Province, consorzi, leggi ingannevoli e Sicilia centrale. Piazza Armerina resterà con Enna, non per forza ma per convinzione

Province, consorzi, leggi ingannevoli e Sicilia centrale

 Gela potrà fare la sua “provincia” soltanto convincendo Licata, difficilmente con Caltagirone

Piazza Armerina resterà con Enna, non per forza ma per convinzione

sicilia taglio provinceIntervengo, se mi è consentito, nel dibattito (già ampiamente sviluppato sul suo giornale ed ancora ricco di rilevanti sviluppi) sulle conseguenze della legge regionale n. 8 dello scorso 24 marzo, esageratamente intitolata “Istituzione dei Liberi Consorzi comunali e delle Città metropolitane”.

Ritengo naturalmente di grande interesse, considerata l’ubicazione della città di Enna, la discussione su ciò che può accadere nella Sicilia centrale: proprio in queste settimane si stanno sviluppando proposte, trattative, contatti, convegni, riunioni a più livelli che vedono coinvolti quasi tutti i comuni della fascia centro meridionale dell’Isola in vista della eventuale costituzione di nuove aggregazioni territoriali. Dal Tirreno al Canale di Sicilia, passando per Enna e Caltanissetta, vengono ridisegnate ipotesi di nuove aggregazioni territoriali facenti capo, di volta in volta, a diversi centri che si auto-propongono come comune di riferimento per numero di abitanti, per rilievo storico-culturale o per densità di servizi.

Tornerò su questo punto con puntuali dettagli più avanti, non prima però di avere evidenziato alcuni aspetti della legge approvata dall’assemblea regionale siciliana, la cui intitolazione fa venire in mente la cosiddetta “pubblicità ingannevole”.

La legge n. 8 del 24 marzo 2014 ha infatti introdotto in Sicilia sostanzialmente tre innovazioni, tutte e tre non contenute nel titolo della legge:
1) è stato cambiato il nome ai liberi consorzi, già istituiti con la legge regionale n. 9 del 1986 (il nome precedente era “province regionali”);
2) è stata regolata la costituzione delle aree metropolitane di Palermo, Catania e Messina, già previste dalla legge regionale 9 del 1986 (cambiando anche in questo caso il nome da “aree metropolitane” a “città metropolitane”);
3) sono state abolite le elezioni provinciali.

Come si può vedere, l’unica vera innovazione è l’abolizione dell’elezione diretta degli amministratori dei liberi consorzi ex province regionali.

Qualcuno potrà notare che un’altra innovazione la legge 8 l’ha introdotta: è la possibilità di dare vita, entro sei mesi, a ulteriori liberi consorzi. Ma anche in questo caso si tratta di una replica di quanto già previsto dalla legge 9 del 1986.

Insomma, il governo e l’assemblea regionale siciliana hanno riproposto un quadro già deciso dai loro predecessori 28 anni fa. Fatta eccezione – ripeto – per l’abolizione delle elezioni: abolizione che allora non si usava (eravamo a meno di 40 anni dalla Costituzione repubblicana!) e che adesso invece a quanto pare va molto di moda: diciamo che “si porta”.

Sette, otto e nove sono i numeri per tornare al passato con meno democrazia di prima. 7 era il numero della legge regionale del 2012 che il nostro presidente della Regione sbandierò da Giletti come legge che aboliva le province, 8 è il numero di questa legge che non innova nulla, 9 era il numero della legge del 1986 alla quale siamo ritornati perdendo per strada il voto dei cittadini.

Puntualizzato, dunque, che la legge del marzo scorso andrebbe più onestamente intitolata “Abolizione dell’elezione diretta degli amministratori dei Liberi consorzi e attivazione delle Aree metropolitane di cui alla legge n. 9 del 1986”, veniamo alla questione che più riguarda il territorio cui da sempre facciamo riferimento.

La vastissima, ma non molto popolata, area della Sicilia centrale è, più di ogni altra, interessata dal via libera dato alle città metropolitane di Palermo, Catania e Messina. La ex provincia di Enna è, in particolare, l’unica che confina con tutte e tre le ex province delle città metropolitane. In queste tre ex province una parte andrà alla città metropolitana, un’altra parte dovrà “ricollocarsi” in uno o più nuovi liberi consorzi, oppure aggregarsi ad uno di quelli esistenti.

Venendo proprio al consorzio (o ex provincia) di Enna, sembra che il numero dei comuni che si appresterebbero ad entrare sia nettamente superiore a quello di coloro che potrebbero uscirne. Ritengo che vadano agevolate entrambe le manifestazioni di volontà (non dimentichiamo che a decidere saranno appositi referendum popolari). È un diritto di tutti i comuni potere valutare con la massima serenità le proprie convenienze, le opportunità, i rischi, i vantaggi di rimanere con Enna o di trovare altre strade. Nè più né meno di quanto stanno facendo alcuni comuni del Palermitano o del Messinese che stanno valutando se aderire al consorzio di Enna. Il dibattito all’interno dei singoli comuni va considerato un esercizio di democrazia e di libertà. I toni forti, che probabilmente cresceranno con l’avvicinarsi del 28 settembre, termine che la legge ha fissato per la nascita di nuovi consorzi, non devono stupire e non possono essere oggetto di commenti stucchevoli o superficiali.

Particolarmente delicata risulta, in questo quadro, la situazione di Piazza Armerina, oggetto di grande attenzione da parte di Gela e, nel recente passato, anche di Caltagirone.

Va subito notato, in proposito, che Gela sta giocando una partita molto intelligente. Apparentemente Gela sembra essersi arresa, come se non fosse più interessata a creare una propria provincia (o consorzio che dir si voglia). Nei fatti, invece, sta puntando decisamente a questo obiettivo. Come? La legge regionale dello scorso marzo, al secondo comma dell’articolo 2, prevede che “nel caso di costituzione di ulteriori liberi Consorzi, il Comune con il maggior numero di abitanti assumerà il ruolo di capofila del libero Consorzio”. Quali sono gli “ulteriori” consorzi? Tutti quelli che verranno costituiti, tranne sei: Agrigento, Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa e Trapani. Infatti, con l’attivazione delle città (più correttamente, “aree”) metropolitane di Palermo, Catania e Messina, vengono automaticamente a cessare i consorzi con capoluogo Palermo, Catania e Messina per il semplice fatto che questi grandi comuni, e gli altri limitrofi, non faranno parte dei consorzi ma delle aree metropolitane, e un comune non può essere capoluogo di una aggregazione territoriale della quale non fa parte. Cosa significa tutto questo? Che non esisterà più il “consorzio di Catania” a cui Gela chiede di aderire. Il consorzio di Catania si farà in tre: l’area metropolitana con capoluogo Catania, un consorzio a nord per il quale sembra candidarsi Acireale (che conta 51.000 abitanti e che è infatti immediatamente uscita dall’area metropolitana per costituire una propria “provincia delle Aci”) e un consorzio a sud, nel Calatino, che dovrebbe avere Caltagirone (38.000 abitanti) come città più popolosa.

Quindi, quello che Gela chiama “consorzio di Catania” è in realtà il “consorzio di Caltagirone”. Se Gela riuscirà a convincere i comuni del Calatino a formare insieme un consorzio, la stessa Gela (con 76.000 abitanti) ne diventerà automaticamente il capoluogo: la legge parla chiaro. Gela quindi non ha affatto rinunciato, al contrario sta cercando intelligentemente di sviare l’attenzione parlando di adesione al “consorzio di Catania”, che però non esiste più.

Riuscirà Gela a farcela? Lo meriterebbe, indubbiamente. Si tratta della sesta città della Sicilia per popolazione, ma è circondata di concorrenti che aspirano alla stessa primazia. Non sarà facile neppure questa volta. Soprattutto se cercherà di arrivarci ai danni di Caltagirone: perché mai Caltagirone dovrebbe approvare un consorzio con Gela, nel quale il capoluogo sarebbe la stessa Gela? Può accadere, ma è altamente improbabile.

Probabilmente Gela sbaglia a cercare la sua provincia verso nord-est, mentre dovrebbe esplorare ad ovest: verso la confinante Licata, Campobello di Licata e Ravanusa (60.000 abitanti insieme). In tal modo conseguirebbe, anche mantenendo i solii comuni della Piana, l’obiettivo dei 180.000 abitanti senza far perdere il requisito di 150.000 abitanti al consorzio di Caltanissetta e, soprattutto, senza tentare l’azzardo di sorpassare Caltagirone proprio nel Calatino.

Ma anche Caltagirone non si trova messa bene: il Calatino conta poco più di 140.000 abitanti. Per conseguire la soglia dei 180.000, occorrerà convincere Lentini e Carlentini (42.000 abitanti insieme), e non sarà semplice.

E Piazza Armerina? Come si può vedere, la Città dei Mosaici si trova stretta tra il consorzio di Enna, dal quale può solo uscire (non è vero che non può farlo), e tre strade alternative ad Enna: entrare nel nuovo consorzio di Gela, oppure nel nuovo consorzio di Caltagirone o infine nel cosiddetto “consorzio di Catania” (che sarebbe una versione diversa di nuovo consorzio di Gela formato dal Calatino). In tutte e tre queste diverse strade, Piazza Armerina, con i suoi 22.000 abitanti, passerebbe dalla seconda posizione occupata nel consorzio di Enna alla terza con Caltagirone (rispettivamente dopo Caltagirone e Lentini) oppure alla quarta posizione con Gela (dopo Gela, Licata e Niscemi), e sempre alla quarta posizione, dopo Gela, Caltagirone e Niscemi, nell’eventualità del consorzio Gela+Caltagirone. Inoltre, nell’ipotesi di un ingresso nel consorzio con Caltagirone (che è sede vescovile) ma senza Gela, difficilmente conserverebbe la diocesi, rispetto non tanto ad Enna, quanto a Gela. D’altra parte, nell’ipotesi di consorzio con la sola Gela, la diocesi di Piazza Armerina perderebbe quasi sicuramente Enna (che a quel punto andrebbe con la curia di Nicosia) e di conseguenza la posizione baricentrica rispetto all’asse Enna-Gela, con un più che probabile scivolamento della curia sul Golfo.

Piazza Armerina – come del resto anche Enna – è una città troppo piccola per svolgere un ruolo determinante per la formazione di un nuovo consorzio nell’area centro-meridionale della Sicilia. Enna, Piazza Armerina e la stessa Caltanissetta sono città della Sicilia interna. potranno considerarsi nobili, ma si tratta di nobili decadute (forse fra le tre, sta meglio Enna perché ha l’università e quindi un’apertura al futuro).

Insomma, Piazza Armerina sarà sede di dibattito e di contesa in questi cinque mesi, ma la partita per i nuovi consorzi si giocherà essenzialmente tra Gela e Caltagirone. A conti fatti, a Piazza Armerina conviene rimanere seconda nel consorzio di Enna, dalla quale la divide una differenza di meno di 6.000 abitanti: un dato irripetibile in qualsiasi altro consorzio, dove il capoluogo (se fosse Caltagirone) avrebbe molto più del doppio di abitanti o addirittura (se fosse Gela) sarebbe quasi quattro volte più grande della Città dei Mosaici.

Intendiamoci: se Piazza Armerina deciderà di andare con Gela o con Caltagirone o con entrambe, non farà nulla che non sia nel proprio diritto fare. Piazza Armerina, come pure Troina, Regalbuto, Centuripe, Pietraperzia, Aidone – per citare alcune località che possono sentirsi più attratte da forze centrifughe – dispongono di amministratori, di intellettuali, di gruppi sociali e naturalmente di singoli cittadini in grado di valutare e decidere sulla base di ciò che è più utile e conveniente per le rispettive comunità.

Certo, non è facile decidere con chi stare senza conoscere bene le competenze dei consorzi, visto che la legge su questo punto rimanda incredibilmente ad una successiva legge. Ma queste sono le regole attuali e con queste regole bisogna confrontarsi. Legge o non legge, i consorzi – così come le province cui attualmente si sovrappongono – saranno in ogni caso bacini territoriali che condivideranno alcuni servizi, linee di programmazione, infrastrutture, ma anche una immagine, nel resto dell’Isola e nel Paese, fatta di elementi di civiltà, di tratti di maggiore o minore affidabilità e di maggiore o minore sicurezza sociale, di maggiore o minore produttività o di maggiore o minore parassitismo. La comunicazione è fatta anche di queste semplificazioni che possono però avere un peso determinante per lo sviluppo dei territori. Il consorzio di Enna presenta alcuni vantaggi che altri non hanno: la sostanziale parità di dimensione di tutti i comuni, l’ottima immagine sociale dovuta al bassissimo indice di criminalità, la centralità geografica del capoluogo (per quello che conta oggi un capoluogo), le condizioni ambientali e agroalimentari ottimali, la presenza della quarta università siciliana in continua crescita.

Tutti possono decidere tutto, ma sono convinto che tra cinque mesi il consorzio di Enna conterà più degli attuali 20 comuni ed una popolazione superiore a quella di oggi. E, se la logica ha un senso, ci sarà quasi sicuramente anche Piazza Armerina. Così saranno soddisfatte anche le esigenze dell’emotività.

Cataldo Salerno