Ancora sui consorzi…

sicilia coccodrilloPassano i giorni e la cronaca si addensa, sarà il caldo, si addensa sino ad assumere l’aspetto di una polenta, di una frascatula, di una piciocia…
Un mese fa l’idea che la Sicilia centrale, montana, primigenia, tradizionale e fiera, quella Sicilia che non si vede, che resta schiacciata tra le foto di una granita ed i vips a Selinunte potesse far quadrato e scegliersi un futuro comune, pareva essere una marcia trionfale, in testa giovani sindaci dai visi freschi e dalle fasce tricolori portate con la fierezza di chi sa che è stato eletto dalla gente.
Poi la fuga di Gela, con il flop del referendum, la secessione di Piazza Armerina con il vessillo rogeriano alla testa del corteo ed un popolo pentastellato in riga per due, e il risveglio di Caltagirone.
Di oggi, invece, il dietrofront della fascia montana dei Nebrodi, certa di andar via da Messina, ma ancora indecisa se prendere la strada della provincia della costa tirrenica, magari da Miljanni a Barcellona o quella della montanità verso il centro “ennese”.
Comprensibile il ragionamento, comprensibile soprattutto in ragione dell’oramai atavico isolamento che Enna ha creato attorno se stessa, la città non condivide, non riesce a vedere al di là delle valli che la circondano, culturalmente si è “separata” dalla sua natura primigenia, rurale, basti pensare alla perdita delle fiere agricole e zootecniche, apparentemente un balzo verso la modernità, in realtà lo scippo di un ruolo che, insieme a quello minerario, dava nerbo alla produttività locale.
Ma io continuo a chiedere: ha senso pensare con chi andare, con chi consorziarsi se non sono state ancora delineate le competenze, se lo Stato, bontà sua e del riformatore Renzi, non ha ancora deciso in quali centri far permanere quelle indispensabili funzioni che fanno della presenza statale una presenza tangibile? Pensiamo alla risistemazione del sistema rifiuti, la legge ha previsto gli ARO e i sindaci hanno potuto consorziarsi e dimensionare gli stessi in ragione dei limiti della norma, non è questo il caso dei “liberi” consorzi, non sappiamo nulla, checché ne dica l’esponente pentastellato piazzese Maniscalco, che in un suo post ha dato del male informato a me e ad altri “ennesi” colpevoli di scrivere e discutere dell’argomento.
Certo, fare riforme serve a dare all’elettorato l’impressione della gran confusione, maoisticamente più confusione si crea meglio si arriva al fine ultimo, ed in questo il rivoluzionario governatore siciliano, il rottamatore Renzi, ma anche la holding Casaleggio, si ritrovano accomunati. Se fossimo partenopei parleremmo di ammuino, la confusione produttiva, noi, più siciliani, diciamo “scarmazzo”, il fuoco di sbarramento, le gran maschiate per coprire il vero movimento di truppe.
E se, invece, provassimo a partire da un presupposto culturale, se provassimo a dire: noi vogliamo un libero consorzio che faccia poche cose e bene, che sia messo nella capacità di creare la sostenibilità dello sviluppo, basato sulla agricoltura, sulla zootecnia, sul rinnovo di tradizioni manifatturiere di qualità, sulla diffusione del modello formativo Kore, sulla condivisione di obiettivi ben definiti, sul turismo relazionale e sostenibile, sulla integrità del territorio e, soprattutto, sulla solidarietà?
Se così facessimo non dovremmo pensare a tessere strade a distanza dai campanili, non dovremmo, ad esempio, giocare a rimpiattino con la gemella nissena, che ha già i suoi di problemi.
Queste due città, gemelle diverse da sempre, sin dall’antico, poste citra et ultra flumen Salsum, vicinissime ma immensamente distanti, continuano a far di tutto per allontanarsi. Le aree industriali? Avremmo potuto farne una sola nella piana tra Borgo Cascino e i Lannari, invece no, una a Dittaino, l’altra a Caltanissetta Sud, messe in modo da essere il più possibile distanti l’una dall’altra. E così nel fare aree commerciali, quasi che l’idea di avere anche un cliente della gemella diversa fosse abominevole…
Io, e non penso di esser solo, la vedo in maniera diversa, la Sicilia ha un buco, al centro, come il fantasma della pubblicità Candy, un buco fatto di politiche di spoliazione, da quella, ahinoi, nefasta maniera di unificare l’Italia svuotandone il meridione. Oggi la Sicilia sta tutta lungo il mare, nel bene e nel male, con consumo di territorio tremendo, con problemi infrastrutturali oramai irrisolvibili, il centro deve trasformarsi da buco, da vacatio, in splendida opportunità. Può avere ottime infrastrutture, prima fra tutte una ferrovia degna di questo nome, ma anche snodi vari che facciano delle già esistenti strade una rete moderna ed efficiente, può essere il luogo di una forte università ma anche il luogo della rinascita di una regione che, abbandonato il terziario, riprenda a produrre grano e non solo.
Così facendo il consorzio nasce da sé, si autogenera, seleziona le possibili partnership senza cincischiare su sbocchi al mare, campanilismi e nostalgie, territorialità diocesane, partigianerie politiche, antipatie e simpatie.
Questa è la Sicilia del grano, dello zolfo, del sale, delle pecore e delle capre, del sommacco e del lino, questa è la Sicilia delle terrecotte e del pane, del tombolo e delle frazzate, questa deve essere la Sicilia in cui ad addensarsi devono rimanere solo frascatule e piciocie ottime da mangiare anche d’estate…


Giuseppe Maria Amato
Consulente Ambientale
Presidente CEA Sicilia