Troina. Il saggio di Sara Gentile sui populismi contemporanei

Troina. Sul populismo, ma sarebbe meglio parlarne al plurale per il carattere cangiante che assume, sono stati scritti molti libri. Li hanno scritti storici e politologi di valore sia italiani che di altri paesi. Tra quelli di altri paesi i più noti sono Paul André Taguieff, Paul Taggart, Ernesto Laclau e Margaret Canovan. Gli studiosi italiani che hanno fatto dei populismi l’oggetto delle loro ricerche e riflessioni sono Marco Revelli (“Populismo 2.0”, “Dentro e contro. Quando il populismo è di governo”), Nicola Tranfaglia (“Populismo autoritario. Autobiografia di una nazione”), Luca Ricolfi (“Sinistra e popolo. Il conflitto politico nell’era dei populismi”), Marco Tarchi (“Italia populista – Dal qualunquismo a Beppe Grillo”) e Sara Gentile (“Il populismo nelle democrazie contemporanee. Il caso del Front National di Jean Marie Le Pen”, “Populismi e istituzioni: la presidenza Sarkozy” e “Populismi coemporanei XIX-XXI secolo”). Nell’edizione del 2016 dell’autorevole Dizionario di politica, curato da Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino, alla voce Populismo è stato aggiunto il paragrafo dal titolo autonomo Il neopopulismo. A quanti vogliono farsi un’idea dei populismi consiglio di leggere i libri di questi studiosi partendo dall’agile e documentato libriccino “Populismi contemporanei XIX-XXI secolo” di Sara Gentile, docente di Scienza politica e Analisi del linguaggio politico presso l’Università di Catania e professeur invité a Sciences Po di Parigi. Gentile mette in evidenza il tratto comune che condividono i populismi degli anni ’70 e ’90 e gli altri che si sono aggiunti dopo: “l’appello al popolo evocato sia come depositario della tradizione e dell’autenticità della storia e dell’identità della nazione (popolo come éthnos), sia come titolare di una sovranità tradita della classe politica che non ne rappresenta i bisogni e le istanze, quindi il popolo che soffre e a cui bisogna dare voce (popolo come demos”). Nei movimenti e nei partiti populisti distingue i tratti che li differenziano. Alcuni hanno origini etno-regionaliste. Altri hanno una vocazione nazionalista. Ci sono anche quelli che provengono da formazioni di estrema destra. Altri ancora scaturiscono da un malessere diffuso nella società che si coagula in movimenti di protesta radicale e forte contestazione con una base sociale molto composita. “E’ un fenomeno polimorfo che comporta la necessità di distinguere”, avverte Gentile. C’è un elemento costante in tutti i populismi sul quale Gentile richiama l’attenzione. I populismi sorgono in una fase precisa nella storia di un paese che prepara grandi mutamenti. Nelle fasi di difficili transizioni “il populismo compare, sboccia e si sviluppa come movimento di reazione al mutamento…che amplifica ed incanala politicamente l’insicurezza e la paura di ampi strati sociali in cerca di protezione e di antiche certezze”. E’ molto eterogenea la base sociale dei populismi. Ci sono quelli più svantaggiati colpiti duramente dalle profonde trasformazioni del mondo come i lavoratori salariati, classe operaia, gruppi marginali e ceto medio minacciato di declassamento ed impoverimento. Nella prospettiva analitica di lunga durata che trascende l’evento, Gentile distingue quattro ondate di populismi. Tra la fine dell’’800 e l’inizio del ‘900 si sviluppano le prime due ondate. L’una nella Russia pre-rivoluzionaria con due partiti che si richiamano al popolo (narod) ed auspicano il ritorno alla terra in una specie di socialismi comunitario per una diversa configurazione ed organizzazione delle campagne contro il regime zarista ed il blocco sociale ad esso legato. L’altra negli Usa con il People’s Party che si batte contro le élite politiche e urbane in ascesa ed esprime il malcontento e la protesta del mondo rurale dei piccoli coltivatori minacciati dalle trasformazioni economiche e sociali che avvengono dopo la fine della guerra di secessione. La terza ondata si sviluppa fra gli anni ’30 e ’50 del ‘900 in Brasile con Gétulio Vargas e in Argentina con Juan Domingo Peròn e rappresenta la forma più compiuta di populismo del XX secolo, esempio di sintesi riuscita di autoritarismo e nazionalpopulismi, che favorisce l’integrazione politica di grandi masse popolari in processi di modernizzazione. La quarta ondata inizia dalla metà degli anni ’70 del ‘900. I populismi della quarta ondata, che nascono nelle democrazie dell’Europa occidentale, hanno alcuni tratti in comune: il costante richiamo al popolo idealizzato e non chiaramente definito; la forte personalizzazione delle leadership che li dirigono; la spiccata tendenza protestataria con vocazione antisistemica che si esprime come ostilità nei confronti delle istituzioni e delle élite di governo ed in generale della classe politica della democrazia rappresentativa; la tendenza a fare dell’antipolitica lo strumento di mobilitazione e di acquisizione del consenso delle masse. Per i movimenti e i partiti populisti la difesa dell’identità nazionale è uno dei principali terreni d’azione in cui si svolge il loro impegno. Da qui derivano l’ostilità verso lo straniero, il rifiuto dell’immigrazione vista come causa di contaminazione e degradazione della comunità nazionale, rifiuto dell’Europa unita e della mondializzazione. Considerano l’Europa unita l’espressione di potentati economici estranei agli interessi nazionali e la vedono come la causa della perdita della sovranità deièsingoli stati. Imputano la perdita di valori autoctoni dei singoli paesi alla mondializzazione, ritenuta espressione del predominio di potenti lobby economico-finanziarie internazionali. L’elenco dei movimenti populisti europei è lungo e variegato e comprende anche il piccolo, ma non per questo meno interessante, gruppo di formazioni populiste che si collocano a sinistra come Podemos in Spagna e Syriza in Grecia, che non sono xenofobi né nazionalisti. Sono contro l’Europa dei burocrati, delle banche e della finanza e si battono per Unione europea diversa, l’Europa dei popoli. Il Movimento 5Stelle in Italia non si può collocare né tra i populismi destra né tra i populismi di sinistra. Le formazioni populiste di sinistra condividono con quelli di destra alcuni elementi di fondo: il richiamo al popolo contro la classe politica inadeguata, separata, corrotta e incapace d svolgere la sua funzione di rappresentanza; una leadership fortemente personalizzata, ma non autoritaria; l’idea semplice di democrazia diretta; una diffidenza verso le procedure e le strutture complesse dei sistemi di democrazia rappresentativa. Alla base dei populismi contemporanei, come causa, c’è la crisi profonda delle democrazie contemporanee, che ha caratteri strutturali e non congiunturali e investe diversi piani della società, dall’economia alla cultura, al rapporto fra élite politiche e cittadini. Gentile osserva che “le democrazie contemporanee si muovono verso il polo opposto a quello delle democrazie partecipate non solo con lo strumento elettorale del voto, ma anche attraverso organizzazioni autonome e forme diverse di associazione nel sociale”. Si muovono verso condizioni in cui le lobby economiche e finanziarie acquistano il predominio, la politica perde la sua sovranità ed è sempre più difficile per le classi politiche di governo attuare politiche adeguate di distribuzione della ricchezza e di articolazione dei diritti per la società. Nel suo saggio Gentile descrive con chiarezza le interpretazioni del populismo che le scienze sociali hanno elaborato. Nel primo convegno sul populismo che si tenne alla London School of Economics nel 1967 furono avanzate diverse definizioni. Fu formulata la definizione di populismo come ideologia che considera la società fondamentalmente separata in gruppi omogenei ed antagonisti, il popolo puro contro l’èlite corrotta (McRae). Si discusse di un’altra definizione che considera il populismo uno stile politico, con caratteristiche precise come la presenza di una forte leadership carismatica, il pregiudizio etnico e la tendenza ad esaltare i meccanismi referendari (Canovan). Negli anni successivi il dibattito sulle definizioni del populismo continuò. Taguieff contesta la definizione di populismo come ideologia e vede nel populismo un tipo di mobilitazione sociale e politica, uno stile politico utilizzabile da differenti e spesso opposte ideologie. Elementi populisti si possono trovare sia in sistemi democratici sia in sistemi dittatoriali. Non molto di diversa da quella di Taguieff è la definizione che ne dà Laclau secondo il quale il populismo è uno stile politico che si ritrova in sistemi, partiti e ideologie diversi, talora opposti. Gentile ritiene che tale interpretazione del populismo sia “la più convincente di altre, non solo perché rende conto delle molte sfaccettature che esso ha assunto nel corso del tempo, in realtà geopolitiche diverse e distanti, ma perché consente, da un punto di vista euristico, di accostarsi alle varie specie di populismi, di varia inclinazione e colore politico, riuscendo a costruire un griglia teorica sufficientemente significativa e scientificamente corretta”.

Silvano Privitera