Mafia Capitale: emergono altri particolari su l’imprenditore Pranio, indagato per aver promesso denaro a Odevaine

Un importante imprenditore romano, Alessandro Presutti, parla con un suo amico e gli racconta il modo che ha utilizzato per recuperare 280 mila euro. Sono soldi che dovevano essere destinati al pagamento degli stipendi di operatori di un call center a Roma. Dal colloquio, registrato dagli investigatori del Gico della Guardia di Finanza a gennaio 2014, si apprende che la somma è stata sottratta ad un imprenditore. Presutti svela come c’è riuscito ed è venuto fuori che per ottenere la somma si è rivolto a Massimo Carminati, il delinquente abituale, indicato dai pm come il capo del clan di mafia Capitale, condannato a 20 anni con l’accusa di associazione per delinquere semplice.
Presutti racconta che l’intervento di Carminati è stato efficace e risolutivo, tanto che “il cecato” gli aveva assicurato: «Mo glieli facciamo rimettere a posto. Guarda li sto andando a prendere stai tranquillo», ed effettivamente «già gliel’hanno detto “guarda che non te li godi, vedi di metterli a posto perché non te li godi”».
Così lo raccontava Alessandro Presutti, titolare di una concessionaria di automobili a Roma, accusato nei mesi scorsi di essere diventato un punto di riferimento per i criminali romani. L’imprenditore esalta le gesta intimidatorie e criminali di Carminati. E conferma che per recuperare grosse somme di denaro andava a bussare alla spalla del capo di mafia Capitale, che all’epoca era ancora libero di circolare a Roma e di imporre la sua sìgnoria nella zona a Nord della città.
L’intercettazione dimostra il modo criminale con il quale imprenditori o commercianti recuperano somme di denaro, come purtroppo accade in territori governati e controllati dalle mafie. Perché questo modo di agire si rifà al metodo dell’intimidazione e della violenza.
La conversazione di Presutti è contenuta negli atti dell’inchiesta, chiusa nelle scorse settimane, che coinvolge 28 persone, fra cui Massimo Carminati, per i quali i pm di Roma si apprestano a chiedere al giudice il rinvio a giudizio. È un’inchiesta della procura distrettuale antimafia di Roma che punta sull’aggravante mafiosa, contestata a gran parte dei 28 indagati a partire proprio dall’uomo nero.
Carminati insieme al suo fidato camerata Riccardo Brugia, e agli altri picciotti di Roma Nord, Roberto Lacopo e Fabio Gaudenzi, devono rispondere dell’accusa di usura con l’aggravante di aver agito per agevolare l’associazione mafiosa radicata a Roma e nel Lazio, “denominata ‘mafia Capitale’ diretta da Massimo Carminati”. C’è anche Alessia Marini fra gli indagati, compagna dell’uomo ritenuto il capo del clan, accusata di intestazione fittizia di beni e reimpiego di risorse provenienti da attività illecite.
L’indagine condotta dai carabinieri del Ros riguarda la zona grigia dalla quale entrava e usciva “il cecato”. Del gruppo incriminato fa parte anche Gennaro Mokbel, ex esponente dell’estrema destra romana, in contatto con Carminati fin dagli anni Ottanta e condannato per la mega truffa milionaria a Fastweb, accusato adesso di estorsione nei confronti del commercialista Marco Iannilli, anche lui coinvolto in questa inchiesta, il quale per proteggersi dalle minacce di morte aveva chiesto ed ottenuto l’intervento del cecato. E ci sono pure i fratelli Fabio, Martina e Gianluca Gaudenzi, accusati in concorso con Carminati, di intestazione fittizia di beni che riguarda le quote della società “Immobiliare due pini srl” e a Claudio Ciccotti quelle della società “Okaos srl”. C’è pure Giovanni De Carlo, accompagnato da tre capi d’imputazione per intestazione fittizia di beni fra cui lo stabilimento balneare e il ristorante “Miraggio club” di Fregene. Indagato anche il giornalista Gian Marco Chiocci, direttore de Il Tempo, che per gli inquirenti avrebbe aiutato Carminati durante la fase preliminare dell’inchiesta, a eludere le indagini per mafia che erano state avviate nei suoi confronti.

L’imprenditore siciliano Silvio Pranio, indagato per aver promesso a Luca Odevaine una somma di denaro, sfruttando le relazioni che intratteneva con il prefetto Lavinia Rosetta Scotto (Direttore centrale dei servizi per l’immigrazione e l’asilo), l’anticipazione del denaro necessario ad acquisire e modificare dei pullman da trasferire in Venezuela, come prezzo della mediazione illecita con il prefetto, finalizzata a ottenere l’attribuzione della qualifica di centro di accoglienza richiedenti protezione internazionale (cara) a beneficio del proprio albergo “Park Hotel Paradiso” a Piazza Armerina (Enna).

Per la fornitura delle numerose schede telefoniche “dedicate” utilizzate da Carminati per parlare con i suoi complici è accusato Gianluca Iovinella. Indagato anche l’imprenditore romano Angelo Ietto, il figlio Giuseppe e la moglie Livia Schioppo e l’amministratore delle loro società Claudio Faustini. L’inchiesta coinvolge anche Sandro Coltellacci, socio di Salvatore Buzzi, anche quest’ultimo indagato per aver versato diecimila euro all’allora sindaco Gianni Alemanno che li avrebbe ricevuto attraverso Franco Panzironi. Seguono poi il consigliere del Pd Pierpaolo Pedetti, l’imprenditore delle coop Carlo Maria Guarany e l’ex direttore generale di Ama, Giovanni Fiscon.

LIRIO ABBATE per Espresso Repubblica