I soldi della stidda con le false compensazioni al Nord, nel giro commercialista (Valguarnera), anche un leonfortese

Gela. Quello della stidda, almeno secondo quanto scoperto dai magistrati, era un doppio canale. In città, c’erano capi e militari che imponevano forniture, intimidivano gli esercenti e trafficavano in droga. Al nord, invece, ci sarebbe stato il cuore finanziario del gruppo. I soldi li facevano sfruttando un infinito giro di compensazioni non dovute. Debiti erariali venivano estinti dichiarando fittizi investimenti in aree svantaggiate. Un meccanismo che era una sorta di pane quotidiano per Rosario Marchese e Angelo Fiorisi, ritenuti legati al gruppo degli stiddari e costantemente impegnati a procacciare società, che diventavano schermi per le compensazioni illecite. I pm della procura di Brescia, che hanno condotto questo filone di inchiesta, hanno fatto luce su decine di operazioni illecite, tutte orchestrate dal gruppo. Per i pm, Marchese e Fiorisi erano pienamente organici alla stidda, così come Roberto Raniolo, Salvatore Antonuccio, Gianfranco Casassa, l’ex carabiniere Francesco Scopece, Giuseppe Arabia, Carmelo Giannone, Danilo Cassisi, Giuseppe Cammalleri, Giuseppe Nastasi, Corrado Savoia e Antonella Balocco. Secondo gli investigatori, i commercialisti torinesi Savoia e Balocco si sarebbero messi a disposizione del gruppo, anche attraverso operazioni che passavano da società a loro riconducibili. Un giro vorticoso che addirittura avrebbe riguardato anche una società professionistica di basket, la Leonessa Brescia, anche in questo caso usata per compensare debiti fiscali con crediti di imposta inesistenti.
L’inchiesta ha coinvolto ben 134 persone. Sono trentadue, però, le misure cautelari emesse nei confronti di Salvatore Antonuccio, Giuseppe Arabia, Antonella Balocco, Giuseppe Cammalleri, Filippo Carlino, Giuseppe Carlino, Gianfranco Casassa, Danilo Cassisi, Cinzia Casto, Riccardo Corradi, Simone Di Simone, Angelo Fiorisi, Carmelo Giannone (Leonforte), Roberto Golda Perini, Giovanni Interlicchia (Valguarnera), Kulvant Kabana, Marco Lorenzini, Rosario Marchese, Giuseppe Nastasi, Tiziana Pasquali, Roberto Raniolo, Mauro Zigamonti, Salvatore Sambito, Alessandro Sartore, Corrado Savoia, Filippo Scicolone, Alessandro Scilio, Francesco Scopece, Daniela Spinelli, Nicola Varacalli e Luca Verza.
by quotidianodigela.it

Adnkronos: Mafia “in giacca e cravatta”, decine di arresti a Brescia
Una maxi operazione, con trentacinque arresti e sequestri per 35 milioni di euro, è in corso da alcune ore in più province d’Italia. La Procura della Repubblica di Brescia, Direzione Distrettuale Antimafia – nell’ambito di una lunga e complessa indagine convenzionalmente denominata ‘Leonessa’, condotta dalla Guardia di Finanza e dalla Polizia di Stato, ha accertato l’operatività di una cosca mafiosa di matrice stiddara, con quartier generale a Brescia, che ha pesantemente inquinato diversi settori economici attraverso la commercializzazione di crediti d’imposta fittizi per decine di milioni di euro. La Stidda, nella sua versione settentrionale “in giacca e cravatta”, pur mantenendo le “antiche” modalità mafiose nell’agire quotidiano si è dimostrata capace di una vera e propria “metamorfosi evolutiva”, sostituendo ai reati tradizionali nuovi business, utilizzando quale anello di congiunzione tra i mafiosi e gli imprenditori i ‘colletti bianchi’, i quali individuavano tra i loro clienti (disseminati principalmente tra Piemonte, Lombardia, Toscana, ma anche nel Lazio, Calabria, Sicilia) quelli disponibili al ‘risparmio’ facile. L’indagine, che per il suo spessore ha visto il supporto del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato e dello Scico della Guardia di Finanza e, ha parallelamente disvelato anche numerosi reati tributari e fenomeni corruttivi. Spedizioni punitive per chi osava contrapporsi al loro potere criminale. I boss della Stidda, finiti in carcere, ricorrevano infatti alla violenza. Raid con l’uso di armi e danneggiamenti seguiti da incendi nei confronti di chi non si sottometteva ai loro ordini. Questo uno dei retroscena del blitz che ha disarticolato la cosca dei Di Giacomo. In carcere sono finiti capi, gregari e sodali che hanno gestito un fiorente traffico di sostanze stupefacenti, hanno infiltrato l’economia legale attraverso imprese di comodo, facendo estorsioni a tappeto, specie con il metodo dell’imposizione dei prodotti delle loro aziende. “La Stidda negli ultimi anni ha imperversato nella cittadina siciliana – spiegano gli investigatori – appropriandosi di parte del territorio con la tipica forza e violenza mafiosa, che da sempre l’ha caratterizzata”. E non è tutto. Nelle intercettazioni dicevano di avere ‘500 leoni’, uomini armati che avrebbero potuto scatenare l’ennesima guerra di mafia. Le indagini hanno quindi consentito di fotografare l’ala violenta del clan, ricostruendo “plurime condotte estorsive” ai danni di commercianti e imprenditori poco propensi a sottomettersi al volere degli stiddari, che hanno trovato il coraggio di denunciare le estorsioni. DALLA RISTORAZIONE AL SETTORE IMMOBILIARE, COSÌ I BOSS IMPONEVANO IL MONOPOLIO – Una volta scarcerati avevano ripreso in mano le redini del comando. Una fitta rete di contatti con affiliati vecchi e nuovi che aveva consentito ai fratelli Bruno e Giovanni Di Giacomo di conquistare il monopolio dei prodotti per la ristorazione e non solo. Questo uno dei retroscena del blitz antimafia ‘Stella Cadente. Le indagini sono scattate nel 2014, proprio dopo il ritorno in libertà dei fratelli Di Giacomo dopo un lungo periodo di detenzione, in cui “sono stati mantenuti in carcere dallo zio Rocco Di Giacomo”, spiegano gli investigatori. Scarcerati i due fratelli si erano rimessi al lavoro costruendo la doppia anima del clan, militare e imprenditoriale. Un controllo del territorio esclusivo che aveva permesso loro di “penetrare stabilmente nel tessuto economico legale” grazie a imprese mafiose, intestate a prestanome, attive nel settore della distribuzione dei prodotti per la ristorazione e di prodotti alimentari, in quello delle serate in discoteca e nel settore immobiliare. I commercianti gelesi erano così costretti ad acquistare beni, talvolta a prezzi maggiorati e in altre occasioni in quantità maggiori rispetto al loro volere, per il solo fatto che erano commercializzati dal capomafia. Altro settore economico d’interesse degli stiddari era quello della costruzione, ristrutturazione e compravendita immobiliare. Un comparto in cui la Stidda si era inserita attraverso società di comodo, intestate a Alessandro Emanuele Pennata e costituite per ripulire il denaro sporco provento delle attività illecite.

La notizia si riferisce a giorno 26 settembre 2019 – l’arresto a Valguarnera è stato eseguito dagli uomini della Questura di Enna su richiesta della Procura di Brescia.

Relativamente le non tante velate minacce ricevute da questa testata giornalistica (sia al Direttore che al locale corrispondente) da parte del figlio Giuseppe del dott. Giovanni Interlicchia, attualmente ragioniere capo del comune di Valguarnera e candidato sindaco alle ultime amministrative, possiamo solo capire il drammatico momento che sta attraversando. Stessa cosa nei riguardi della figlia Giada, almeno molto più pacata tramite mail.

Da valguarnera.com:
Un valguarnerese tra gli indagati dell’inchiesta Leonessa
C’è anche un valguarnerese tra i 36 indagati siciliani dell’inchiesta Leonessa che nella notte tra mercoledì e giovedì scorso ha fatto scattare la misura cautelare in carcere per 22 persone. Ad essere stato raggiunto da misura cautelare in carcere, è il 63enne Giovanni Interlicchia. La notizia ha fatto clamore in paese. Giovanni Interlicchia, infatti, è un noto commercialista valguarnerese, più volte è stato esponente politico e istituzionale comunale e provinciale ed è il padre dell’attuale ragioniere capo del comune di Valguarnera e candidato sindaco alle ultime amministrative. L’inchiesta Leonessa, come riportato dalle numerose testate giornalistiche, ha portato a 69 arresti, sequestri per 35 milioni di euro e un centinaio di perquisizioni, per un totale di circa 200 indagati. L’operazione condotta dalla Dda di Brescia ha sgominato una cellula della Stidda (organizzazione criminale di tipo mafioso originaria di Gela) che aveva messo radici e operava in Lombardia. Parallelamente all’inchiesta Leonessa, in Sicilia è stata condotta una inchiesta gemella denominata “Stella Cadente” che ha portato all’arresto di 35 persone. Secondo gli inquirenti bresciani, l’organizzazione mafiosa, attraverso il supporto di “colletti bianchi”, ha permesso a una vasta platea di imprenditori di evadere il Fisco per diverse decine di milioni di euro, cedendo crediti fiscali inesistenti con effetti distorsivi sull’economia reale ulteriormente condizionata dai reinvestimenti dei profitti illeciti conseguiti. Gli stiddari, mimetizzati nel nuovo ambiente operativo, avrebbero messo a disposizione degli imprenditori del Nord i propri servizi illeciti che consistevano nella vendita di crediti fiscali inesistenti utilizzati per abbattere il debito tributario. L’anello di congiunzione tra i mafiosi e gli imprenditori era rappresentato dai “colletti bianchi”, i quali individuavano tra i loro clienti (disseminati principalmente tra Piemonte, Lombardia, Toscana, ma anche nel Lazio, Calabria, Sicilia) quelli disponibili al risparmio facile e che ora dovranno rispondere del reato di indebita compensazione di tributi. Oltre a quello mafioso sono emersi anche altri due filoni investigativi. Uno riguarda varie condotte corruttive dove gli imprenditori, elargendo mazzette o favori a pubblici funzionari, ottenevano significativi risparmi fiscali. L’altro riguarda il “tradizionale” settore delle fatture per operazioni inesistenti, per un ammontare complessivo di fatture false per 230 milioni di euro. Ovviamente l’aria che si respira a Valguarnera è quella di auspicio che la magistratura faccia quanto prima chiarezza sulla vicenda riguardante il noto professionista valguarnerese.