Gela, Piazza Armerina, Niscemi e Licodia Eubea: il gioco dell’oca

gioco dell ocaGuardando la vicenda dei quattro comuni siciliani (Gela, Piazza Armerina, Niscemi e Licodia Eubea) che da tempo cercano “disperatamente” di cambiare ente di appartenenza (i primi tre per aderire alla Città metropolitana di Catania, l’ultimo al libero Consorzio di Ragusa) sembra d’assistere al gioco dell’oca. Ogni volta che si è in prossimità del traguardo, si è rispediti alla casella di partenza e bisogna ricominciare daccapo.

Era già successo nel 2015. Prima la delibera dei rispettivi consigli comunali (a maggioranza dei due terzi) e poi l’approvazione per referendum non erano bastati a convincere il legislatore regionale. Il quale, anzi, con la partita in corso, aveva cambiato schema di gioco. Non più 3 (Città metropolitane) + 9 (liberi Consorzi) ma 3 (Città metropolitane di Palermo, Catania e Messina, identiche alle corrispondenti ex province) + 6 (liberi Consorzi, corrispondenti alle restanti ex province di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa e Trapani).

Succede ora. Come se la riforma delle province non fosse già abbastanza – a dir poco – accidentata, la Commissione affari istituzionali, a larga maggioranza, ha respinto i disegni di legge del governo che recepivano le nuove delibere di trasferimento dei quattro Comuni.

È una decisione politica grave, perché sconfessa la volontà reiteratamente espressa da quelle comunità locali. Ma è anche una decisione, a nostro parere, illegittima, tanto più se, come riportano le cronache, motivata dal fatto che i referendum sono stati considerati nulli perché avevano per oggetto l’adesione non alla Città metropolitana ma al libero Consorzio di Catania. Per tre motivi.

Primo. Una simile motivazione non vale per Licodia Eubea che, nella prima come nella seconda volta, aveva deciso di passare al libero Consorzio di Ragusa, rimasto, ora come allora, immutato. Si potrebbe azzardatamente sostenere che è cambiato il “punto di partenza”, e cioè il provenire non più dal libero Consorzio di Catania ma dalla Città metropolitana di Catania. Ma, ai fini del diritto, ciò che rileva è la volontà di cambiamento, non la situazione di origine.

Secondo. Quei referendum furono celebrati nel rispetto di una procedura che, come detto all’inizio, lo stesso legislatore regionale ha poi sconfessato. Quando fu approvata, infatti, nel 2015 la nuova legge, esso da un lato decise sostanzialmente di cestinare quanto fino ad allora deliberato dai quattro comuni. Dall’altro lato, però, in un sussulto di democrazia, evidentemente consapevole che non si poteva ignorare la volontà espressa da quelle comunità locali secondo le regole che esso stesso aveva stabilito, lo stesso legislatore decise che i quattro comuni in questione potevano ribadire la loro volontà di trasferimento mediante delibera dei rispettivi consigli comunali stavolta a maggioranza assoluta. Eccepire, quindi, ora l’invalidità dei referendum appare pretestuoso, oltreché infondato, giacché si fa riferimento ad una procedura che lo stesso legislatore regionale ha successivamente sostituito con altra, alla quale i comuni in questione si sono (per la seconda volta) attenuti.

Terzo. Forse qualcuno troverà divertente questo infinito gioco dell’oca, se non fosse che le regole che vengono volta per volta cambiate esprimono due principi costituzionali fondamentali: quello di legalità secondo cui lo Stato deve essere il primo a rispettare le leggi che approva e quello democratico per cui la sovranità del popolo, se esercitata nelle forme legalmente previste, va rispettata, anche in materia di auto-determinazione delle istituzioni territoriali d’appartenenza (non a caso il nostro Statuto regionale qualifica i consorzi comunali come “liberi”). Tant’è che finora non è mai accaduto a livello nazionale che tali volontà non fossero recepite dal legislatore nazionale. Volontà, peraltro, che nel caso in specie risulta particolarmente rafforzata dal fatto che le delibere dei consigli comunali sono state confermata tramite referendum.

È facile allora prevedere che se l’Assemblea regionale volesse per la seconda volta rinnegare la volontà espressa dai quattro Comuni in questione secondo la procedura da essa prevista, a questi non resterebbe altra scelta che presentare ricorso alla Corte costituzionale. L’ennesimo contro cui il Governo si dovrà difendere. E non è certamente di simili contenziosi che la Sicilia, oggi più che mai, ha bisogno.

salvatore_curreriProf. Salvatore Curreri

Professore in Istituzioni di Diritto pubblico
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