Piazza Armerina. Vescovo mons.Michele Pennsi intervento ricorrenza 4 novembre

Enna. 4 Novembre 2011, il discorso del Vescovo della Diocesi di Piazza Armerina, mons.Michele Pennsi alle autorità civili e militari:
“Siamo riuniti quest’oggi in questo sacrario dei caduti per celebrare nel 93° anniversario della fine della grande Guerra la Festa dell’Unità nazionale e delle Forze Armate e ricordare tutti i caduti di tutte le guerre, su tutti i fronti.
Il 4 novembre del 1918 terminava la Prima Guerra Mondiale, che vedeva molti Stati schierati gli uni contro gli altri in un conflitto che in quattro anni causerà la morte di parecchi milioni di persone fra cui 670.000 italiani senza contare i feriti e i mutilati . Era il 1° agosto 1917 quando il Papa di allora, Benedetto XV, definì la guerra in corso una “inutile strage”. Si trattò della “Grande Guerra” come venne definita prima che se ne potesse immaginare una seconda, che scoppierà appena 21 anni dopo, ed avrà esiti ancor più disastrosi.
Oggi noi ricordiamo l’enorme sacrificio di esseri umani che la prima grande guerra – così come tutte quelle che l’hanno preceduta e poi seguita – ha portato con sé e ci vogliamo impegnare ad essere ogni giorno costruttori di pace.
Questa data ci offre l’occasione per festeggiare l’unità nazionale raggiunta a prezzo di sacrifici di tante persone che rimane un bene da salvaguardare , nel rispetto delle legittime autonomie locali.
Oggi oltre a pregare per i tutti i caduti vogliamo esprimere la nostra riconoscenza a quanti, anche oggi, militando nelle forze armate e di polizia affrontano ogni giorno il pericolo per difendere la legalità, garantire la sicurezza dei cittadini, tutelare la giustizia e la pace.
Celebrare la festa delle Forze Armate significa ricordare a tutti le virtù morali che li contraddistinguono: il senso dell’ordine e della disciplina, la generosa disponibilità all’abnegazione e al sacrificio, l’ apprezzamento del giusto e dell’onesto, l’amore alla patria.
Il servo di Dio Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo delle Forze Armate disse ai militari provenienti da tutto il mondo: ” Voi lottate ogni giorno contro la violenza e le forze disgregatrici del male presenti nel mondo : siete chiamati a difendere i deboli, a tutelare gli onesti, a favorire la pacifica convivenza dei popoli. A ciascuno di voi si addice il ruolo di sentinella, che guarda lontano per scongiurare il pericolo e promuovere dappertutto la giustizia e la pace”.
A 150 dell’unità d’Italia vogliamo riaffermare che l’unità del nostro paese è «un tesoro nel cuore di tutti e di ciascuno, a cui tutti vogliano contribuire ».
L’unità nazionale per essere effettiva deve affrontare con decisione le questioni irrisolte del divario tra nord e sud del Paese a partire dalla questione cruciale dell’occupazione e delle reti di comunicazione che rischiano di aumentare l’isolamento delle regioni meridionali e di pregiudicare il loro sviluppo futuro in vista dell’allargamento dell’area di libero scambio. La questione meridionale rimane ancora, una “questione nazionale” e “una questione etica” che implica la responsabilità di tutto il Paese.
Le comunità cristiane vogliano favorire l’unità nazionale con il loro patrimonio di valori che ispira un sentire comune diffuso che identifica senza escludere, che fa riconoscere e sollecita il senso di cordiale appartenenza e di generosa partecipazione alla comunità ecclesiale, alla vita delle città delle regioni, e dello Stato.
La fede non può essere mai ridotta a “religione civile”, ma è innegabile la sua ricaduta nella vita personale e pubblica.
Nella sollecitudine per il bene comune rientra l’impegno a favore dell’unità nazionale, che resta una conquista preziosa e un ancoraggio irrinunciabile.
E’ nel terreno fertile dello “stare insieme” che si può impiantare anche un federalismo veramente solidale: uno stare insieme positivo che non è il trovarsi accanto selezionando gli uni o gli altri in modo interessato, ma che è fatto di stima e rispetto, di simpatia, di giustizia, di attenzione operosa e solidale verso tutti, in particolare verso chi è più povero, debole e indifeso. Attenzione d’amore di cui Cristo, il grande samaritano dell’umanità, è modello, maestro e sorgente. Lo sguardo fisso al Crocifisso, ovunque si trovi, richiama al senso della gratuità: il dono della sua vita, infatti, è la continua testimonianza del dono senza pretese. E da questo humus di base che nasce quella realtà di volontariato cattolico e laico che è condizione di ogni sforzo comune e segno di operosa speranza.
La parola di Dio che abbiamo ascoltato ci mette davanti al compito di noi cristiani di annunciare e testimoniare il Vangelo con la coerenza della vita.
San Paolo nella prima lettura ci dice che annunciare il vangelo, non è trasmettere una dottrina morale, limitarsi ad indicare un comportamento etico rispettoso delle norme, bensì abilitare a rendere grazie a Dio, a celebrare la liturgia della vita. Ciò comporta una conoscenza sempre più intima e approfondita di Gesù Cristo e l’assunzione di uno stile di vita improntato al dono gratuito di sè S. Paolo stesso, nel delineare il programma di vita dei credenti esorta ad offrire se stessi quale sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, puntualizzando che: “è questo il vostro culto spirituale” (12,1). Dopo ne trae alcune conseguenze pratiche: non conformatevi alla mentalità di questo tempo, abilitatevi a discernere la volontà di Dio, siate benevoli verso tutti.
Gesù, pur di rendere comprensibili si suoi messaggi di salvezza, ricorre anche al paradosso. Nel vangelo di oggi viene lodata l’astuzia di un amministratore disonesto, che, vistosi scoperto della sua infedeltà verso il proprio padrone e prossimo ad un licenziamento dal suo incarico, cerca, con abilità e scaltrezza, di accaparrarsi la benevolenza dei creditori, per poi sperare di godere della loro protezione. Gesù loda la scaltrezza dell’amministratore disonesto perché ha messo impegno nel venir fuori da una situazione perlomeno imbarazzante. È fin troppo evidente che il Signore non vuole che imitiamo l’astuzia e ancor meno la disonestà dell’amministratore infedele. Vuole invece che, come figli della luce, ci adoperiamo alacremente, da veri sapienti per conseguire i beni migliori che lo stesso Signore vuole donarci.
Gesù vuole che ciascuno di noi si adoperi in ogni modo per entrare nel regno di Dio. Gesù esorta alla creatività dell’amore, a non rassegnarsi di fronte a nessuna difficoltà e tanto meno ad adagiarsi nella propria pigrizia o nella propria rassegnazione.
Oggi vogliamo pregare il Dio ricci di misericordia perchè benedica l’Italia e assista e illumini i suoi governanti affinché operino instancabilmente nella concordia per il bene comune.
Oggi mentre esprimiamo il più vivo apprezzamento per tutti coloro che sono al servizio della Patria con continua dedizione e generoso impegno , in questa celebrazione eucaristica, vogliamo rendere omaggio a tutti coloro che hanno fatto della loro vita un dono gradito al Signore e sono morti nell’adempimento del loro dovere nel difendere la patria e garantire la sicurezza dei cittadini e li affidiamo al Signore misericordioso con gratitudine e ammirazione.

+ Mons. Michele Pennisi Vescovo di Piazza Armerina