Regalbuto. Professore condannato per violenza sessuale in danno di due minori di anni quattordici, ma altre ragazze coinvolte

Regalbuto. Il sig. Vito Cutrono è accusato di violenza sessuale in danno di due minori di anni quattordici, consumatasi in più occasioni, tra il 2010 e il 2013, all’interno del garage dove lo stesso teneva lezioni private di inglese, è stato appurato che nessuna penetrazione è avvenuta a danno delle ragazze tutte coinvolte. In primo grado, l’imputato sceglieva il rito abbreviato e, in data 22 gennaio 2015, veniva condannato dal Gup presso il Tribunale di Enna alla pena di anni 1 e mesi otto di reclusione, previa riqualificazione del fatto contestato nel delitto di “atti sessuali con minorenne” di cui all’art. 609 quater c.p. e applicazione della circostanza attenuante del caso di “minore gravità”.
La Corte di Appello di Caltanissetta, in data 12.11.18, accogliendo gli atti di impugnazione del Procuratore Generale e delle parti civili, quest’ultime rappresentate dagli Avv.ti Fabrizio Siracusano, Maria Donata Licata e Mattia Serpotta, riformava la sentenza di primo grado e, riconosciuta la correttezza dell’originaria contestazione di violenza sessuale, condannava l’imputato alla pena, diminuita per il rito, di anni cinque di reclusione, dichiarandolo altresì in perpetuo interdetto dai pubblici uffici, e al risarcimento dei danni in favore delle persone offese.
Nella sentenza di primo grado si legge del coinvolgimento di altre ragazzine coinvolte, ma genitori non hanno presentato denuncia.

Regalbuto è una cittadina piccola e come tutte le piccole comunità, di tutti conosce vizi e virtù e come molte realtà, piccole e grandi, preferisce ignorare le colpe della buona società, nascondendo i crimini delle persone “rispettabili” per salvaguardare le famiglie a modo. La storia di Cutrono è la storia di tanti uomini che violano, nell’indifferenza generale, la vita di giovani donne, certi del silenzio corale di amici, parenti e concittadini preoccupati di tutelare interessi e immagine sociale anche a danno dei propri figli. Per tutti i bambini inascoltati e zittiti raccontiamo questa storia nell’intervista che segue a Filippa Lattuga, madre di una delle ragazze.

La condanna di Appello ha lacerato il velo d’ipocrisia che ha accompagnato questa vicenda fin dagli inizi. Come ha reagito il paese?

“L’ipocrisia è la tara della mia città. Molti genitori hanno asciugato le lacrime dei propri figli pregandoli di tacere anche dopo aver sentito quello che succedeva durante l’ora di lezione; molti hanno preferito far finta di niente. Cutrono è un uomo rispettabile, appartiene alla buona società di Regalbuto. Di tutti è amico e con molti è imparentato. La moglie è una brava maestra elementare, attenta alla formazione promotrice delle lezioni di inglese del marito. Era bravo, conosceva bene la lingua e come molti anche io ho pensato di mandare i miei figli da lui. Nel garage/scuola Cutrono insegnava e abusava. Il Cutrono agiva, sicuro della sua buona fama e del silenzio delle sue vittime. Aveva capito tutto. Il paese ha giustificato lui e colpevolizzato noi, interessati ai suoi soldi e colpevoli di aver infangato il buon nome di un’intera società”.

Come è cominciata questa storia?

“Mia figlia ha iniziato a non volere più andare alle lezioni di inglese, diventava nervosa, insisteva adducendo pretesti e alludendo a certe fastidiose e insopportabili attenzioni del Cutrono”.

Attenzioni?

“Morbose attenzioni. Chiudiamo la saracinesca così non entra il sole. Metti le mani fra le mie gambe così te le riscaldi. Mia figlia stimava il suo insegnante, lo percepiva come un uomo virtuoso e si sentiva confusa per quello che le stava capitando. Perché faceva quelle cose? quel signore tanto per bene? Era affetto? Come poteva fare del male un uomo così per bene? Tutto questo, mia figlia me lo racconta”.

Denunciaste subito l’accaduto?

“Abbiamo prima cercato di capire se quelle attenzioni le usava solo con nostra figlia o se le riservava anche ad altri. Sono bastati pochi giorni per scoprire che da anni quegli strusciamenti, quelle mani sul corpo acerbo delle sue allieve… quelle cose insomma le faceva con tutte e molte lo avevano anche detto ai loro genitori, ma non erano state credute o erano state zittite. La paura del disonore, la vergogna per non aver saputo proteggere i propri figli, l’interesse a mantenere una buona immagine e a non perdere l’approvazione sociale e i legami di lavoro, hanno avuto la meglio. Noi abbiamo denunciato gli altri hanno taciuto. Gli altri hanno preferito pensare male di noi e bene del Cutrono. L’amico, il parente, l’orco per le loro figlie”.

La gente che diceva?

“Ogni nefandezza pensabile. Mi hanno detto ‘pazza e megalomane’ ci hanno definiti ‘sciacalli’ e la cosa più dolorosa ‘traditrice’. Io avevo ascoltato le confessioni di tante ragazze toccate, sporcate e lo avevo detto al giudice costringendo le vittime a parlare, a venire allo scoperto”.

Quante ragazze sono state coinvolte secondo lei?

“Io ho ascoltato tantissime ragazze pronte a dire anche in aula quello che avevano detto a me, ma pronte a ritrattare dopo aver parlato con i loro genitori. La colpa non è delle ragazze, ma delle loro famiglie. Di una società che preferisce zittire il grido di dolore delle proprie figlie piuttosto che esporle. Se la prima vittima di Cutrono avesse denunciato molte altre si sarebbero salvate e invece…”.

Da più di sei anni lei e la sua famiglia lottate per affermare la verità contro un sistema marcio che predica l’onore, ma pratica l’omertà. Oggi alla luce di quanto accaduto denuncerebbe di nuovo?

“Forse. Siamo stati lasciati soli. Abbiamo sentito tutta l’insufficienza di un sistema giudiziario lento e farraginoso. Abbiamo visto avvocati complici e siamo stati isolati dai nostri compaesani (per fortuna non tutti). Abbiamo avuto paura perché dopo la condanna in primo grado nulla è cambiato, il Cutrono continuava la sua vita come prima: faceva lezione come prima e come prima molti genitori preferivano credere a lui e non a noi. Agiva nella consapevolezza che il suo status gli conferiva e confidava nel complicità dei suoi tanti amici”.

Sente di aver agito per il bene di sua figlia o teme di averla compromessa  esponendola al “curtigghiu” paesano

“Sono certa di aver agito per il bene di mia figlia. Ho la sua approvazione e la sua stima e per le altre figlie che prego e per le altre che spero e per le altre che racconto quello che è successo a noi”.

 

a cura di Gabriella Grasso