DIA Catania: Nell’ennese l’influenza delle famiglie mafiose catanesi: Santapaola e Cappello

“Nell’Ennese l’influenza di alcune famiglie mafiose catanesi:
Santapaola e Cappello”
Lo dice Renato Panvino
capo della Direzione Investigativa Antimafia di Catania

 

Renato PanvinoA diciotto anni in Polizia. Una carriera brillante. In Calabria, dove ha operato per diversi anni, anche come dirigente della squadra catturanti, al suo attivo si contano circa 60 arresti di esponenti della ‘ndrangheta, tra loro, nel 2009, anche i superlatitanti autori della strage di mafia avvenuta a Duisburg, in Germania. Sempre nel 2009 ha ricevuto il premio “Saetta -Livatino” per i risultati conseguiti contro la lotta alla malavita. Stiamo parlando di Renato Panvino, 47 anni, considerato un uomo di punta nella lotta alla criminalità. Laureato in Giurisprudenza e in Scienze della Pubblica Amministrazione, figlio di genitori xibetani, Panvino, da oltre due anni, si trova a capo della Direzione investigativa antimafia per la Sicilia orientale. Sotto la lente di ingrandimento della Dia di Catania c’è anche il “cuore” dell’isola, ovvero l’Ennese, un territorio ritenuto per tanti anni “dormiente”, per poi scoprire che Cosa Nostra vi organizzava grandi summit, oggi “sotto l’influenza delle famiglie mafiose catanesi, i Santapaola e il clan Cappello”, come sostiene il capo della Dia che, quando operava in Calabria, si rifiutò di dare la mano al boss Antonio Pelle al momento della cattura. ”I complimenti li ricevo dai miei superiori, non certo da un bandito. Il rappresentante delle istituzioni è colui che ogni giorno afferma la legalità”, ha puntualizzato in occasione dell’intervista avvenuta nella sede della Dia di Catania.

 

Dottor Panvino, lei la Sicilia l’ha conosciuta fin da piccolo. A Calascibetta, terra d’origine dei suoi genitori, ha trascorso buona parte della sua infanzia. E’ ritornato in quest’isola nelle vesti di servitore dello Stato ricoprendo il ruolo di dirigente della Direzione Investigativa Antimafia.

“Certamente mi sento figlio di questa terra. Nella mia attività oltre alla professionalità ci metto anche il cuore e la passione da cittadino di questa terra. Nella domanda ha aperto una pagina importante della mia vita. Se oggi infatti sono arrivato a ricoprire questo ruolo, in particolare lo devo ai miei genitori, mia madre che non c’è più e mio padre, entrambi di Calascibetta. E non posso che provare emozione nel ricordare la mia infanzia. E per questo, pur non essendo una mia abitudine concedermi alla stampa, poiché alle parole preferisco dare risposte concrete per l’affermazione della legalità, oggi sto rilasciando questa intervista che in qualche modo mi rievoca la vita di bambino fatta di giochi e spensieratezza”.

 

L’Ennese è stato considerato “territorio tranquillo”, per poi scoprire che nei decenni passati diverse importanti riunioni di mafia sono state organizzate proprio in questa provincia. Quali sono le famiglie mafiose che influiscono nella provincia di Enna?

“Come risulta dalla relazione semestrale del direttore della Dia, generale Ferla, al Ministero dell’Interno, è chiaro che nell’Ennese ci sono delle diramazioni di famiglie importanti del catanese, tra queste ritengo che senza ombra di dubbio c’è la famiglia Santapaola, ma anche il clan dei Cappello”.

 

Quali sono le attività nell’Ennese che fanno gola alla malavita?

La nostra attenzione è rivolta soprattutto contro lo spaccio di sostanze stupefacenti, ma anche al settore degli appalti e alle estorsioni. Sono tutte attività monitorate da questo ufficio che affianca un’accurata analisi sul territorio della provincia di Enna all’opera di contrasto”.

 

Aver lavorato per anni con il procuratore di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, cosa ha significato per lei.

“Ha contribuito certamente a migliorare il mio bagaglio professionale. Ricordo un episodio. Un giorno, malgrado lui avesse avuto un lutto familiare, ci convocò a casa sua per darci ugualmente delle direttive riguardanti la cattura di un superlatitante. Nonostante il dolore non aveva tralasciato le indagini investigative. Questo è l’uomo Gratteri che fa delle Stato una bandiera”.

 

A chi sostiene che oggi la ‘ndrangheta è più potente della mafia, cosa può dire.

“Stiamo parlando di due organizzazioni che hanno destato molto allarme sociale. La mafia si è macchiata di omicidi importanti di uomini dello Stato. La ‘ndrangheta è un’organizzazione più familiare, sotterranea, sommersa. Negli anni è cresciuta ed ha ramificazioni in tutto il mondo. E per quando riguarda il traffico di stupefacenti è più avanti di Cosa Nostra. Ma nella lotta alle due organizzazioni criminali viene data la stessa importanza”.

 

Fermo restando che la cattura dei boss è sempre una vittoria per lo Stato, molti cittadini si chiedono come mai con i mezzi tecnologici che posseggono le forze dell’ordine diversi importanti uomini di mafia rimangono imprendibili.

“Intanto gli strumenti ci sono e vengono messi in campo. E anche vero che questi boss godono di certi appoggi all’interno di aree in cui loro esercitano l’egemonia mafiosa. Bisogna denunciare, avere il coraggio di staccare la spina, prendere coscienza che lo Stato è dalla parte del popolo”.

 

Giovanni Falcone diceva che la mafia in quanto fattore umano non è invincibile. Lei che idea si è fatto.

“Sono convintissimo che Falcone abbia fatto un’analisi perfetta. La mafia è un fenomeno umano, ma vanno aggiunti usi e costumi. Gli imprenditori che sono taglieggiati devono reagire, devono collaborare con le istituzioni, non debbono pagare le mazzette per avere l’appalto. Occorre creare una griglia che escluda i corruttori ma anche chi paga il pizzo. Non si deve pagare il pizzo, non si deve corrompere e bisogna denunciare. Questa è l’unica strada”.

 

 

                                                                        Francesco Librizzi