Leonforte. “Romanzo criminale” in Consiglio comunale: il trionfo del populismo

Il Gattopardo - Film 1963Leonforte. Come definire le sofferte sette ore di consiglio comunale di giovedì scorso? Una maratona per il bene comune? Il trionfo dell’abnegazione? La sagra dell’altruismo? Una rassegna culturale dal sapore classico? (la ripartizione selvaggia in falchi e colombe di portata nazionale ha forse fatto venir voglia di scomodare Esopo, con le sue cicale e formiche? E chi è formica e chi cicala?).
Un atto di responsabilità verso i cittadini? Vogliamo credere che sia così, ci impegniamo a farlo. Ma vediamo come si sono impegnati i consiglieri che ci rappresentano.
Un impegno e atto di responsabilità lungo ben sette, lunghe, inenarrabili, irritanti ore nel corso delle quali si sarebbero dovute affrontare numerose tematiche scottanti, vedi discussione su problematica rifiuti, cittadinanza italiana ai figli di emigrati o presidi di legalità, puntualmente rinviate; e a malapena sono stati risolti i nodi Irpef e Imu, a tal proposito sarà parso al non distratto cittadino spettatore o ascoltatore della diretta streaming che serpeggiasse un ché di populistico, qualunquistico e “tornacontistico” (concedeteci dei neologismi, la stanchezza da concentrazione può giocare brutti scherzi ad una certa ora). E v’è valido motivo che il populismo bruci come uno schiaffo in pieno viso(vedi polemica su nomina Responsabile Ufficio Settore Tecnico o mancata individuazione assistente sociale); che irritino le metafore, e suscitino un riso amaro le contraddittorie e sterili polemiche; naturalmente non sorprendono i coup de theatre che giungono – vedi un po’ – al momento di votare. A quasi un semestre di attività, tra elogi e condanne della scorsa amministrazione, ed elogi e condanne per la nuova, non si sono ancora ben distinti i ruoli di consiglio e commissione.
Lo sa bene la quinta commissione, che di riunione in riunione, di gettone in gettone, è arrivata a lavarsi candidamente le mani, lasciando “la materia prima” come l’addizionale comunale Irpef alle determinazioni del Consiglio.
Sorgerà al paziente pubblico, la domanda spontanea: ma la mole di incontri avuti in sala Placido Rizzotto a cosa è servita? Ci si trova a fine novembre a stabilire che si mantiene l’aliquota Irpef in vigore nel 2012; che l’aliquota Imu passa dall’8,60 al 10,60 per mille. Se memoria non ci inganna, già lo scorso luglio, in occasione di un incontro con la quinta commissione volto a far luce sulle finanze del comune, il dirigente di settore preposto anticipava le sorti della popolazione. C’è da pagare di più, perché il comune sta raschiando il fondo. Quindi? quindi si sapeva già che l’Imu sarebbe schizzata ai massimi livelli, già quattro mesi fa e si prevedeva un mantenimento dell’aliquota Irpef per ‘anno 2013.
Ma noi, imperterrite, continuiamo a voler credere che la proposta buttata dal c. c. Grillo in estemporanea sulla riduzione di due punti percentuali dell’aliquota Irpef, di fatto ritirata dopo la pausa di quei dieci minuti formali, leggasi due ore, sia stata fatta secondo il principio del segnale e della boccata d’ossigeno, in quanto le stesse sono state offerte come valide motivazioni. Il come, il quando, il perchè e il da dove si sarebbero dovute trovare delle alternative a questa riduzione, è un fatto secondario e risolvibile in “pausa consiglio”. Il cittadino, si, proprio lui, disorientato e guardingo è rimasto ad osservare/ascoltare il dipanarsi di una vicenda che nella realtà non offre soluzioni alternative se non quelle che lo vedono vessato di ulteriori tasse, e non per atto di responsabilità espresso dai c. c. ma per tiratina d’orecchie della Corte dei Conti. A poco serve dunque il monopoli delle congetture e dei calcoli. Il rientro in aula è una mesta processione di occhi vacui e volti interrogativi. Alcuni consiglieri si chiederanno: e ora? Che risposte diamo ai cittadini?
E molti cittadini: conta più la risposta ricevuta o le richieste fatte a chi abbiamo eletto?
A te l’ardua sentenza cittadino.
Intanto è certo, “ca cchiù scuru di menzannotti nun po’ fari”.

Alessandra Maria
Livia D’Alotto