Licata. Troppe ore davanti alla console può causare bolle, vesciche e pruriti come è accaduto ad una ragazzina che giocava tutti i giorni per diverse ore. Il sociologo dell’Università di Udine, Francesco Pira , coautore di un libro fresco di stampa intitolato “Giochi e Videogiochi”(Bonanno Editore) lancia un nuovo appello ai genitori: “Occorre trovare il giusto equilibrio per evitare anche problemi di altro tipo, come emerge dalle nostre ricerche”
“Il caso della ragazzina affetta dalla sindrome Playstation Palmar Hidradentitis non credo sarà l’unico ed il solo. Penso che questo problema insieme ad altri si potranno ripetere se i videogames non saranno usati con un po’ di buon senso”. Ad affermarlo è Francesco Pira, sociologo della comunicazione dell’Università di Udine, coautore di un saggio ,da pochi giorni in libreria, scritto a quattro mani con il Primario Emerito di Pediatria, Vincenzo Marrali, intitolato “Giochi e Videogiochi- dal nascondino alla console” (Bonanno Editore pagg 130 euro 12 Collana Officina dei Media).
“Dalle ricerche svolte per la stesura del libro – spiega Pira – emerge lo scarso controllo dei genitori sui figli ed è quindi normale che una bambina lasciata tante ore a giocare con la Playstation, come certifica il British Journal of Dermatology abbia poi bolle, vesciche ed arrossamenti dovuto ad un uso eccessivo del palmo della mano per il continuo sfregamento contro la consolle per il sudore. Il problema è aprire un serio dibattito, come abbiamo cercato di fare nel nostro piccolo io e Marrali, su quale deve essere l’uso dei videogiochi”.
Sempre secondo il professor Pira : “in questi giorni si leggono decine di articoli su giornali e riviste su questo tema dove spesso vengono riportate ricerche all’estero. Anche noi in Italia abbiamo svolto un lavoro accurato che ci spinge a dire che è necessario chiudere subito la stagione del dibattito se i videogiochi fanno bene o male, per aprire quella di una serie riflessione su come la nostra società deve lavorare compatta per dialogare con i digitali nativi”.
Il libro contiene anche due conversazioni con Henry Jenkins,, Direttore del Comparative Media Studies Program presso il Massachusetts Institute of Technology , Thalita Maligò, Segretario Generale AESVI (Associazione Editori Software Videoludico Italiana) .
“In questi giorni – prosegue Pira che insegna Comunicazione e Relazioni Pubbliche presso l’Ateneo Friulano ma è autore di diverse pubblicazioni sul rapporto infanzia e media e coordinatore di importanti ricerche – ho letto o sentito di come le aziende si stanno attrezzando per rendere sempre più tecnologizzata la vita dei bambini sotto i 10 anni, visto che hanno catturato i pre-adolescenti e gli adolescenti, e di esperti che esprimono la preoccupazione che i bambini attraverso le nuove tecnologie possano isolarsi sempre di più.
Ebbene oggi la realtà che emerge è profondamente diversa anche nel nostro paese. Sono i genitori che rischiano di non conoscere i loro figli. Da indagini fatte su campioni consistenti il 46% acquista videogames per i propri figli con stistematicità, contro il 61% dei genitori italiani. Ed il 49% quando acquista è accompagnato dai figli”.
Ed il pediatra Vincenzo Marrali sottolinea : “Eraclito di Efeso diceva che il gioco dei bambini è il ritmo del tempo e che il bambino che gioca è un re perchè riesce a dominare spazio e tempo, spostando pezzi del suo gioco, perchè risolve la sua angoscia in quanto riesce a superare spazio e tempo. E’ il modo e il mezzo più importante e fisiologico per esprimere le proprie potenzialità psico-fisiche, determinando la formazione e la maturazione della personalità.Il percorso della crescita del bambino è segnato dalle tappe del suo gioco. Infatti passa dalla fase-o dimensione, motoria alla fase affettiva, alla fase cognitiva, alla relazionale, o delle regole, e alla fase agonistica, ossia il bambino crescendo passa dal gioco senso-motorio al gioco percettivo-motorio, al simbolismo e al gioco delle regole e al gioco collettivo”.
E dalle conversazioni con Henry Jenkins e Thalita Maligò, emergono due aspetti interessanti.
Secondo Jenkins :”Siamo ormai giunti alla fase in cui è possibile per gli educatori sviluppare giochi a costi relativamente bassi che possono competere nel catturare l’attenzione dei ragazzi al pari di quelli commerciali. Hanno certamente una estetica diversa, più stilizzata, meno fotorealistica, ma offrono pari meccanismi di coinvolgimento. Stiamo osservando che molti educatori crescono con e intorno ai videogiochi, hanno compreso la potenza dell’apprendimento che prende vita attraverso l’impiego del gioco e vogliono incrementare questo potere nelle proprie classi.
La maggior parte dei giochi commerciali oggi sono ben adattabili all’impiego nelle scuole in termini di stile, struttura e contenuto. Molti giochi da Sim City to Civilization simulano i processi del mondo reale in modi che possono essere impiegati in termini significativamente rilevanti dalle scuole. Non forniscono una piena e accurata rappresentazione del mondo, non offrono mappe o diagrammi, ma possono aiutare i giovani ad acquisire quelle abilità che li renderanno dei lettori critici e, come creatori di queste simulazioni, apprenderanno la ricerca della verità attraverso il gioco”.
La Maligò inveve avverte: “Tutti i videogiochi presenti sugli scaffali dei negozi italiani sono sicuri perché riportano sulla confezione i simboli per età e per contenuto del sistema di classificazione dei videogiochi denominato PEGI (Pan European Game Information). L’industria videoludica – prima fra le industrie del mondo dell’intrattenimento – proprio con lo scopo di proteggere i minori da contenuti potenzialmente non adatti alla loro età, si è dotata del PEGI a livello europeo a partire dal 2003 per aiutare i genitori europei a compiere delle scelte d’acquisto informate e consapevoli per i propri figli.
Come esistono film, programmi tv o libri violenti, così possono esistere videogiochi con contenuti violenti. Ma non per questo devono essere considerati “pericolosi”. Semplicemente si deve evitare che possano essere giocati da consumatori che non hanno l’età consigliata per quella tipologia di contenuti.
È importante sottolineare, però, che soltanto il 5% dei giochi immessi sul mercato è destinato esclusivamente ad un pubblico maggiore d’età, e che questa categoria ricopre appena l’8% del totale delle vendite in Italia”.
L’appello che arriva dunque, anche attraverso il nuovo libro di Pira e Marrali è quello di comprendere l’universo nuovo che si apre per bambini e ragazzi.
“Certo se si compra – spiega il professor Pira – un videogioco con il quale si fa più punti uccidendo lo vecchiette o si scarica da internet il videogames giapponese dove diventi campione violentando le donne in autobus non è educativo.
La conseguenza che ne deriva è che non stiamo parlando di educazione ai media in quanto strumenti, la riflessione che si apre sembra essere quella relativa alla necessità di scrivere delle nuove regole sociali per dare vita a una nuova cultura e dunque forse un nuovo sistema di valori”.