Di Napoli, una delle famiglie più cospicue nella storia di Troina dal XIV fino al XIX secolo

Vincenzo di Napoli vescovo 1574-1648Troina. A ricordare i Di Napoli, una delle famiglie più cospicue di Troina, le cui vicende dal XIV al XVIII secolo si sono intrecciate con la storia della Sicilia medievale e moderna, ci sono la via Prof. Giuseppe Di Napoli, la via Napoli-Bracconeri e la targa con la scritta “Istituto Napoli-Bracconeri” posta sopra il portone di ingresso dell’ex convento San Francesco.  Nella biblioteca comunale è conservato un ritratto ad olio di Vincenzo Di Napoli, vissuto nella prima metà del ‘600, al quale è intitolata la biblioteca comunale. Nel 1998 il comune organizzò il convegno sul poeta e letterato Giuseppe Di Napoli, vissuto nella seconda metà dell’800, che fu anche l’occasione per ripercorrere la storia di questo casato imparentato con l’aristocrazia siciliana. Dopo quel convegno, che rappresentò il momento più alto dell’attenzione del paese per i Di Napoli, sulla storia di questa famiglia tornò il silenzio. Oggi non vive a Troina nessuno dei Di Napoli. Questo, però, non è un buon motivo per dimenticarsene. Non foss’altro per il ruolo che hanno avuto i Di Napoli nella storia del tardo medioevo dell’età moderna di Troina in particolare e della Sicilia in generale. Le origini di questa rilevante famiglia troinese, risalgono a Nicolò Caracciolo, venuto in Sicilia da Napoli al tempo di Federico II d’Aragona nella prima metà del ‘300.  Troina era, a quel tempo, città demaniale. E’ realistico pensare che fosse proprio questo il motivo per cui venne a Troina Nicolò Caracciolo, che assunse come patronimico il nome della sua città di provenienza. Leggiamo nel documento del 1739 conservato nell’archivio storico comunale che Nicolò Caracciolo Di Napoli, nella seconda metà del 300 “possedeva de’ suoi effetti e manegiava (sic) gli interessi dell’arcivescovo di Messina”. In questo documento i Di Napoli di allora ricostruivano l’albero genealogico della loro famiglia per dimostrare che il ramo di Pietro Di Napoli, principe di Resuttano, discendeva dal loro capostipite Nicolò Caracciolo. Era un famiglia influente questa dei Di Napoli da Troina, il cui blasone era un giglio con due stelle d’oro in campo azzurro. Francesco Di Napoli era in stretta amicizia con il re Martino d’Aragona ed ebbe molto influenza a corte al punto che riuscì nell’impresa di restituire nel 1369 al regio demanio la città di Troina, che nel 1396 il re Federico III d’Aragona aveva venduto al nobile Matteo d’Alagona. Grazia a Francesco Di Napoli, la città demaniale di Troina ottenne l’eccezionale privilegio di eleggersi anche gli ufficiali di nomina regia alle cariche delle istituzioni cittadine. Lo status di città demaniale, che metteva al riparo Troina dal dominio baronale, non era una conquista definitiva. C’era sempre il rischio che il sovrano la vendesse ad un nobile. Questo rischio si concretizzò nel 1644 quando il re Filippo IV vendette la città di Troina al nobile Marco Antonio Scribani Genevose. A pagare l’altissimo prezzo del riscatto di Troina dal dominio feudale fu Vincenzo Di Napoli, vescovo di Patti e regio cappellano sotto il regno di Filippo II e III. Poco prima della sua morte avvenuta nel 1648, Vincenzo Di Napoli fu nominato vescovo di Agrigento e successivamente arcivescovo di Palermo. Un secolo più tardi, nel 1744, Carlo Di Napoli da Troina, al quale il Dizionario biografico degli Italiani ha dedicato una scheda, si trovò a difendere gli interessi dei baroni contro i quali si erano battuti i suoi antenati Francesco e Vincenzo. I baroni siciliani eressero un busto marmoreo nel palazzo senatorio di Palermo a Carlo Di Napoli per la sua brillante difesa in favore della feudalità contro il governo centrale. Dell’avvocato Carlo Di Napoli si parla anche nel famoso romanzo “Il consiglio d’Egitto” di Leonardo Sciascia. Del casato dei Di Napoli, che ha avuto un ruolo di rilevo nella storia di Troina dal XIV fino al XIX secolo, è rimasto a Troina solo un debole ricordo perché i suoi esponenti di rilievo, al culmine della loro ascesa, abbandonarono il paese per trasferirsi a Palermo.

Silvano Privitera