Enna, trasferimento di una madre lavoratrice: illegittimo se c’è aggravio di spese

Enna – È illegittimo il trasferimento di una dipendente se il cambio di sede va a discapito delle esigenze personali e familiari. Lo ha deciso il Tribunale di Enna, che recentemente ha rigettato il ricorso della Società Roberto Abate Spa contro la decisione in primo grado del giudice del lavoro (sentenza del 17 ottobre 2017) al quale s’era rivolta una lavoratrice con contratto full-time del supermercato “Ard” di Piazza Armerina, che il 21 gennaio 2017 ricevette – insieme a una collega – la comunicazione di trasferimento nel punto vendita di Leonforte a decorrere dal successivo 26 gennaio.
L’azienda motivava il trasferimento della dipendente per esigenze tecniche e organizzative, ritenuto strumentale e infondato e impugnato per chiederne la revoca dall’organizzazione sindacale UILTuCS territoriale Agrigento-Caltanissetta-Enna – diretta dal Segretario Generale Michelangelo Mazzola -, alla quale le due donne si erano iscritte qualche settimana prima.
La UILTuCS, non avendo avuto riscontro alla richiesta di revoca, ha avanzato ricorso presentato tramite lo studio legale Antonino Minacapilli di Piazza Armerina, che ha assistito in giudizio le due dipendenti della azienda. Il legale ha sollevato l’illegittimità del trasferimento senza che siano state preventivamente valutate le esigenze familiari della lavoratrice – madre di un figlio piccolo – e che il cambio di sede comporti un’eccessiva onerosità delle spese per la dipendente, per i costi conseguenti al trasferimento della sede di lavoro. Il giudice del lavoro, con propria ordinanza, aveva dichiarato la nullità del trasferimento, reintengrando in servizio la dipendente nella sede originaria.
Nella motivazione della sentenza, il collegio giudicante di seconde cure (al quale s’era rivolta l’azienda impugnando l’annullamento del trasferimento disposto dal giudice) recentemente ha evidenziato il «notevole disagio e sacrificio legato alla necessaria permanenza, per tutto l’arco della giornata, in una sede lontana dal luogo di residenza per una madre con prole di appena due anni, con conseguente lesione della propria serenità a causa del continuo e permanente distacco dai propri familiari».
I giudici del Tribunale, dunque, riconoscono che «il trasferimento in un diverso ambito determini uno sconvolgimento della vita familiare e sociale, che va ben al di là di un mero disagio materiale e psicologico e che non si presta ad essere adeguatamente riparato ex post in termini puramente economici».
“Si tratta di un’importante vittoria che restituisce la serenità a una madre lavoratrice, alla quale vanno garantite le tutele e i diritti previsti, compresa la libertà dell’attività sindacale che spesso viene lesa dal datore di lavoro con atteggiamenti discriminatori e punitivi – commenta Michelangelo Mazzola, segretario territoriale UILTuCS Ag-Cl-En -. Nel caso in questione, la dipendente e il sindacato hanno dimostrato che il trasferimento era infondato e che ha comportato anche disagi familiari per la donna. Il nostro sindacato continua a restare sempre al fianco dei lavoratori”.