Leonforte. Il Comune parte civile al processo per mafia “Homo novus”

Bancarotta, arrestato Mario De Felice per fallimento La CelereLeonforte. Il Comune di Leonforte si costituisce  parte civile contro gli indagati coinvolti nell’operazione su mafia e pizzo “Homo novus”. Oltre al Comune, che è rappresentato dall’avvocato Pierfrancesco Buttafuoco, si sono costituite anche 3 associazioni anti racket. La costituzione è avvenuta in sede di udienza preliminare, che si celebra dinanzi al Gup del tribunale di Caltanissetta, che deve decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal Pm della Dda nissena Roberto Condorelli e Giovanni Di Leo, nei confronti di 13 persone. gli indagati sono Giovanni Fiorenza, 53 anni, i figli Alex e Simon, 31 e 29 anni, Mario Armenio, 57 anni, Giuseppe Viviano, 53 anni, Nicola Giuso, 38 anni, Angelo Monsù, 43 anni e Gaetano Cocuzza, 26 anni, Giuseppe Cuccia 39 anni e altre 4 persone che non sono state raggiunte da ordinanza di custodia cautelare e sono state indagate a piede libero. Il gruppo avrebbe riorganizzato il clan mafioso legato a “Cosa nostra” dopo la designazione di Giovanni Fiorenza da parte del presunto reggente di Enna Salvatore Seminara,  a rappresentante della famiglia mafiosa. A Fiorenza sarebbe stato assegnato il compito di gestire il racket delle estorsioni e le attività illecite a Leonforte, Agira, Assoro, Nicosia, nella zona industriale del Dittaino ed a Catenanuova. Gli imprenditori che sarebbero stati taglieggiati sono quasi tutti di Leonforte e a carico degli indagati i sono intercettazioni telefoniche ed ambientali che confermerebbero le loro responsabilità.  Dalle indagini che avevano portato all’esecuzione di 8 ordinanze di custodia cautelare in carcere era emersa anche l’ipotesi che il gruppo abbia promesso di sostenere l’elezione di un consigliere comunale di Assoro, in cambio di “pacchi dono per i detenuti”. L’udienza è stata rinviata per un difetto di notifica ad un indagato. Secondo le accuse che portarono al blitz scattato nel settembre del 2013 , la cosca mafiosa sgominata dalla Polizia di Enna e dalla Dda di Caltanissetta, aveva metodi tipici della vecchia mafia. Il principio era evitare richieste eccessive che potevano, in un momento di crisi, spingere le vittime a denunciare, ma ottenere il pagamento da tutte le attività produttive del territorio. Tra le diverse estorsioni individuate dagli inquirenti, solo tre vittime hanno ammesso di avere pagato il pizzo. La cosca operava autorizzata dai vertici di Cosa nostra era riuscita a intimidire diversi operatori economici. I sistemi erano due, o mettere in atto danneggiamenti, per poi suggerire di rivolgersi alla “zio Giovanni” o chiedere direttamente la tangente.  Il gruppo aveva avviato un sistema di controllo del territorio molto accurato, che comprendeva anche i potenziali affiliati o quanti potevano “dare fastidio” con iniziative criminali personali. E’ emerso che un giovane prima “invitato” a mettersi a disposizione della “famiglia” e comunque ad operare solo con l’autorizzazione è stato malmenato perché non si era adeguato al “consiglio”.

animazione 3 -Giacobbe grande