Troina. Vastedda cu sammucu e ‘nfasciatieddi

Troina posta in provincia di Enna, ai margini meridionali dei Nebrodi, in una zona ricca di boschi e di pascoli, la cittadina di Troina, oltre che per la storia millenaria, è conosciuta per le bellezze paesaggistiche, l’aria pura che vi si respira e, particolare da non sottovalutare, per la gastronomia locale.

Chi vi soggiorna può avere il piacere di gustare dei piatti unici nel loro genere, caratteristici di una cucina legata ancora ad ambienti agro-pastorali, propri delle zone montane; e tra questi primeggiano alcuni piatti rustici, tra i quali la “vastedda cu sammucu” (denominata anche “vastedda ‘nfigghiulata”), ed i “‘nfasciatieddi”.

La voce “vastedda”, con le varianti “vastella” e “guastella”, assume in Sicilia il significato di focaccia o scacciata, derivando dal francese antico “gastel”, ma la si riscontra pure nel normanno “guastel” e “wastel”. Quanto all’aggettivo “’nfigghiulata”, viene definita una focaccia farcita in abbondanza con tocchetti di salame e tuma.

Pertanto, per le origini francesi del termine, tale focaccia può essere ricondotta al periodo medievale, ipotesi supportata anche dalla tipologia degli ingredienti impiegati, ottenuti dalla lavorazione della carne di maiale, quali salame, strutto e pancetta, quando quest’animale era tenuto in grande considerazione ed allevato prevalentemente allo stato brado, cibandosi di ghiande.

La parola “vastedda” assume diversi significati nell’ambito delle varie province siciliane e talvolta anche da comune a comune. Si tratta di un antenato della pizza nell’ennese o di un grosso pane, detto anche “guastidduni”, nell’agrigentino e nel nisseno; una sorta di pane semi-integrale fatto con semola grossa nel siracusano. Addirittura, nel Belice, per “vastedda” viene indicato un formaggio a pasta filata di forma rotonda e schiacciata. Un altro pane particolare, denominato “vastiédda”, viene prodotto nel ragusano, preparato nel passato il giorno di Pentecoste e consumato in segno propiziatorio; alla farina impastata come per il pane comune, vi si aggiunge un’adeguata quantità di fiori di sambuco.

Autori che si sono occupati di gastronomia siciliana definiscono la “vastedda” una pagnotta del diametro di 20-30 centimetri od anche più grande, la quale presenta una mollica gialla, spugnosa, morbida e fragrante ed una crosta dal caldo colore bruno. Da una versione “schetta”, vale a dire celibe, che in senso figurato significa “priva di qualcosa”, si passa alla versione “maritata”, cioè “completa”, che è quella che si avvicina di più alla focaccia troinese, presentandosi quest’ultima più ricca per l’aggiunta di aromi e farciture.

La “vastedda cu sammucu”, prodotta a Troina, può essere assaporata e gustata a partire dalla tarda primavera, in occasione della fioritura del sambuco (“Sambucus nigra”), un alberello delle caprifoliacee, che cresce spontaneo nei luoghi freschi o viene coltivato nei terreni fertili, i cui fiori bianchi e molto profumati sono impiegati, appunto, per aromatizzare ed insaporire questa tipica focaccia, elemento da non trascurare per la riuscita del piatto.

Il prodotto in questione è di esclusiva produzione della cucina troinese, al punto che gli abitanti dei paesi viciniori pur conoscendola, non riescono quasi mai a cimentarsi nella sua preparazione.

La focaccia, nel passato è stata conosciuta, anzi gustata, anche da scrittori famosi; per esempio, nel 1908 il verista Federico De Roberto, in soggiorno a Troina presso amici, in una lettera inviata alla madre confidava di aver mangiato una “vastella imbottita”, una sorta di focaccia non molto leggera ad essere digerita!

Gli ingredienti, come già detto, sono semplici: farina di grano duro (semola); lievito naturale (“criscienti”) o di birra; acqua; sale; strutto (“saìmi”); latte ed uova; per l’impasto; tuma fresca tagliata a fette, meglio se ottenuta da latte vaccino; salame (“ferlata”) affettato e posto a strati; dadini di pancetta (“vintrìsca”) soffritta; per la farcitura. Il tutto cosparso sia nell’impasto sia esternamente da abbondanti fiori di sambuco. Fino a qualche anno addietro, in alternativa alla semola, poteva essere utilizzata la cosiddetta “majorca”, antica varietà di grano gentile, dalla quale si otteneva una farina che dava un prodotto più bianco.

L’impasto, eseguito in maniera energica, assieme ad un’attenta cottura nel forno a legna, dal quale si ottiene doratura e fragranza, rappresentano fattori fondamentali per la buona riuscita del prodotto. Ed in questo contesto risulta valido un detto comune tra le massaie: “’a massara cienni e ‘mpasta, ‘u funnu conza e vasta”; queste, inoltre, invocando il patrono per ottenere la buona riuscita del piatto, si segnano con la croce e, nel momento in cui le forme si fanno scivolare nel forno, recitano più volte “San Suvviestu bieni e priestu!”.

La struttura della “vastedda cu sammucu”, esternamente a crosta croccante, è composta nel suo interno da due strati di pasta, separati o intramezzati dalla farcitura; a cottura avvenuta, lo spessore non supera i 6-8 centimetri. Tradizionalmente di forma circolare, come la cosiddetta “’mpanata”, oggi prevale la rettangolare, simile alla “scàccia”, ma con dimensioni variabili. L’apporto calorico medio, per 100 grammi di prodotto, è stimato in circa 280 Kcal.

Se fino a qualche anno addietro la “vastedda” veniva preparata esclusivamente in primavera, non solo perché coincidente con la fioritura del sambuco, ma perché tuma ed altri ingredienti sono propri di questa stagione, facilmente reperibili nelle campagne e nelle masserie, oggi la produzione avviene durante tutto l’arco dell’anno per conto dei panificatori, data la cospicua richiesta del prodotto da parte di cultori ed affezionati a tale genere di cucina, con l’impiego in questi casi di fiori di sambuco essiccati.

Attraverso una sagra gastronomica, ideata ed organizzata dalla “Pro Loco Troina”, la cui prima edizione risale al 1987, oggi questo piatto ha raggiunto la piena valorizzazione, avviandosi nella fase di tipicizzazione grazie anche a Slow Food; da qualche anno, inoltre, “vastedda” e “’nfasciatieddi”, sono inseriti nell’elenco nazionale dei prodotti tradizionali.

Un disciplinare di produzione che dovrà garantire la genuinità degli stessi prodotti, è stato siglato, da una parte, dal Comune di Troina, Pro Loco e Sezione Operativa dell’Assessorato Agricoltura; mentre, dall’altra, dai produttori, principalmente panificatori, bar e ristoratori. Nelle famiglie, comunque, si continua a fare riferimento ai ricettari trascritti nei vecchi e sgualciti quaderni di cucina.

Visitando la sagra, che si tiene annualmente a fine giugno presso l’antico loggiato del monastero di Sant’Agostino, oltre a poter assaporare la rinomata “vastedda cu sammucu”, offerta dai locali panificatori e ristoratori, è possibile conoscere altri piatti della gastronomia troinese, tra i quali primeggiano i cosiddetti “’nfasciatieddi”, dolci da forno della pezzatura di circa 40-50 grammi, a base di vino cotto di fichidindia rivestiti o, meglio, fasciati, da un involucro di pasta di biscotto.

“Vastedda cu sammucu” e “’nfasciatieddi” si inseriscono, altresì, nel cosiddetto “Festino di San Silvestro”, manifestazioni a carattere folkloristico-religiose in onore del patrono, che si tengono ogni anno tra maggio e giugno. Nell’ambito dei pellegrinaggi che si svolgono sia a piedi sia con cavalli e muli bardati e carichi di alloro, si suole offrire ai devoti di ritorno dal “viaggio”, calde fette di “vastedda”, biscotti al lievito, “’nfasciatieddi” e traboccanti bicchieri di vino.

In questo contesto, i due prodotti, realizzati dalle abili mani delle massaie, così come la preparazione si è tramandata per secoli, divengono piatti devozionali della religiosità popolare.

 

Nicola Schillaci