Teatri di Pietra al S.Ippolito di Piazza Armerina. Intervista a Ivana Monti

Le ombre degli attori si fanno grandi e quasi paurose: brulicano tra le mura, rendendo quasi rimbombanti i movimenti, sulle mura, come sul palco. Si muovono con sinuosa provocazione all’interno della Chiesa S. Ippolito di Piazza Armerina, che inaugura con “A prophet/Salomè” il circuito “Teatri di Pietra” 2010. L’opera di Oscar Wilde è riadattata dall’attore e regista Vittorio Vaccaro che irrompe nella scena nei panni dello stesso autore dell’opera, ed esordisce con la frase che dirigerà l’intera opera: “Nulla ha più successo dell’eccesso”. Tutto è volutamente esagerato e condotto all’estremo: i costumi, i movimenti provocatori, i dialoghi diretti e forti. Il rapporto tra i 5 personaggi in scena è compresso in una miscela di interrogativi che rendono umana; forse “comune”; e dunque accettabile, la drammaticità grottesca del loro stesso vivere.
La grottesca drammaticità pare addirittura assumere un che di soave, con l’irruzione in scena di una sobria e maestosa Ivana Monti: elegante, atavica, misteriosa e “teatro” ella stessa; imperiosa nella voce, capziosa nello sguardo e nella postura, rappresenta un’Erodiade dignitosa, nonostante la lussuria di chi è spregiamene accusata.
Ivana Monti si forma al Teatro Piccolo di Milano nel 1996. E’ Maddalena ne I Giganti della montagna di Pirandello, per la regia di Strehler e nel 1972 dopo l’Accademia,è Regana nel Re Lear di Shakespeare. Attrice a autrice teatrale, lavora anche al cinema, in televisione e alla radio.
Al Piccolo Teatro di Milano nel 1966, è allieva di Mimo di Marise Flach, e poi lavora con Strehler come Maddalena ne I Giganti della montagna di Pirandello. Che cosa ricorda e tramanda ancora oggi, di queste prime e fondanti esperienze artistiche?
Questo lavoro, e quello del ‘72 nei panni di Regana nel Re Lear, di Shakespeare, di Streiler, hanno rappresentato l’università del teatro; e costituiscono quelle esperienze che cerco di tramandare in questa “Salomè” con i giovani del “Teatro Urlo”; cioè l’importanza della tragedia, la lettura del potere e del comportamento dei potenti, non dimenticando che qualunque sopraffazione essi compiano, sono comunque umani con debolezze, umori e passioni che tutti gli umani hanno.
Dal 1996 si rende testimone responsabile del suo tempo dedicandosi al teatro contemporaneo. Che responsabilità ha un attore rispetto al proprio tempo; e cosa restituisce in più in tal senso, il teatro contemporaneo rispetto ai classici, che pure rispecchiano problemi sempre attuali?
I Classici hanno già inventato tutto e con una profondità e una poesia e la ricerca di un linguaggio forse ineguagliabile; per quanto riguarda i contemporanei, mi viene in mente Harold Pinter : un portoghese-inglese che io ho più amato e che è stato Premio nobel . Lui è uno di quelli che decodifica il nostro linguaggio di oggi e cioè la superficialità degli argomenti che noi usiamo ed il silenzio che invece mettiamo sopra le cose importanti. Siamo una generazione che non dice più le cose importanti ma solo cose fatue; lo vediamo dalla televisione che ci rappresenta perfettamente. Una generazione che vive le tragedie non comunicandole e non esponendole, non parlando dei propri problemi finché questi scoppiano in tragedie vere: omicidi e quant’altro. Quindi gli autori contemporanei sono i campanelli di allarme che ci indicano dove sta andando la nostra umanità e la nostra generazione, perciò è dovere dell’attore seguirli e rappresentarli.
Sempre in questi anni, si dedica alla ricerca storica d’Italia attraverso memoria, tradizione e letteratura con l’aggiunta del canto popolare e della musica popolare e colta. Cosa ha ritrovato e scoperto di nuovo in questa immensa storia che è l’Italia. Di quali altri strumenti si avvale per sviscerare i confini della memoria?
Lo strumento principe è lo studio, è la ricerca, i libri, le biblioteche e la curiosità; e poi quell’intuizione che un attore ha sempre, e riesce a connettere certe cose sotterranee che una parola dopo due secoli fa riemergere; ciò vuol dire che quell’autore o quel significato, ha viaggiato attraverso le generazioni fino a essere ripresa e ristudiata e riproposta. Per quanto riguarda il canto popolare, io sto cercando di situarlo nel momento in cui è nato: dentro alla sua storia, alle esigenze, alle lotte, alle occasioni per cui quel canto popolare è nato. Mi sono dedicata molto alla Sicilia, ai fasci siciliani, e alla ricerca storica sulle donne.Lo spettacolo che farò tra poco, è “Sebben che siamo donne” : parla di loro nella storia d’Italia, dal risorgimento alla costituente; e quindi ci sono nomi, cognomi di donne che non sono nemmeno citati o ricordai dalla storia maschile e maschilista. La ricerca conduce ad una scoperta necessaria per poterci riscoprire sempre diversi, e migliori anche.
Attrice e autrice, qual è il filo conduttore che lega queste sue attività cui si dedica diligentemente?
E’ la voglia di fare qualcosa per il cambiamento della società
In scena la tragedia in un atto tratta da Salomè di Oscar Wilde, di Vittorio Vaccaio. Vi si racconta un mondo lussurioso, peccaminoso, capriccioso e avaro. Protagonisti: Erodiade e Salomè, due antagonisti di un mondo che non si vuole mostrare “perfetto”; ieri come oggi; un oggi in cui anzi piace far rabbrividire per gli abomini compiuti dagli uomini. Sono i due protagonisti ad essere negativi, o il mondo che li circonda a essere un po’ accondiscendente verso certe azioni non giuste?
Qui scatta il collegamento tra il passato e il presente; a questo serve il teatro: collega i secoli. C’’è accondiscendenza da parte della gente di fronte a certe prevaricazioni, e sempre fino a un certo punto . Cito ad esempio Erode: figura importantissima; non è Erode il Grande ma il figlio: Erode Antipa; trattato da Wilde in maniera diversa del racconto della Bibbia: dove la madre Erodiade, lussuriosa e sfrenata, chiede alla figlia di chiedere in cambio della danza, la testa di Giovanni Battista che aveva rifiutato di giacere con Erodiade e che la insultava e la malediceva per i suoi peccati. Qui, non è Erodiade che dice di chiedere la testa; è Salomè, che provocante nei confronti di Erode, gli chiederà la testa quindi ci sono tante cose dentro. Ripeto, forse sono dei mostri ma sono sempre umani, quindi anche loro hanno amore reciproco; allora, forse, mostri ci siamo un po’ tutti.Quindi c’è sempre il mistero della umanità che va scavata, frequentata e conosciuta.
Erodiade e Salomè, lussuria e ricchezza. Come coesistono tali caratteristiche nell’opera ed oggi?
Tutti e due rappresentano un tutto. Erodiande è la lussuria che ancora frequenta i nostri giorni, e il potere, e il giudizio. Però c’è il timore di Dio, di cui Erode stesso è rispettoso; mentre Erodiade e Salomè non se ne mostrano rispettosi, e quindi neanche della coscienza, del limite, e per questo non si pongono mai come stereotipi ma come interrogativi aperti. A questo serve il teatro: approfondire degli argomenti e non mettere soltanto etichette.
E come ha trovato questa sua collaborazione con il Teatro Urlo, e se ne prevede altre in futuro?
Potrebbero essercene perché no, ci siamo trovati benissimo. Mi è piaciuto il lavoro che la riduzione e l’adattamento che Vittorio Vaccaro mi ha mandato della Salomè, e l’ irrisione che c’è dentro e che è tipica delle generazioni giovani. E ho trovato interessante l’immediatezza, la forza, la volontà anche fisica dei giovani di Teatro Urlo; e tutto questo viene rispettato nello spettacolo che ci apprestiamo a mettere in scena.

Aurica Livia D’Alotto

Foto Maria Catalano