I confini territoriali dell’area interna non coincidono con quelli amministrativi del libero consorzio di Comuni

enna tirrenoPenso che non sia un’operazione corretta dal punto di vista metodologico mettere in connessione il tentativo di disegnare i confini di un libero consorzio dei comuni, che comprende i comuni di quella che era la provincia di Enna e quelli che ricadono sulla costa tirrenica occidentale dell’ex provincia di Messina, con la delimitazione dell’area interna sulla quale attuare la nuova strategia per la programmazione 2014-2020 della politica di coesione territoriale. Per la loro collocazione geografica, in tutte due le questioni Troina e Nicosia sono chiamate a svolgere un ruolo di rilevo che ridimensiona la centralità che Enna ha avuto fino a quando è stata capoluogo di provincia. L’università Kore è uno dei pochi asset, inteso anche come bene collettivo, sui cui Enna può fare leva per convincere molti comuni ad aderire alla proposta di consorzio di cui è promotore il sindaco di Enna, Garofalo. Sono due questioni diverse riconducibili a due esigenze diverse, entrambe legittime ed interessanti se sono tenute distinte, che hanno però pochi punti di contatto perché non sempre i confini amministrativi di un’aggregazione di comuni coincidono con quelli territoriali di un’area interna definita da variabili economiche, sociali e demografiche e non da criteri amministrativi. Ritengo tuttora valida la definizione di area interna contenuta nel libro “Le cinque Sicilie. Disgregazione territoriale e degradazione del lavoro in un’economia assistita”, che raccoglie contributi di Roberto Cacciola, Sara Musumeci, Rita Palidda e Raimondo Catanzaro. Le aree interne, ricadenti nella Sicilia centrale, sono le aree classiche del pauperismo, dell’emarginazione e dell’esodo, contrassegnate da redditi pro capite molto bassi e fortemente dipendenti dall’esterno e tassi di disoccupazione ben al disopra persino della media regionale. Estendere l’area interna dal centro della Sicilia fino alle coste del Tirreno mi fa pensare al paradosso delle comunità montane di cui parlano Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo nel loro libro “La deriva. Perché l’Italia rischia il naufragio” come quelle della Murgia Tarantina dove nessuno dei nove comuni è montano e della Calabria che ha allargato le sue comunità montane a paesi come Bova Martina, (sul mare), Cassano Jonio (sul mare) o Monasterace, il cui territorio sale dalla spiaggia alla vertiginosa altezza di 117 metri. La commistione di queste due questioni, delimitazione area interna e costituzione di in libero consorzio di comuni, fa perdere di vista l’approccio giusto alla definizione di una strategia di sviluppo locale, che presuppone una conoscenza del contesto socio economico in cui attuare questa strategia ed una riflessione sulle esperienze condotte in passato. Dopo la fine nella prima metà degli anni ’90 dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno, in provincia di Enna sono stati fatti dei tentativi per innescare processi di sviluppo economico, che però non hanno prodotto alcun effetto significativo. Ne cito alcuni: il patto territoriale generalista e quello specialistico dell’agricoltura, i due progetti integrati territoriali “Enna, archeologia e turismo” e “Sinergia per competere”, i due Gruppi di azione locale “Rocca di Cerere” e “Terre del Sole” del programma d’iniziativa comunitaria Leader II. Bisogna capire dove si è sbagliato in questi tentativi già consumati per evitare di cadere negli stessi errori perché la coazione a ripeterli è molto forte. I dati da cui partire, e che bisogna modificare, sono principalmente due: la debolezza della struttura produttiva locale e la dipendenza dai trasferimenti esterni, che hanno dato un ruolo preponderante alla politica locale, e l’esistenza di una leadership istituzionale poco incline alla produzione di beni collettivi e con una scarsa attitudine a guidare gli attori locali a coniugare interessi individuali ed interessi collettivi.

Silvano Privitera