Venerdì Santo a Villarosa e Villapriolo

Villarosa. Anche quest’anno il miracolo si è rinnovato. Non un miracolo nel senso comune del termine, ma qualcosa che dalle nostre parti ha qualcosa di prodigioso. Perchè è nella Settimana Santa, in particolare il venerdì, che le due comunità, Villarosa e Villapriolo, si risvegliano e ritrovano l’idendità e la memoria. “Il Venerdì Santo è la festa primaria –ha detto mons. Salvatore Stagno-, la la più antica, la più sentita da tutta la popolazione e tutti partecipano con devozione e attenzione”. Infatti, se la Settimana Santa è dappertutto carica di significato e commozione, anche le due comunità villarosane sono un esempio di religiosità dove il culto della passione e della resurrezione di Gesù Cristo è ancora vivo e vivido come un tempo. Ieri, a Villarosa il momento cruciale è stato rappresentato dalla sfilata solenne del Cristo alla colonna, affiancato da San Giovanni e l’Addolorata, delle confraternite maschili di San Giovanni, del Santissimo Crocifisso, del Santo Sepolcro, di Santa Barbara, San Giacomo e delle due confraternite femminili Madonna della Catena e Addolorata, che puntualmente, ogni anno, con i loro vessilli, le loro divise e tanta spiritualità, rendono il rito particolarmente suggestivo.

A Villapriolo, invece, hanno occupano uno spazio di rilievo “i lamenti”, antichissimi canti in un siciliano ristretto che accompagnano la processione con l’urna del Cristo Morto per le vie del paese. A Villapriolo, quest’anno per la prima volta c’è stata una picola variante nel secolare tragitto processionale, ma è stato sempre in via Bongiorno il tradizionale incontro tra Cristo, San Giovanni e l’Addolorata. La processione si è conclusa al calvario, dove ci sono stati alcuni momenti di intensa suggestione che lasciano il segno, come quello della crocefissione. Di solidarietà e di condivione del dolore ha parlato don Salvatore Bevacqua nell’omelia che, per tradizione, si svolge da un balcone di via Alongi. “Sono molti –ha sottolineato- che pensano a progetti strabilianti per far progredire l’uomo e tanti dimenticano che l’uomo continua a morire, a perdere il suo sangue e cioè la sua vita. Perchè lasciato solo, perchè nessuno gli sta accanto per usargli carità e prestargli il fraterno servizio. Non sempre sappiamo accorgerci del fratello che ci è accanto. Impegnamoci, seguendo l’insegnamento di Gesù, ad aiutare chi è in difficoltà”. Una riflessione, dunque, ampliata quella di don Salvatore che non può non toccare le sponde del Mediterraneo a noi vicine, quanto sta accadendo a un passo da casa nostra, le drammatiche vicende dei Paesi nordafricani e mediorientali, sconfinate distese di devastazione, fughe e morte. Ma di fronte a noi c’è anche il volto dell’uomo sfigurato dall’esclusione sociale, dalla piaga della disoccupazione, originaria fonte di povertà di sempre più numerose famiglie, di tanti giovani che hanno perso la voglia di vivere (è ancora aperta la ferita nella comunità villapriolese del recente suicidio di un giovane di 33 anni). E la mancanza di lavoro è, a sua volta, causa di malcontento, frustrazione, fonti diverse di violenza, degrado economico e morale. Ecco don Salvatore, ieri, ha toccato il cuore del problema: il valore della dignità dell’uomo. Un’omelia che è stata un monito ma anche un messaggio di speranza. Perchè Pasqua, che è tempo di speranza e di liberazione, deve servire a riaccendere il fuoco dell’amore degli uomini.

Pietro Lisacchi