo la configurazione della città bassa – S. Anna – come una “città morta” in cui vi è l’assenza di qualsiasi elementare regola di sviluppo e di coordinamento nelle politiche urbanistiche locali – se per caso ve ne fossero esistenti.
Mentre la città alta – Enna – avrebbe potuto conservare l’identità di “città viva” – che oggi sarebbe stata spendibile in politiche di valorizzazione turistica – rischia di diventare anch’essa “città morta” poiché si continua, ancora oggi, nonostante si fosse sviluppata una forte consapevolezza civica sui temi della difesa attiva dei centri storici e contro le politiche urbane di consumo di suolo (ma il fatto non riguarda la città di Enna che preferisce insediare pseudo comitati di pseudo ambientalisti a difesa di specie forestali prive di qualsiasi valore vegetazionale e, peraltro, dissonanti come elementi di copertura vegetazionale urbana) ad offenderla e vilipenderla in tutte le sue parti urbane. Infatti, gli irreversibili interventi di alterazione dei caratteri urbani inaugurati in maniera invasiva negli anni ’60 – con motivazioni di promozione socioeconomica – continuano ancora oggi. Nessuno ad esempio si scandalizza che si è persa la linea di orizzontamento urbano del Viale Diaz e della prosecuzione della Via IV Novembre costituendo tale fatto anche un ulteriore accerchiamento del dongione federiciano (Torre di Federico II) che all’origine si dice – avendone tutte le visuali territoriali libere – rappresentò il punto per il tracciamento dell’armatura viaria dell’intera regione utilizzando lo gnomone presente su un lato dell’ottagono.

Una città ferma ai suoi 27 mila abitanti da più di un quarantennio continua a crescere, paradossalmente ed inspiegabilmente, per parti distinte, senza un disegno unitario ma attraverso lottizzazioni dissonanti prive di collegamenti e di coordinamento a crescere verticalmente nella parte alta “storica” con una densità edilizia incoerente alla struttura urbana, mentre cresce linearmente ed estensivamente nella parte bassa, quella più moderna che poteva avere qualità urbanistica e architettonica diverse da quelle che vediamo configurandosi come un continuum periferico e marginale fatto di sommatorie edilizie prive di criteri localizzativi.

Unica caratteristica negativa leggibile (ma che qualcuno del mondo accademico locale e per fortuna in maniera completamente isolata) è la sua espansione lineare che si spinge adesso e pericolosamente verso il Lago di Pergusa consumando suolo libero e sprecando cemento e purtroppo, attestandosi, su un unico asse stradale (la pergusina) che oltre ad essere di rilevanza territoriale (presenza dei Vigili del Fuoco, del nuovo Ospedale, dell’Università, etc.) costituisce l’unico asse di sbocco delle abitazioni private ripetendo ciò che già avviene lungo l’asse trasversale che da Caltanissetta si congiunge con l’A19 e l’antica statale per Catania.

Ma ciò che fa rabbrividire è che si vorrebbe continuare ancora oggi con questa logica di localizzazione di infrastrutture di grande peso territoriale per singoli punti e per singole varianti.

Il sistema urbano di Enna, sia quello storico che quello di recente formazione, continuando nell’assenza di politiche urbanistiche, non riesce più a dare nemmeno alcuna risposta dal punto di vista emozionale e ciò determina una totale mancanza di attrattività che diviene elemento disumanizzante sempre più.

Un sistema urbano coerente e qualificato, quale auspichiamo per la Città di Enna, deve essere, invece, composto da molteplici elementi interni fortemente connessi tra di loro (strade, negozi, uffici, abitazioni, zone verdi, piazze, etc.) ed elementi esterni rappresentati dai valori del territorio agricolo rurale, dai beni testimoniali archeologico-culturali ed ambientali ancora oggi presenti e valorizzabili (miniere, borghi agricoli della colonizzazione del latifondo – Borgo Cascino, etc. etc.) in un network di percorsi (viabilità, accessibilità e sosta) fortemente funzionale prima che l’ictus urbanistico colpisca questa città. Se la città storica di Enna alta, pur con le aggressioni ricordate, riesce ancora oggi a sostenere le funzioni di comune capoluogo organizzata sulla sua rete viaria medievale che ha definito pure le forme del costruito consolidato è necessario che l’assenza di qualità dello spazio urbano sia immediatamente oggetto di interventi di riqualificazione che possano stimolare la vita sociale rendendola accogliente con un sistema di percorsi pedonali, spazi aperti non inselvatichiti e reti di connessione e di sosta congrue ed adeguate. L’urgenza di fare questo è evidente e forse per questo motivo fortemente sottovalutata e non vale niente professare asetticamente un sentimento di amore per questa città senza assumere impegni concreti, precisi e calendarizzati. Senza prospettive per la città futura e la costruzione collettiva della città qualunque innovativa funzione urbana inviluppa su se stessa e diventa autoreferenziale.

Giuseppe C. Vitale