Piazza Armerina. Il vizio di Fabrizio

Piazza Armerina – Ci eravamo incontrati poche settimane addietro, con Fabrizio Tudisco, nell’officina del meccanico Mauro La Malfa, al quale il coordinatore cittadino del Pdl aveva portato una utilitaria per una riparazione estemporanea. L’occasione era ghiotta per tastargli il polso, per sapere dalla sua viva voce i progetti per il prossimo futuro del più importante partito del centro-destra a Piazza Armerina. Fabrizio non è uomo da sottrarsi al confronto e, nel volgere di pochi minuti, l’incontro casuale si è trasformato in uno scontro dialettico con tanto di spettatori a contorno: una vera corrida oratoria, con due protagonisti a confronto. Tra accuse e ironia abbiamo ripercorso tre anni di contrapposizioni personali e la storia del capovolgimento più incredibile che ha assegnato il governo della città alla compagine, orribile e minoritaria, della sinistra di Nigrelli e compagni.
Il match Prestifilippo-Tudisco si è svolto a fasi alterne, attribuendo, ciascuno dei contendenti della tribunetta politica, la responsabilità degli amari giorni che viviamo, all’altro in via esclusiva. Ma poi ci siamo scambiati un abbraccio e un arrivederci, che sembrava preludere ad un ripensamento, alla fine del gioco delle esclusioni reciproche, che procura tanto male alla buona salute di ogni partito politico. Tranne Mauro, il meccanico, costretto a lavorare sotto un profluvio di parole ad alta voce, tutti gli astanti si sono divertiti per aver assistito ad una chiarificazione tra due pretesi litiganti. Gli amici di entrambe le parti avranno ben sperato che, presto o tardi, l’ex sindaco ed il suo vice sindaco, si sarebbero ritrovati insieme per far piazza pulita degli attuali, inquietanti ospiti di Sala delle luci e per portare nuova speranza a questa avvilita e povera città.
Ma Fabrizio aveva accennato ad una sua stanchezza, ad una mal sopportazione delle vicende nazionali del partito; dagli scandali del capo carismatico, fino alla debolezza della nuova leadership di Angelino Alfano, dalla scarsa incisività del governo sulla gestione della crisi, al senso di disgusto che il teatrino romano offre ogni giorno agli occhi sconsolati degli elettori della destra. «Forse lascerò la politica! – aveva detto il segretario – Sono stanco di questo Pdl».
«Forse lascerò il Pdl! – avevo Ribattuto io – Non mi va di imporre la mia presenza dove non mi si vuole; Edoardo Leanza, coordinatore provinciale, vuole distruggere il suo partito a Piazza Armerina». Nessuno dei due, però, credeva veramente alle parole dell’altro.
«Facciamo una fotografia – esordisce uno degli astanti – la manderemo ad …. (n.d.r: volutamente omettiamo il nome del collega giornalista della città dei mosaici, di cui come redazione abbiamo una grande disistima per il modo di fare giornalismo), qualcuno a Piazza comincerà a preoccuparsi».
L’avviso, un po’ laconico, dell’abbandono di Fabrizio, apparso sul sito ufficiale del Pdl piazzese e poi ripreso dai giornali, smentisce invece i miei dubbi sulla reale volontà di Fabrizio di farla finita con la politica. In verità le motivazioni espresse sono deboli. Non vedo perché, proprio lui, dovrebbe preoccuparsi del degrado morale del partito, della deriva a luci rosse del leader, dell’influenza nefasta della Lega sulla necessaria politica di rigore. Lui non si era preoccupato, ancora in tempi recenti, del conflitto di interessi, Mediaset-giornali-governo, anzi lo riteneva un punto di forza irrinunciabile. Non si era stracciato le vesti per la mancanza di democrazia interna del nuovo corso pidiellino (che gli ha garantito un posticino di assessore provinciale, per nomina, il coordinamento cittadino, per nomina, la libertà nelle scelte di alleanza, la compressione di ogni attività di consultazione della base, la mancanza di una espressione congressuale ad ogni livello, l’elezione dei parlamentari, per nomina, e i mille altri problemi che hanno fatto del partito-azienda Forza Italia, un partito che non esiste più, nel Pdl).
Lui c’è stato dentro bene, ha avuto ruolo, ha fatto come ha creduto, ha governato a nome di tutti e non ha reso conto a nessuno.
Dunque il suo ripensamento odierno è una vera “conversione” che preluderebbe al disimpegno o, forse, come credono in tanti, ad una futura ricollocazione in zone politiche più promettenti.
Se la prima profezia si è avverata, chissà che non si avveri anche la seconda. D’altronde il prossimo 30 ottobre è spirato il termine per il tesseramento e fino ad oggi io non ho rinnovato la mia iscrizione. Il tempo stringe, Leanza dorme, Castiglione non sembra preoccupato, Angelino Alfano non ha tempo di occuparsi di noi e in ogni caso, come è probabile, se ne fotte.
E siamo a due. Eppoi c’è la terza profezia.
Lasciandoci, in un abbraccio un poco teatrale, gli ho sussurrato all’orecchio una domanda: «Ci ritroveremo insieme, forse, in un altro partito?». Mi ha risposto secco: «No! Se ci sarai tu, non ci sarò io».
Che strano personaggio. In una affermazione ha smentito sé stesso e non ha smentito sé stesso.
Ha smentito sé stesso perché d’istinto non ha escluso una sua ulteriore, futura, militanza in un partito.
Non ha smentito sé stesso, perché deliberatamente continua ad ignorare che la politica richiede “unità per vincere” e lui fa sempre scelte di divisione. La sua storia personale è una lunga sequenza di conflitti con i suoi compagni di strada. Da Forza Italia ha fatto fuggire una intera generazione di politici. Se avesse avuto più senso di tolleranza e di mediazione, il suo partito avrebbe di gran lunga superato, per ruolo e consistenza, quello che fu la Democrazia Cristiana a Piazza Armerina. Invece, ha vivacchiato quando c’era l’onda lunga di Berlusconi, oggi è ridotto al lumicino e non ha concrete prospettive di ripresa.
Non si è smentito perché è il politico più ostinato che la città ricordi e questo suo piccolo difetto ha spesso messo in ombra le sue indubbie capacità di amministratore.
Bene, adesso ce le siamo dette proprio tutte. Io conserverò affetto per l’uomo Fabrizio, stima per il suo lavoro nell’amministrazione 2004-2008. Lui continuerà a rimuginare il lungo elenco dei miei errori e preferirà non ricordare quella favola di Fedro che lui certamente conosce.

“I vizi degli uomini”

Giove ci diede due sacche: La prima, piena dei nostri difetti, ce la pose sulle spalle, l’altra, pesante dei difetti degli altri, la sospese davanti al nostro petto. E’ per questo che noi non vediamo i nostri difetti; ma quando gli altri commettono un errore diventiamo i loro giudici inflessibili. (Fedro)

Maurizio Prestifilippo www.orizzontierei.it