Teatri di Pietra. Al teatro antico di Morgantina: “Le Rane”

Aidone. Per la rassegna, ideata da Capua Antica Festival e diretta da Aurelio Gatti, lunedì 12 agosto al teatro antico di Morgantina andrà in scena “Le Rane”.
Una parodia della decadenza politica e culturale dell’Atene dell’epoca del 405 a.C., ma soprattutto una riflessione sul teatro e sulla vita morale e sociale, all’indomani della morte di Euripide e Sofocle, ultime guide intellettuali della polis. Protagonista è Dioniso, il dio del teatro, ma che qui non è più il seducente straniero delle Baccanti, bensì un patetico personaggio in cerca d’autore, un attore senza ruolo al quale avanzano battute tragiche che, fuori contesto, risultano penose e grottesche. Aristofane guarda con nostalgia al passato perché sia evidente il vuoto presente. Ma noi nel vuoto ci stiamo da un po’, non stiamo assistendo alla fine di un mondo virtuoso, siamo già oltre la degenerazione e lo sgretolamento della nostra società. Il finto cambiamento si è svelato in tutta la sua volgarità lasciando solo smarrimento, vuoto, macerie. La cultura non si mangia, l’arte non produce, la gente vuole ridere. Così siamo pieni di cimiteri senza lapidi ove regna silenzio e oblio. In scena uno di questi cimiteri, con obsoleti pezzi di scenografia, attrezzeria teatrale in disuso, personaggi-relitto, burattini rotti. Due servizievoli “becchini” coprono con rituale cura il gruppo di oggetti e uomini e, di tanto in tanto, aggiungono qualcosa o qualcuno. Inaspettati giungono sulla scena Dioniso e il suo servo Xantia, ovvero un sognatore ottuso e goffo guidato dal più furbo e lucido dei Sancho Panza, pronto a far “ricreare” il suo padrone, forse per affetto, forse per rigetto di quella cruda e desolante realtà che, altrimenti, lo circonderebbe. Entrambi mettono in moto l’arrugginito teatro, ridestano gli eterni personaggi che così ripopolano la scena. La scusa è ritrovare un autore degno di essere recitato, ma invece è tutto lì, in quell’Armata Brancaleone che si inventa le avventure, il senso di tale ricerca. Basta uno che sogni e altri che lo assecondino affinché si possa udire il canto delle Rane. E già, le Rane, chi sono? Le creature che stanno tra la vita e la morte, tra il sogno e l’incubo, tra la realtà e la finzione, tra il chiaro e l’oscuro, sullo Stige in attesa del trapasso, in attesa di poter cantare per essere zittite o ascoltate da chi, in bilico, sta inseguendo una chimera. Le Rane sono la poesia, che non si vede, ma è ovunque la si voglia evocare; sono la natura altra del mondo.