Ultimatum al governo: “dopo l’8 dicembre riforme (nuova legge elettorale) o governo finish”

letta-renzi-governoMatteo Renzi non è un tipo che scherza. O che si tira indietro. Lo ha dimostrato anche ieri, alzando il livello della sfida con Letta: «Il Pd porterà il governo a ottenere dei risultati sulle riforme, a cominciare da quella elettorale, perché ha la maggioranza assoluta delle larghe intese. Se non si fa quello che diciamo noi, finish». Sì, proprio così, finish. Come aveva detto «game over» per Berlusconi. Non ama indugiare troppo nel politichese, il sindaco di Firenze. Che precisa meglio, non si sa mai qualcuno, nel suo partito, in quello di Alfano o nel governo non avesse capito: «In questi mesi mi hanno detto di fare il bravo e io l’ho fatto. Ora basta. La pazienza è finita. Loro ne hanno abusato: adesso usino le nostre idee se vogliono andare avanti». Un messaggio che si presta a poche ambiguità: «Se vinco io, si smette di prendere in giro gli italiani. O in un tempo limitato si portano a casa i risultati o si volta pagina». Sulla legge elettorale, per esempio, che è diventata un obiettivo primario per il primo cittadino del capoluogo toscano: «Su questa materia il governo la smetta di prendere in giro». E ancora, tanto per chiarire definitivamente il suo pensiero su questa legislatura e sulle larghe intese: «È drammatico che in una puntata dei Simpson si dica: “Questa scuola è più corrotta del Parlamento italiano”. Pensare che nei Simpson, una delle rappresentazioni mediatiche più forti a livello mondiale, si dia questa idea del nostro Paese per me è inaccettabile. Che facciamo? Si va anche noi al Vaffa day, al giorno dell’indignazione, o si cambia». Parole durissime. Parole che non vanno lette come un banale crescendo della campagna elettorale per le primarie, come sembra fare D’Alema, che quasi sfida Renzi a passare dalle parole ai fatti. Quello che non sa l’ex premier è che il sindaco di Firenze non ha problemi da questo punto di vista. Anche perché è convinto che avendo dalla sua soltanto Angelino Alfano e un pezzo di Scelta civica Enrico Letta ha ristretti margini di manovra. «Dobbiamo capire che cosa succederà dopo la decadenza di Berlusconi, ma una cosa è chiara: il Ncd non farà mai cadere il governo, proponessimo anche i soviet», ha detto scherzando a qualche amico. Come a dire che Alfano si berrà tutto e che il governo non potrà usarlo come alibi per non farsi dettare l’agenda «dal partito di maggioranza»: «Basta, siamo stufi, da adesso in poi si cambia». Del resto, Renzi ha bene chiaro in mente che il Pd o si salva imponendo il suo ruolino di marcia o rischia di condannarsi all’inutilità. E, soprattutto, non può fare da ruota di scorta a un partito come quello di Alfano che ha un decimo dei suoi deputati, come si è premurato di ricordargli Dario Nardella, deputato renziano, ex vice del sindaco di Firenze. Peraltro, il primo cittadino del capoluogo toscano, come ha confessato agli amici, è rimasto «molto dispiaciuto» per le mosse degli ultimi giorni dei lettiani: «Mentre io parlavo di legge elettorale, Europa, lavoro, loro sussurravano veline ai giornali contro di me». Insomma, il sindaco ha capito che la tregua che lui si era imposta per disciplina di gruppo e di partito con il presidente del Consiglio era stata rotta. Si era fatto un vanto di dire e ricordare: «Io sono stato leale con Enrico anche sul caso Cancellieri». Ora gli sembra di non essere stato ripagato con la stessa moneta. Le conseguenze di questo stato di cose non saranno trascurabili: vi saranno pochi lettiani nelle liste di Renzi per l’Assemblea nazionale e difficilmente i seguaci del premier saranno presenti nei nuovi organismi dirigenti del partito che verranno decisi dal 15 dicembre in poi. Un deputato vicinissimo al sindaco arriva anche oltre e dice: «Sono curioso di vedere che faranno adesso i lettiani. Loro raccontano ad alcuni giornali di avere la maggioranza dei gruppi parlamentari, ma con questo governo delle strette intese basta una piccola cerchia di noi per far saltare l’esecutivo». Cosa che non è nelle intenzioni del sindaco, purché, come ha ricordato lui stesso, sia il Pd a «dettare i contenuti del programma di governo giacché ha la maggioranza».

Dagospia – Maria Teresa Meli per “Il Corriere della Sera”