Piazza Armerina. La tentazione più forte della ragione: sugli arresti dirigente scolastico e amministrativo dell’Istituto tecnico

Piazza Armerina – No, non ci sto! E’ troppo forte il senso di smarrimento, il disorientamento, il capovolgimento dell’immagine sin qui osservata e la miseria del presente, prospettata da un tam-tam mediatico e dai rumors assordanti della città e del mondo, sulle incredibili imprese del preside Gianni Scollo.

Non ci sto ad assorbire acriticamente la rappresentazione senza veli che ha costituito, per la stampa nazionale, una ghiotta occasione di consegnare ai lettori una storia di taglio sensazionalistico e un po’ pruriginosa: «Il vecchio preside ruba alla scuola per andare a puttane».

Ma così a puttane si manda il mondo; il processo lo si fa prima ancora di aver sentito le ragioni degli imputati, si è colpevoli prima di aver cominciato il processo, si distrugge un uomo, una carriera, una famiglia, una scuola e si fanno crollare le certezze di generazioni di studenti, di cittadini, di genitori che alla scuola consegnano i loro ragazzi.

Polizia e magistrati hanno condotto il loro lavoro e non c’è ragione di dubitare che lo abbiano fatto con scrupolo, che abbiano raccolto riscontri inoppugnabili, che abbiano avviato una successiva fase di elaborazione giudiziaria con metodo e competenza. Ma il processo deve ancora iniziare.

Io conosco da anni il preside Scollo e conosco da anni il suo direttore amministrativo, Giovanni Delle Cave; ero un giovane socialista quando Delle Cave venne a Piazza Armerina a dare il miglior spettacolo di sé, della politica, del suo interagire con gli altri. Girava con la pistola, esprimeva violenza verbale e minacciava violenza materiale; non aveva remore a esprimersi in maniera inqualificabile anche dinanzi ai ragazzi della giovanile, aveva ansia di sensazionalismo, di rivolgimenti, di affermazione di potere e senza passare per l’acquisizione spontanea del consenso. Era Giovanni Delle Cave, considerato da tutti, uno “pericoloso”, un pessimo carattere, un furbacchione arrogante. Era un grande tragediatore. La sua fedina penale è un romanzo a puntate. Le vicende della sua vita hanno alimentato il gossip cittadino e provinciale per anni, Definirlo “torbido” è fargli un complimento.

Perché Gianni Scollo gli abbia dato confidenza, abbia potuto condividere con lui delle avventure, è il mistero che più mi turba. Io ho conosciuto Delle Cave da ragazzo, con lui non ho mai preso neanche un caffè. Forse un certo buonismo ottimista, che è stato sempre caratteristico del tratto umano di Gianni Scollo, e soprattutto la sua estrema sicurezza di sé (da taluni scambiata per presunzione arrogante ma è semmai il contrario) lo avranno indotto a giocare col fuoco. Gioca, gioca, col fuoco ci si brucia.

Non riesco a credere che nell’immaginario collettivo, leggendo ciò che la stampa ha riportato con dovizia di particolari, la gente possa aver capito il contrario della realtà: che il lupo si sia trasformato in agnello e l’agnello in lupo. E’ troppo semplice da proporre e gustosa da leggere questa storia del vecchio preside che ruba alla sua scuola per andare in cerca di avventure sessuali.

La Romania, come molti altri paesi nel mondo, è stata per anni il sogno proibito dei maschi di mezza età. Le mode hanno condotto lì, come a Cuba o in Thailandia, migliaia di uomini alla ricerca di avventure. Io non ci sono mai andato, ma tante volte ho sentito i racconti di queste squallide gesta da persone insospettabili, direttori di banca, imprenditori edili, artigiani, medici, insegnanti, mai è passata una valutazione morale negativa nell’immaginario collettivo. Tra gli uomini era semmai l’invidia e l’emulazione a prevalere. Questa è materia dei sociologi, non ci siamo stupiti di apprendere che anche i capi di governo abbiano fatto di peggio. Se il preside è stato uno dei tanti, mi dispiace per lui e per la sua famiglia, ma mi dispiace di più per il sistema internazionale del turismo che non si è fatto scrupolo di costruire un’industria amorale e riprovevole, segno di un tempo, il nostro, in cui i valori si sono capovolti.

Rubare, e rubare alla scuola, alla propria scuola, se sarà provato, è per un dirigente scolastico un affare davvero grave. Ma come, lo stesso preside che ha mostrato un’ambizione smisurata nel portare efficienza, ricchezza di servizi, popolarità tra i giovani al suo istituto, avrebbe consapevolmente sottratto risorse preziose. Riuscendo tra l’altro a vanificare i controlli e a mascherare e nascondere questa pessima abitudine per dieci anni?

La cosa più stomachevole nella vicenda è il clima da romanzo giallo che emerge: il timore di attentati, le minacce e le estorsioni, l’incidente, il memoriale, la puntuale elencazione dei prelevamenti, il gioco delle parti dei complici che si accusano. Si è mai visto un ladro che tenga puntuale contabilità delle sue ruberie, che le usi come polizza assicurativa contro i suoi ex complici e nemici, che tema non tanto il carcere ma addirittura per la sua vita.

Il preside Scollo ha denunciato Delle Cave alla Procura della Repubblica, le firme sui mandati sono generalmente false, è consuetudine che i dirigenti firmino cataste di documenti senza neanche guardarli. Certo se ne assumono comunque la responsabilità.

Ricordo di aver seguito da cronista la vicenda di un uomo politico al quale fu contestato di aver intascato una tangente. L’impianto accusatorio era ben costruito e correlava la dazione illecita a un atto amministrativo, con forti aspetti di discrezionalità, che era stato adottato dall’imputato nei giorni precedenti in favore di un grosso imprenditore. La relazione degli inquirenti aveva riscontrato un versamento di cento milioni di lire nel conto corrente dell’uomo politico, non riconducibili alla sua attività economica. Si arrivò al dibattimento. L’uomo fu assolto. Aveva più volte dichiarato che quei soldi gli erano stati versati sul suo conto personale dal Banco di Sicilia che gli aveva concesso un mutuo ipotecario destinato all’acquisto di un terreno. L’aveva dichiarato agli inquirenti, ma fu solo in giudizio che il magistrato si convinse della sua innocenza e che quei soldi non erano una tangente.

Stiamo attenti al sensazionalismo, una grave insidia per il giornalismo moderno; una facile e ghiotta tentazione per i giornalisti. Prima di distruggere la vita di un uomo, la sua carriera, la sua famiglia, attendiamo la sua difesa, ascoltiamo le sue ragioni. Molto spesso le apparenze ingannano. Talvolta i ladri hanno evidenti opportunità a usare la chiamata in correità.

Ecco perché, io, non ci sto!

Maurizio Prestifilippo