Adriana Palmisano: “Madonne d’ogni giorno spettacolo intimo e universale”

E’ andato in scena giovedì sera, al Teatro Garibaldi, lo spettacolo “Madonne d’ogni giorno”, tratto dall’omonimo romanzo di Gabriella Grasso (editorialista di ViviEnna).
La regia è di Sandro Rossino che ha curato con la stessa autrice l’adattamento teatrale. Produzione di Endì Srl e Nuova Compagnia Teatrale Il Canovaccio. Organizzazione generale Walter Amorelli, musiche dal vivo di Francesca Incudine che insieme all’attrice Adriana Palmisano compone il cast.
Lo spettacolo è stato fortemente voluto dal Comune di Enna, assessorato sport, turismo e spettacolo, di cui ha il patrocinio, e rientra tra le attività culturali delle feste natalizie.
Angela, la donna qualunque, di un qualunque paesino del sud ed emigrata (o rifugiatasi) in una qualunque città del nord, che consuma il suo tempo d’attesa in compagnia di una clochard qualunque che vive e si esprime di musica, è interpretata da una straordinaria Adriana Palmisano, che in un autentico dialetto siciliano, narra le travagliate vicende di alcune donne facendone proprio il loro dolore, il loro destino, la loro forza, la loro necessità di sopravvivere nonostante tutto.
Adriana Palmisano, pugliese di origine ma romana d’adozione, si diploma in Conservatorio come M° di Canto e Arti Sceniche e come soprano lirico si avvia alla carriera concertistica. Passa poi alla prosa, studiando con i più grandi maestri. Nel 1989 intraprende l’attività di organizzazione, produzione e distribuzione teatrale. Si occupa anche di teatro d’impresa, formazione, master class per attori e operatori dello spettacolo. Promuove la riapertura di svariati siti archeologici e piazze storiche e attiva strategie progettuali per la promozione e divulgazione di scavi e ritrovamenti. Presta la propria esperienza per la realizzazione di Rassegne, Cartelloni e organizzazione Festival ricoprendo il ruolo di consulente tecnico e/o direttore artistico.
Un percorso di vita che spazia dal canto lirico, alla scenografia sino ad arrivare al teatro vissuto da interprete e da organizzatrice, con particolare sensibilità ai siti archeologici
Si. Il canto mi è sempre appartenuto, le doti canore spiccavano sin da bambina, studiavo anche pianoforte e durante il liceo artistico ho frequentato il Conservatorio di musica. A 27 anni ho cominciato ad organizzare spettacoli con attori come Papas, Albertazzi e tanti altri maestri del teatro italiano, producevo, distribuivo, curavo gli allestimenti, avevo la gestione di alcuni spazi e siti archeologici.
Ho fatto molti sopralluoghi in posti pieni di segni archeologici e, dove c’era anche solo una pietra io vedevo delle possibilità di rappresentazione e mi attivavo con il territorio e le istituzioni per ridar vita a quelle pietre, a quegli spazi.
Ho lavorato molto in Sicilia, in particolare alla Valle dei Templi, e gli autori ai quali mi interessavo come Euripide o Sofocle tornavano a rivivere in questi luoghi antichi. Ecco che il sito archeologico ha rappresentato una restituzione dell’autore al suo passato e reso possibile una proiezione della sua opera nel presente. Ho anche aperto un anfiteatro romano, fatto ristrutturare teatri invernali, li ho diretti, ho aperto anche due cinema.
Tutto questo è durato circa 25 anni, perciò il tempo a disposizione per la recitazione era davvero poco e per me e non abbastanza per instaurare un certo rapporto col pubblico. Per me è molto importante il lavoro dell’attore ed il suo rapporto con il pubblico. E come dicevo, dopo 25 anni, con la crisi contemporanea di cui tutti sappiamo ma anche una crisi più interiore, ho capito di dovermi prendere un anno sabatico. E gli anni sabatici sono diventati due, tre e allora ho iniziato a vivere il palcoscenico in maniera diversa. E sul palco vivo il teatro in tutte le sue sfaccettature, sono preparata alle sorprese, attenta al dettaglio, c’è una visione di insieme dentro di me che mi guida fluidamente in un rapporto col pubblico che è di assoluto rispetto.
Parliamo del tuo rapporto con il pubblico
Il mio messaggio è diretto a loro, sento la necessità di incontrarmi con le persone per trasmettere una emozione, una indicazione che possa servire alla loro evoluzione personale.
Ed è meraviglioso scoprire come ad ogni spettacolo ci sia sempre qualcosa che possa riguardare qualcuno del pubblico.
Andiamo un po’ dentro a “Madonne d’ogni giorno”. Chi è Angela, il personaggio che tu interpreti, e cosa rappresenta questo spettacolo per te
Angela è tanti personaggi, è una donna che fa ritorno in Sicilia dopo esser dovuta andare via.
E’ un viaggio perenne nel mistero della vita e dentro di sé: è misteriosa ma schietta nel suo fare, aiuta le donne in varie situazioni e, nel raccontarle io mi sento di essere tanti personaggi, tante Angela.
E, pur non avendo mai vissuto le esperienze di cui narra lei, ho vissuto il loro dolore che in qualche modo, da donna, conosco. Rappresentandolo offriamo degli input per svegliare le coscienze o far riaffiorare in loro il ricordo di certi argomenti o episodi di vita.
Questo spettacolo è una prova d’attore per me perché implica tante cose: la costanza di stare sulla scena e di dover tenere il pubblico attento ed interessato, l’esplorazione dei vari generi teatrali di cui lo stesso si compone come la tragedia greca, il “cunto”, l’opera dei pupi, il canto, il teatro contemporaneo e a tratti folk che poi diventa asciutto e minimalista; il tutto, recitando in siciliano, che non è la mia lingua.
Lo spettacolo, fortemente impregnato di sicilianità è fruibile ovunque: offre identità e senso di appartenenza a un certo modo di essere e vivere i valori della vita, e al tempo stesso riconoscibilità a chi ne è estraneo.
Ad affiancarti una grande cantautrice, Francesca Incudine
Francesca è una splendida anima: delicata e determinata, mi emoziona nella vita e nella scena.
Ha dimostrato naturalezza nella composizione di musiche che descrivono dei luoghi non luoghi e si sposano perfettamente con la sobrietà della scenografia. Ci capiamo anche solo con uno sguardo.
E questa semplicità comunicativa e scenica bastano a rendere intimo e universale uno spettacolo che non può non diventare unico nel suo genere.
Domanda retorica ma necessaria visto il tuo ricco percorso di vita: Il teatro è destinato morire?
Si può trasformare nel modo di concepirlo, di organizzarlo, nelle scelte da compiere e in quello che abbiamo da dire facendolo.
Lo si dice ogni anno che il teatro è destinato a morire, non è così, una crisi c’è ma la vogliamo noi umani, ne abbiamo creato le condizioni, e allora si concretizza quello di cui ci si lamenta.
Ripeto, l’importante è trasformarsi altrimenti si rimane confinati nei propri confini.
Il teatro è una forma di comunicazione antica destinata forse, a diventare forse altre cose, perciò non possiamo che prepararci e disporci ad accettare i suoi cambiamenti.
Bisogna recuperare il valore della scelta, il sentire, ciò che ci piace fare.

Livia D’Alotto