“Yes web can”. La campagna elettorale locale, ai tempi del social network

Questo si prospetta il periodo migliore per parlare di come le cose siano cambiate. E non tanto per un generico lamento introdotto da un “ai miei tempi…”, quanto per constatare come certe logiche abbiano costretto gradualmente anche i politici più recalcitranti a ripensare sé stessi da una prospettiva differente. Certo, ormai non si parla di democrazia se questa non include il web e questo è pacifico. Eppure molto ci sarebbe da attingere dal passato (ma da un passato remoto!) e ridarvi nuovo lustro, visti i tempi. Un esempio su tutti: nell’antica Roma repubblicana i candidati facevano propaganda in proprio (evidentemente i rimborsi pubblici ai partiti non erano cosa loro), nonostante i sostenitori riuniti in comitati elettorali e nonostante i programmata, messaggi elettorali appositamente dipinti sui muri dagli scriptores. Interessante che la bagarre elettorale avvenisse senza esclusione di colpi, così come di monumenti. Per preservarli, venivano poste nelle epigrafi delle apposite scritte del tipo: “Tu che scrivi sui muri, ti prego, passa oltre questo monumento; il candidato il cui nome sarà qui scritto, faccia fiasco e non sia mai più eletto ad alcuna carica”; oppure: “Possa il tuo candidato essere eletto… e sii tu felice, o scrittore, se qui non scriverai”. Di questa prassi, la storia ci conserva pochi esempi purtroppo. Le campagne elettorali che ci rimangono più impresse, quelle che hanno più dominato la nostra memoria perché più longeve nella storia della politica locale, sono i vecchi comizi di quartiere, affiancati e poi sostituiti dai comizi di piazza. L’uno che parla alla moltitudine, si infervora, gesticola animatamente dinanzi ad una platea che si lascia guidare dai toni della voce e dai gesti. Erano i comizi in cui si rifletteva un vecchio sistema partitico barbaramente ucciso perché ritenuto scomodo. Per capirci meglio: erano i comizi cui partecipavano i nostri nonni o i nostri padri, forse gli ultimi fortunati testimoni dell’epoca in cui a un simbolo corrispondeva un’ideologia e a questa un concetto tanto astratto in questa fase: “coesione”, ne avete mai sentito parlare ultimamente?

Interessante notare dai manifesti, come anche la fisicità del candidato tipo sia cambiata nel tempo: non c’è più spazio per le posture ingessate da camicie inamidate. Ora l’autorevolezza passa da quella confidenzialità che rende un messaggio più credibile. Ora, i polsini della camicia vanno sbottonati e le maniche rigorosamente rimboccate sugli avambracci. Se si sbottona appena  la camicia e ci si toglie la cravatta è ancora meglio.

Fortunati noi, che di residui di vecchi comizi di piazza ne facciamo ancora uso. Anche se, come in ogni rivoluzione radicale che si rispetti, siamo nella piena fase in cui “vecchio” e “nuovo” si affiancano. Vale per la tecnologia, così come i candidati (a giudicare dalle liste leonfortesi). Si affiancano, sì, ma in un processo osmotico che non li vedrà mai mescolati. A questa fase, generalmente, segue la successiva in cui il “nuovo” soppianta il “vecchio”. Vale per la tecnologia, vale per i candidati. Oggi una campagna elettorale che si rispetti non può prescindere dal web (e da ben prima dell’avvento di Grillo, si vedano i vecchi portali del Pdl e del vetusto Ulivo). Il perché è presto detto: Zygmunt Bauman, in “Modernità liquida” mette l’accento sulla profonda individualizzazione, di cui il web è complice. Siamo soli ma interconnessi e presi dalle interazioni che avvengono in agorà virtuali. Nulla di apocalittico in tutto questo, perché in questa analisi ci inserisco le peculiarità di una politica “local”, basata su un attaccamento alla vecchia scuola politica, che nella nostra zona pare essere più spiccata che altrove. In barba all’arretratezza che da fuori ci affibbiano, noto con estremo piacere che Facebook rimane in una posizione ancillare rispetto al contatto umano (sarà agée, ma che ci posso fare se sono ancora convinta che un’energica stretta di mano valga più di cento like su Facebook?), alla piazza che si raduna davanti a un comizio. Il tutto senza togliere al social network quella prerogativa che lo vuole terreno fertile per comitati cittadini e gruppi. Partendo da un interesse comune, i ragazzi propongono e progettano. Protestano. Agiscono. Con o senza simboli partitici, con o senza precise collocazioni politiche (e del resto, occuparsi del bene comune del proprio territorio non è già politica?). Penso a gruppi che seguo, come “Assoro , la politica siamo noi”, “Leonforte”, “Assoro prima di tutto” e via discorrendo. Anche i nostri candidati hanno fatto proprio questo assunto, per cui da sinistra e da destra è tutto un fiorire di fan page, da cui originano quotidianamente spunti, confronti sani e perché no, anche quel piacevole sfottò, goliardico e mai pesante, tra supporter di questo o quel candidato. Nelle campagne elettorali “di paese”, sappiamo dimostrare di poterci ancora muovere con destrezza tra virtuale e reale, senza abbassare la guardia nella battaglia a colpi di mouse e senza perderci il canonico appuntamento sotto il palco, in attesa che il comizio inizi.  

 

Alessandra Maria