Esther Cicogna volontaria in Gambia, piccolo stato africano all’interno del Senegal

Esther PicognaA fronte di una gioventù a volte descritta senza valori, incompetente e senza mordente, a Enna emergono giovani con un’immagine alquanto diversa: vivono in prima linea e affrontano le sfide del volontariato con quel “di più” verso ciò che non si conosce senza pregiudizi, con la mente aperta e con coraggio. E’ il caso della ventisettenne Esther Picogna, laurea magistrale in “Global Politics and Euro-Mediterranean Relations” che, dopo varie esperienze di volontariato in Italia e all’estero, da circa un anno si trova in Africa.

A Esther, raggiunta tramite Facebook, abbiamo posto alcune domande.
Esther Picogna (3)Come mai hai deciso di andare in Africa?
“Ho deciso di partire per diverse ragioni. Innanzitutto perché mi piacerebbe diventare cooperante, ossia lavorare in paesi in via di sviluppo. Per cui ho colto con entusiasmo la possibilità offerta dal Servizio Volontario Europeo (SVE), programma finanziato dall’Unione Europea per facilitare la mobilità dei giovani e l’attività di volontariato in Europa e nel Mondo. Ma ho deciso di venire in Africa anche per poter vivere un’esperienza di vita e arricchirmi dal punto di vista umano e personale. Quaggiù sto imparando ad apprezzare ancora di più tutto ciò che noi abbiamo: dagli affetti dei nostri cari alle cose prettamente materiali, come l’acqua corrente e il possesso di un frigorifero che qui per i primi quattro mesi non avevamo”.

I tuoi genitori hanno condiviso la tua scelta?
“I miei genitori, che ringrazio tanto per essere al mio fianco, hanno reagito in maniera diversa. Mia madre fin da subito mi ha incoraggiata e appoggiata; mio padre invece inizialmente era perplesso. Con il passare del tempo, però, vedendomi felice, anche lui ha iniziato a supportarmi e ad essere orgoglioso di me”.

Esther Picogna (2)Dove ti trovi?
“Mi trovo in Gambia, il più piccolo stato africano collocato all’interno del Senegal. In particolare vivo a Gunjur, un villaggio di 20 mila abitanti”.

Di cosa ti occupi esattamente?
“Sto svolgendo un progetto SVE che verte su tre tematiche: Salute, Educazione e Ambiente. Seguo e conduco programmi di educazione non formale quali campi estivi e workshops sull’immigrazione clandestina, sulla gestione dei rifiuti e di sensibilizzazione sulle malattie più diffuse nel paese. Inoltre, ho iniziato a collaborare con una scuola materna dove assisto il maestro e talvolta lo sostituisco. Prima andavo anche all’Health Centre, una sorta di ambulatorio, però da qualche mese non lo frequento più per evitare rischi di contrarre diverse malattie e per l’allerta causata dall’epidemia di ebola. Attualmente dunque le attività inerenti la sanità sono piuttosto focalizzate sulla promozione della prevenzione a scuola e nel quartiere in cui vivo”.

Quali sono i problemi più importanti della gente con cui sei a contatto?
“Ovviamente la povertà, l’analfabetismo, soprattutto delle donne, la carenza di acqua pulita e potabile, la malnutrizione o cattiva nutrizione, l’inesistenza di discariche e di un sistema di raccolta dei rifiuti, l’immobilismo e pigrizia che spesso si traduce in uno scarso attivismo e basso spirito imprenditoriale”.

Indica tre cose sorprendenti della nazione chi ti ospita.
“Il sorriso dei bambini, l’essere immersi nel verde e nella natura talvolta selvaggia e inesplorata, l’avere costantemente una temperatura che oscilla tra i 25° e i 30°”.

Nel luogo in cui ti trovi c’è il rischio di contrarre il virus Ebola?
“Benché la situazione sia più tranquilla rispetto ai mesi di settembre e ottobre a seguito del primo e unico caso di malato di ebola in Senegal, l’allerta rimane sempre alta. Infatti, a causa del timore per la possibile diffusione dell’ebola, le altre volontarie hanno abbandonato di corsa il progetto e sono tornate ai rispettivi paesi”.

Quando pensi di ritornare in Italia?
“Salvo colpi di scena, a luglio”.


Pietro Lisacchi