Università Enna su paventata chiusura tribunale di Nicosia

“Se si continua nell’opera di eliminazione dei servizi pubblici essenziali sulla base del semplice dato demografico, da qui a pochi anni la Sicilia interna sarà un grande deserto attraversato soltanto da una sottile dorsale di collegamento tra Palermo e Catania, un deserto nel quale la mafia potrà costruire indisturbata i suoi centri di controllo della Sicilia costiera”. È questo il punto di vista espresso dal presidente dell’Università di Enna, Cataldo Salerno, a commento dell’ipotesi di soppressione del Tribunale di Nicosia, che metterebbe a rischio, secondo la Kore, anche la sopravvivenza del distretto giudiziario di Caltanissetta, nel quale rientra la stessa Enna e Gela.
La posizione critica dell’Università Kore fa riferimento alla “progressiva evanescenza dei presidi per la salute, l’istruzione, la sicurezza, la giustizia, il credito e la mobilità”, essenziali per il mantenimento di una presenza demografica minima nelle aree centrali dell’Isola, a sua volta necessaria per “la tutela, la manutenzione e la valorizzazione del territorio e dei suoi beni culturali e ambientali, patrimonio di tutta la Sicilia”.

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NOTA INTEGRATIVA CON TRE CONSIDERAZIONI DI CARATTERE GENERALE ED UNA CONCLUSIONE SUL CASO DI NICOSIA

1) La Sicilia si salva dall’interno

Per la sua collocazione e la sua insularità, la Sicilia è stata ed è espressione essenzialmente delle sue coste. Oggi oltre il 90% della popolazione vive in prossimità del mare, dove si trovano quasi tutte le prime 50 città per numero di abitanti. Nella parte interna della Sicilia soltanto Caltanissetta supera i 50mila abitanti e soltanto altri 3 comuni (Caltagirone, Canicatti ed Enna) hanno una popolazione superiore ai 25.000 abitanti. Il rapporto tra aree costiere ed aree interne non è mai stato così squilibrato. Tradizionalmente, lo sviluppo delle città costiere siciliane è stato centrato sugli scambi commerciali con il Mediterraneo, a loro volta basati sulle produzioni agroalimentari e sulle materie prime minerarie provenienti dall’interno, tutte garantite da consolidati stanziamenti di popolazione.

Nella seconda metà del secolo scorso, le materie prime sono diminuite ed il trasferimento verso le coste ha riguardato direttamente le popolazioni interne, attratte soprattutto dalla bolla petrolifera e da quella industriale della Cassa per il Mezzogiorno. Gli effetti disastrosi di quelle bolle sono sotto gli occhi di tutti, essendosi espressi in misura egualmente negativa sui piani ambientale, sociale, economico e persino occupazionale, dove hanno prodotto illusioni tragiche. Contemporaneamente, le grandi reti dei servizi statali, privatizzate oppure virate sui criteri privatistici, hanno rapidamente abbandonato le aree interne, non trovandole più economicamente convenienti: sono così sparite o sono divenute virtuali banche, uffici pubblici, scuole, presidi sanitari, sistemi di trasporto, manutenzioni del territorio ed altri innumerevoli servizi e sportelli per i cittadini. Risultati, cause ed effetti si sono confusi e avvitati su se stessi dando luogo ad un processo di progressiva desertificazione della Sicilia interna.

Questo processo non è sfuggito all’attenzione della criminalità organizzata, che vi ha trovato l’occasione ideale per sostituirsi allo Stato e per controllare agevolmente vaste aree territoriali, divenute via via strategiche per le relazioni tra le tradizionali organizzazioni mafiose occidentali e quelle emergenti della Sicilia orientale e meridionale. La criminalità organizzata non occupa tutti gli spazi lasciati liberi dalla dismissione delle reti di servizio pubblico, ma certamente l’amministrazione della giustizia e della sicurezza e il controllo del piccolo credito rivestono per essa uno straordinario interesse. In questo senso, la chiusura di servizi essenziali in un territorio, poco popolato ma vasto, finisce con il rappresentare un fattore di rafforzamento della criminalità organizzata in quello e negli altri territori.

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2) Le piccole strutture possono essere più efficienti

Per controbilanciare l’impatto sociale negativo, si usa dire che l’aggregazione di molte piccole strutture in poche più grandi determini delle economie di scala, indispensabili in periodi di particolare crisi finanziaria del Paese. Il dogma delle economie di scala è per la verità passato ampiamente di moda nella letteratura scientifica mondiale, dove resiste soltanto in alcuni ristretti ambiti della produzione manifatturiera ma non certo nel sistema dei servizi. In realtà le economie di scala sono spesso una distorsione percettiva dovuta ad approssimazioni contabili. È la stessa distorsione percettiva che spinge a prendere in affitto un bene per un lungo periodo invece che a comprarlo da subito, magari con un mutuo: nel breve periodo si ha l’impressione di spendere di meno, ma nel medio periodo le spese risultano molto più alte del costo di acquisto e di manutenzione. Per chi deve rendere conto di una gestione di breve durata, il risultato è apparentemente positivo perché rendiconta dei risparmi, mentre in realtà sta producendo danni economici temporaneamente invisibili.

Nell’amministrazione della finanza pubblica, l’espediente del risultato immediato a danno degli esiti strategici è ampiamente utilizzato e, per farlo accettare dall’opinione pubblica, si offrono dati di facile convincimento ma anche molto superficiali. Quando si pensa di ridurre le spese nei servizi pubblici, si propone di diminuire il numero delle unità operative mostrando i costi di eliminazione dello stipendio di un capo, perché esso appare immediatamente quantificabile e comprensibile alla gente comune. Gli accorpamenti di scuole, ospedali, presidi territoriali vari discendono dalla immaginazione di economie di scala realizzabili riducendo il numero delle persone di vertice. In realtà nelle strutture accorpate, le inefficienze organizzative, le sacche di improduttività e di parassitismo, l’opacità delle procedure e i fenomeni di deresponsabilizzazione nascono più facilmente, crescono, si sviluppano, si annidano e si moltiplicano molto di più rispetto a quanto sia possibile nelle piccole strutture. Il costo economico di queste inefficienze è immensamente più alto di quello degli stipendi di alcune persone di vertice, mentre il danno sociale è spesso incommensurabile. Tutti hanno potuto constatare in questi ultimi due decenni quanto sia crollata la qualità dell’istruzione pubblica, ma non tutti sanno che gran parte del crollo si deve ai cosiddetti processi di “razionalizzazione dei costi” e alla eliminazione degli stipendi di alcune centinaia di capi d’istituto.

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3) Le medie statistiche vanno bene per orientare le scelte, non per determinarle

Accanto a quello della riduzione della spesa pubblica, un ulteriore dato che viene portato a sostegno dell’eliminazione di unità operative territoriali è quello del numero degli utenti: si fissano delle medie teoriche per utente e queste medie vengono applicate indipendentemente dall’ambito territoriale, anche in aperto contrasto con il più banale buon senso. Se stabilisco che un presidio di sicurezza dei cittadini debba riguardare un numero teorico di diecimila persone, posso ottenere il risultato assurdo di avere due presidi a poche centinaia di metri in un grosso centro rubano e gli stessi due presidi a decine di chilometri in un’area scarsamente popolata. Le risposte alle esigenze di sicurezza, in questo caso, saranno apparentemente uguali, ma in realtà risulteranno del tutto incomparabili.

Per sopperire alla illogicità delle risposte teoriche medie, è stato introdotto il concetto di ambito territoriale ottimale (niente a che vedere con gli ATO siciliani, che sono basati sulla popolazione e sulle unità amministrative invece che sul territorio: sono più che altro degli ADO, ambiti demografici ottimali). Un ambito territoriale ottimale è definito sulla base di molti dati, sulla popolazione certamente, ma anche principalmente sugli elementi infrastrutturali del territorio piuttosto che sull’estensione, sui tempi necessari a coprire le distanze piuttosto che sui chilometri, sull’accessibilità effettiva piuttosto che sulle medie teoriche, sul gradiente di essenzialità del servizio preso in considerazione. L’ambito territoriale di un servizio pubblico essenziale può essere allargato fino a contenervi la maggiore popolazione possibile, ma fino ad un certo punto: vi sono limiti oltre i quali non è possibile andare perché si metterebbe a rischio o si impedirebbe di fatto l’accessibilità di parte dei cittadini a quel servizio, con un esito quindi di disparità di trattamento e di ingiustizia sociale.

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Se si osserva la situazione del Tribunale di Nicosia alla luce delle tre considerazioni svolte (controllo del territorio, efficienza delle piccole strutture, determinazione ottimale di un ambito territoriale), si ottiene in tutta evidenza una sola conclusione: l’eventuale soppressione del Tribunale di Nicosia costituirebbe un assurdo politico, un assurdo economico e un assurdo sociale. Questo quadro composito di assurdità, di per sé insostenibile in qualsiasi sede di semplice buon senso, diviene inaccettabile se si pensa che, nel caso in questione, si tratta di offrire ai cittadini un servizio, quale è quello della giustizia, che appartiene alla schiera dei diritti costituzionalmente garantiti.