Se Capizzi dice No

capizziDomenica si è svolto a Capizzi il referendum confermativo, la cittadinanza capitina è stata chiamata a esprimersi sulla decisione presa in Consiglio Comunale della adesione della cittadina nebrodense al Consorzio ennese.
Il risultato è clamoroso, i votanti, peraltro in buon numero e non come altrove in sparuta presenza, hanno chiaramente bocciato il volere dell’Amministrazione e del Consiglio, o, perlomeno, di quella parte di esso che aveva votato in tal senso (10 si e 5 astensioni).
Capizzi, quindi, resterebbe con il Consorzio di Messina, o, per meglio dire, con quella parte di territorio, ad oggi nella lungimiranza annebbiata di un Governo regionale che ha solo creato disagi e mortificazioni, che, fatta la area metropolitana di Messina, dovrebbe decidere che fare.
Un’ampia area di piccoli comuni, molti persino sotto il migliaio di abitanti, divisi in centinaia di frazioni, arroccati fieramente sui crinali a mezza costa dei Nebrodi, tutti strettamente legati a economie tradizionali di alto valore ma di scarsissima capacità reddituale.
A questo punto bisogna chiedersi: perché questo voto?
La prima lettura è quella data da diversi commentatori politici che vedono il voto come una chiara presa di posizione contro il Sindaco, Purrazzo, evidentemente non più amato dalla cittadinanza a meno di due anni dall’elezione, ma, a mio avviso non basta, se così fosse il giovane sindaco sarebbe non inviso ma letteralmente odiato dai capitini e con lui lo sarebbero i dieci consiglieri di maggioranza.
Capizzi, tra l’altro, non è semplicemente un comune dell’area montana, ma un centro che sorge al di qua della catena, che ha uno strettissimo legame con Nicosia ed in parte con Cerami, che nell’ultimo trentennio, per una serie di vicissitudini ha visto acquisire dai suoi abitanti, grandi appezzamenti di terreni e masserie nell’intera area della provincia di Enna con l’insediamento, non di rado stabile, di centinaia di capitini a Nicosia, Enna, Calascibetta, Villarosa, Leonforte, Assoro, Piazza, Nissoria, Aidone.
I capitini sono oramai strettamente legati alla “vita politica” dell’ennese, molto di più di quanto non lo siano a quella della città falcata, e molto più di quanto non lo siano i mistrettesi o i cittadini di Tusa, Reitano, Motta d’Affermo o Pettineo, allora il loro “no” diviene un no cosciente, un rifiuto diretto più che al loro sindaco, al contesto politico dell’ennese, a qualcosa che gli stessi non vedono di buon occhio. Ovvio, non saprei indicare quale aspetto del contesto possa essere così inviso ai vicini di casa, ma di certo questa riflessione va fatta, non si costruisce se non si è capaci di grande autocritica, Piazza va via, e lì, ci si rende conto, molto fa il campanile, ma se Capizzi non intende aderire al campanile va sommato qualcosa di altro.
Nel frattempo a Palermo il Governo Crocetta si è dato alla “tanatosi”, si finge morto per evitare che lo si uccida, è lì, steso come un opossum, con denti di fuori, lingua penzoloni e bava colante, tra domani e dopodomani, passato il nemico, si risveglierà con nomi vecchi/nuovi e darà vita al Crocettone ter. In questa fase, ovviamente, nulla di nuovo su fronte delle ex province, i commissariamenti vanno allegramente verso il secondo panettone, alla faccia della straordinarietà. Strade, scuole, ambiente, turismo, pianificazione, protezione civile, tutto in un limbo che si barcamena tra atti che ben poco avrebbero della ordinarietà e mancate assunzioni di responsabilità che penalizzano i nove territori.
Capizzi fu una delle città distrutte dallo Stupor Mundi, i suoi abitanti deportati in gran parte a Palermo, in quello che da allora è il quartiere della “Albergheria”, ma a differenza dei centuripini, i capitini in pochi anni erano nuovamente in sella alla loro montagna alla faccia dell’imperatore e di qualsiasi altro potente. Che oggi come allora abbiano capito l’antifona? Che Capizzi sia in realtà un luogo di Think tanks, pensatori ben più avanti del resto dell’isola?

Giuseppe Maria Amato