Barrafranca. Omelia del Vescovo Pennisi per le morti bianche

Barrafranca. Omelia odierna del Vescovo mons.Michele Pennisi per le morti bianche:
“Siamo riuniti in questa celebrazione eucaristica per fare memoria di coloro che sono morti o sono rimasti feriti a causa di infortuni sul lavoro. Con loro vogliamo ricordare tutti gli appartenenti alle forze dell’ordine che per mantenere la sicurezza e la pace sociale sono vittime di inammissibili violenze, come quelle capitate ieri a Roma, con conseguenze gravi sulla loro vita e sulla loro salute fisica e psichica.
Anche se le statistiche ci dicono che i morti sul lavoro sono diminuiti nell’ultimo anno in Italia dobbiamo dire che una sola morte per causa del lavoro è sempre di troppo. Tutte le morti sono brutte, ma queste sul lavoro sono ancora più tragiche. E non posiamo rassegnarci a queste morti; non possiamo abbassare l’attenzione di fronte a queste tragedie, che si abbattono su chi si reca al lavoro. Ogni volta che una persona muore, tutti dobbiamo sentirci coinvolti.
Dobbiamo con forza riaffermare che bisogna essere attenti alle norme sulla sicurezza nel lavoro stabilite e osservarle tutti, dal primo dirigente all’ultimo lavoratore. Al centro dell’attenzione di ogni azienda ci deve essere la dignità e la salute di chi lavora, e deve crescere molto di più di quanto accada ora la cultura della sicurezza sui luoghi di lavoro.
La salute e la vita dei lavoratori, come di tutte le persone , sono valori primari, che per nessuna ragione dovrebbero essere mesi a rischio. Come da sempre insegna la Chiesa, il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro. Questo in concreto significa che i diritti dei lavoratori, come il diritto ad ambienti di lavoro ed a processi produttivi che non rechino pregiudizio alla salute fisica e specialmente alla loro vita, si basano sulla natura della persona umana e sulla sua trascendente dignità.
E’ importante che ognuno partendo dalle proprie responsabilità, concorra a trasformare il lavoro in una occasione formidabile di crescita umana e sociale, mettendo al centro dell’agire lavorativo la persona umana, non il mercato né il profitto.
Lo sviluppo dell’impresa è importante e necessario per assicurare lavoro, ma è altrettanto e più importante, il rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro, la ricerca di vie compatibili con l’ambiente, l’assunzione di
precise responsabilità sociali verso il territorio in cui opera.
Il lavoro che nella concezione biblica è visto come collaborazione all’opera della creazione deve essere momento di trasformazione materiale ma anche spirituale, strumento di sopravvivenza e non di morte.

La parola di Dio di quest’oggi porta a riconoscere il primato di Dio e a dargli tutto ciò che gli spetta. Ma riconoscere il primato di Dio significa riconoscere il primato dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, perché come dice S. Ireneo “la gloria di Dio è l’uomo vivente”.
La prima lettura di oggi è un accenno ad un fatto storico: la deportazione degli ebrei in Babilonia l’attuale Baghdad. Mentre gli altri re avevano resi gli ebrei schiavi Ciro, re di Persia, la pensava diversamente; considerava che poteva governare meglio un territorio grande cercando di fare si che le popolazioni occupate fossero contente di essere sotto di lui. Per ottenere questo permetteva loro di rimanere a casa, mantenendo anche la loro religione, per cui, dopo aver occupato anche Babilonia, permette agli ebrei ivi deportati di tornare in patria e di poter ricostruire il loro tempio. Perciò questo re pagano viene considerato uno strumento provvidenziale di Dio, anche se lui, questo Dio non lo conosce
La parola di Dio ci presenta l’unico Dio come un Dio magnanimo, che avendo creato l’uomo a sua immagine e somiglianza lo fa partecipe del suo potere, lo chiama e gli conferisce un’autorità per la salvezza del popolo e per la sua gloria.
Tale affermazione giunge per il popolo ebraico in un tempo di grande confusione e sbandamento: l’amarezza dell’esilio e soprattutto il contatto con il mondo pagano avevano annacquato la fede di Israele e spento in parte la speranza del ritorno a Gerusalemme.
Una situazione quanto mai attuale in un tempo come il nostro caratterizzato dal relativismo religioso e morale, dalla mancanza di rispetto per la dignità delle persone, dalla multiculturalità e dalla tentazione di un certo sincretismo religioso che rischia di mettere in crisi la missione della Chiesa di annunciare Gesù Cristo come unico salvatore dell’uomo.
Anche ognuno di noi che a partire dal battesimo è chiamato per nome e unto come il re Ciro , per una missione di salvezza universale che ha Dio come autore principale, deve richiamare al primato di Dio e deve essere strumento di salvezza.
Nel vangelo Gesù smascherando coloro che volevano metterlo in difficoltà dice “date a Cesare ciò che è di Cesare a Dio ciò che è di Dio” e introduce una novità nell’esperienza spirituale e sociale dell’umanità.
È l’inizio della distinzione tra religione e politica, fino ad allora inscindibili presso tutti i popoli e i regimi. Gli ebrei erano abituati a concepire il futuro regno di Dio instaurato dal Messia come una teocrazia, cioè come un governo diretto di Dio su tutta la terra tramite il suo popolo. Ora invece la parola di Cristo rivela un regno di Dio che è in questo mondo, ma non è di questo mondo, che cammina su una lunghezza d’onda diversa e che può perciò coesistere con qualsiasi altro regime.

La frase di Gesù sottolinea non solo che occorre marcare i confini fra Dio e Cesare, ma che occorre rendere o dare. Il risuonare di tale verbo cambia la prospettiva della semplice separatezza fra Dio e Cesare. Il rendere a Cesare quanto è necessario: giustizia, pace, diritti, rispetto, è qualcosa di grande. Ma Cesare non è Dio. Il rendere a Cesare implica, perché sia autentico e pieno, il rendere a Dio quanto è necessario e salutare. Dare solo a Cesare senza dare a Dio è rovina.
Il primo a tirare le conclusioni pratiche di questo insegnamento di Cristo, è stato san Paolo. Egli scrive: “Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio… Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio…Per questo dunque dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio” (Rom 13, 1 ss.). Pagare lealmente le tasse per un cristiano (ma anche per ogni persona onesta) è un dovere di giustizia e quindi un obbligo di coscienza. Garantendo l’ordine, il commercio e tutta una serie di altri servizi, lo stato dà al cittadino qualcosa per il quale ha diritto a una contropartita, proprio per poter continuare a rendere questi stessi servizi. L’evasione fiscale, quando raggiunge certe proporzioni – ci ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica -, è un peccato grave. È un furto fatto alla comunità, cioè a tutti. Questo suppone naturalmente che anche lo stato sia giusto ed equo nell’imporre le sue tasse. La collaborazione dei cristiani alla costruzione di una società giusta e pacifica non si esaurisce nel pagare le tasse; deve estendersi anche alla promozione dei valori comuni, quali la famiglia, la difesa della vita, la solidarietà con i più poveri, la pace. C’è anche un altro ambito in cui i cristiani dovrebbero dare un contributo più incisivo alla politica. Non riguarda tanto i contenuti quanto i metodi, lo stile. Occorre svelenire il clima politico di perpetuo litigio, riportare nei rapporti tra i partiti un maggiore rispetto, compostezza e dignità. Rispetto del prossimo, mitezza, capacità di autocritica: sono tratti che un discepolo di Cristo deve portare in tutte le cose, anche in politica.
Gesù afferma che se a Cesare bisogna restituire ciò che è suo, cioè la moneta che lo raffigura compiendo i nostri doveri civili a partire dal pagamento delle giuste tasse, a Dio bisogna dare ciò che è di Dio, cioè tutto l’uomo perché creato ad immagine e somiglianza di Dio. È l’uomo, la vera moneta da rendere a Dio. San Lorenzo da Brindisi scrive: “Tu, o cristiano, sei uomo: se dunque moneta del tesoro divino, sei il danaro che porta impressa l’immagine e l’iscrizione del re divino. Con Cristo io ti chiedo: “Di chi è questa immagine e l’iscrizione?”. Tu dici: di Dio. Osservo: e perché non dai a Dio ciò che è suo?”.
Soltanto a Dio si devono l’adorazione e il culto, e né lo Stato né alcun’altra realtà di questo mondo possono pretendere ciò che è dovuto esclusivamente a Dio. Il martirio dei primi cristiani fu l’espressione suprema della resistenza cristiana di fronte al tentativo degli imperatori romani di usurpare il posto di Dio.
L’accoglienza o il rifiuto di Dio è richiamato spesso dal S. Padre, preoccupato di un mondo che, nella misura in cui vuole fare senza Dio, porta alla rovina dell’uomo e dell’intera società.
E’ una strada che non conduce da nessuna parte, quella di rendere Dio superfluo per l’uomo, secondo l’intento del secolarismo del nostro tempo.
Ha detto Benedetto XVI: “Vogliamo possedere il mondo e la nostra stessa vita in modo illimitato. Dio ci è d’intralcio. O si fa di Lui una semplice frase devota o Egli viene negato del tutto, bandito dalla vita pubblica, così da perdere ogni significato. La tolleranza, che ammette per così dire Dio come opinione privata, ma gli rifiuta il dominio pubblico, la realtà del mondo e della nostra vita, non è tolleranza ma ipocrisia. Laddove però l’uomo si fa unico padrone del mondo e proprietario di se stesso, non può esistere la giustizia”.
Il compito dei cristiani in ogni tempo è quello di annunciare il
il Regno di Dio come una signoria spirituale e universale. Da questo deriva l’impegno che ogni cristiano, deve sentire di testimoniare il vangelo a tutti.
In questo mese di ottobre la Chiesa ci ricorda questo impegno con la Giornata Missionaria Mondiale.
Il Santo Padre Benedetto XVI in occasione della giornata missionaria mondiale ripete noi l’invito di Gesù «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21) Il Vangelo non è un bene esclusivo di chi lo ha ricevuto, ma è un dono da condividere, una bella notizia da comunicare. E questo dono-impegno è affidato non soltanto ad alcuni, bensì a tutti i battezzati.
La Giornata Missionaria Mondiale attraverso le Pontificie Opere Missionarie, sollecita l’aiuto per lo svolgimento dei compiti di evangelizzazione nei territori di missione. Si tratta di sostenere istituzioni necessarie per stabilire e consolidare la Chiesa mediante i catechisti, i seminari, i sacerdoti; e anche di dare il proprio contributo al miglioramento delle condizioni di vita delle persone in Paesi nei quali più gravi sono i fenomeni di povertà, malnutrizione soprattutto infantile, malattie, carenza di servizi sanitari e per l’istruzione. Anche questo rientra nella missione della Chiesa. Annunciando il Vangelo, essa si prende a cuore la vita umana in senso pieno. Attraverso la partecipazione corresponsabile alla missione della Chiesa, il cristiano diventa costruttore della comunione, della pace, della solidarietà che Cristo ci ha donato, e collabora alla realizzazione del piano salvifico di Dio per tutta l’umanità.
Paolo nella seconda lettura ringrazia Dio perché i cristiani di Tessalonica mostrano un grande impegno nella loro fede, una operosità nella loro carità e una costante speranza, perché hanno accolto il vangelo con una profonda convinzione grazie alla presenza in loro dello Spirito Santo.