Le creazioni di Elvira Seminara esposte nell’art gallery di Marella Ferrera a Sicilia Outlet

Borsette da sera con spazzolini incorporati e pettini rotti (ma coperti di perle), decorate con forchette di plastica, con placche elettriche, o con guanti da cucina trasformati in guanti da sera.Le creazioni di Elvira Seminara esposte nell’art gallery di Marella Ferrera a Sicilia Outlet sono spiazzanti, ironiche e trasgressive. Ma la cosa che sorprende è anche la doppia vita di Elvira Seminara, sinora conosciuta come giornalista e scrittrice (tra i suoi romanzi L’Indecenza con Mondadori, e Scusate la polvere, con Nottetempo).

– Dove nasce tutto questo?
“Beh, io credo nelle riconversioni e nella seconda vita di ogni cosa, cioè nell’arte del riciclo e recupero inventivo. Come potevo non farlo con me stessa ? A parte lo scherzo, pratico questa viziosa passione da un decennio, ma in modo solitario e a uso personale. Solo adesso, grazie alla sfida audace ma lungimirante di Marella Ferrera, ho deciso di uscire allo scoperto”

– E come concili quest’attività con la scrittura ?
“Non la concilio, la vivo in simultanea, penso che l’artista mantenga ed esprima uno sguardo altro e diverso in ogni sua azione creativa. Per me usare parole o bottoni è la stessa cosa, la stessa urgenza narrativa, si tratta solo di passare dalla scrittura verbale a quella gestuale. Ogni borsa o collana è un racconto. E non solo per le piccole cose che porta addosso, oggetti di uso quotidiano o venuti dal Tempo di Prima, e cose trovate per terra nelle strade del mondo. E’ un racconto perché è una testimonianza viva. Ci sono anche borse coi titoli dei miei romanzi, ad esempio: i racconti del parrucchiere. Penso di usare anche la stesso linguaggio, la stessa sintassi narrativa: in fondo smonto e rimonto parole e sistemi sia nella pagina che negli oggetti”.

– Perché hai scelto come marchio delle tue opere Manomissioni?
“Perché mi piacciono le manipolazioni. La manomissione è anche di più, è un gesto sovversivo capace di riconfigurare un oggetto al di là del suo uso comune. E’ anche un operazione ludica, divertente. I bambini sono i più esperti nelle manomissioni, smontano i giocattoli e li riassemblano in modo diverso. E poi, a ribadire la mia ossessione per i giochi verbali, dentro Manomissioni c’è pure la missione della mano, in cui credo molto”.

– In che senso ?
“L’ha detto prima di morire anche Levi Strauss : il futuro dell’uomo è nelle sue mani. Perché è con le mani, e non con il computer, che si fanno i gesti più importanti della vita. Come seminare un campo, innaffiare un fiore, costruire un muro coi sassi, una casa. E anche – aggiungerei – una carezza”.

– Non è un messaggio controcorrente, in piena era web?
“Decisamente sì. Ma io in questo momento della mia vita, dopo aver scritto miliardi di parole fra articoli e libri, in pieno dominio del web sento il bisogno della manualità. La soddisfazione e la gioia di costruire un oggetto con le tue mani, creare una cosa che prima non c’era, ed è nata da un mucchio di avanzi , è un’emozione esaltante. Molto più forte, spesso, di quella che provi premendo tasti che lanciano parole in aria, che vanno a confondersi con nuvole di parole effimere e solitarie. Utilizzare oggetti abbandonati ha poi un valore sentimentale aggiunto per me fortissimo.
Ogni oggetto creato diventa una testimonianza di più vite, un giacimento. Dove confluiscono una serie di voci, di sedimenti narrativi, di preesistenze”.


– E’ come “la reincarnazione delle parole” che tu evocavi in una recente intervista ?
“Direi di sì. Io mi definisco buddistante, cioè una buddista protestante, e anche questa è una forma di reincarnazione degli oggetti. Ho inventato un neologismo per definirla, Trasmigraction, che contiene l’azione, appunto, per la trasmigrazione dell’anima delle cose. Per questo, dicevo, ogni oggetto che ri-creo ha una sua biografia, è dunque una narrazione”.

– Come ti definiresti, stilista, o ancor meglio, Fashion artist ?
“Più che fashion artist, che non mi piace, direi Faction artist, dove faction è appunto narrazione a metà tra fiction e realtà”.

– Pop artist?
“Più ancora dell’arte pop, che amo molto, penso che i miei manufatti – manomessi siano di stampo dadaista. Per postare l’immagine di una mia borsa su facebook (quella con lo spazzolino imbellettato) ho citato una frase di Tristan Tzara: “Dio e il mio spazzolino sono Dada, e anche i newyorkesi possono essere Dada, se non lo sono già”.
A parte lo spazzolino, nella borsa “Edward mani di forbici” c’è incastonata come un gioiello un forbicina di plastica, in quella intitolata “Tip Tappo” c’è un’esplosione di tappi di plastica. E poi quella dedicata a Andy Warhol, col tubetto di dentifricio incorporato.

– Come nascono queste invenzioni, cosa le accomuna oltre il principio del riciclo?
“Non c’è solo l’idea sana e attiva del recupero in difesa dell’ambiente, che promuovo da tempo come giornalista. C’è anche un gesto amorevole nei confronti delle cose che abbiamo accanto tutti i giorni, e usiamo senza cura e buttiamo con fastidio quando hanno smesso di essere utili. Io penso che quando un oggetto non serve più, ed è cessata la sua funzione meramente strumentale, allora può diventare bello come non è mai stato. Vorrei trasmettere questo sguardo nuovo sulle cose, fatto di meraviglia e cura, capace di reinverginarle al mondo”.

– E’ uno sguardo attivo anche sui tuoi scritti?
“Mi piacerebbe, perché io mi sento una cantascorie. In fondo, lo scrittore è una specie di termovalorizzatore umano, che trasforma i sentimenti usati e quelli di risulta – i conflitti, la nostalgia, l’attesa – in risorse e valori da condividere”.