Carnevale Leonforte: tradizione e trasmissione di sapere all’Università Popolare

A Leonforte il Carnevale comincia con la Settagesima ossia con la settima domenica che precede la Pasqua. E’ un percorso di preparazione a partire dalla Nunziata, che prosegue in Parrocchia e conclude con i tre giorni di esposizione del SS Sacramento alla Matrice. Una tradizione antica che allungava la Quaresima e comprendeva anche i “sabatini”. I “sabatini” servivano a spezzare i digiuni e la mestizia del periodo quaresimale e interessavano le tante associazioni di artigiani e circoli sul territorio, il primo “sabatino” era quello dei “parrini”. Oggi ne restano solo due: il sabato degli Operai, del Circolo degli Operai e il sabato delle Gentildonne, del Circolo di Compagnia . La Chiesa impegnava i fedeli con la preghiera per contenere i bagordi dei balli “a parte di casa”, oggi che il silenzio è fuori sono solo le chiese che organizzano balli e feste per i bambini e i loro genitori. Delle Settimana Santa leonfortese, con le sue peculiarità e unicità e del San Giuseppe con la specificità del “Traficu” si è tanto detto. Il professore Nigrelli ha ricostruito il percorso storico dell’”Artaru” che ne contava 100 negli anni 80 del secolo scorso e poche unità negli anni ’90. Oggi l’”artara” sono diverse decine e di questi molti didattici. L’”artaru” votivo resiste ai molti attacchi che in passato gli vennero anche dalla chiesa, la promiscuità di sacralità e folclore e gli sprechi di pane dovuti all’ingordigia degli avventori forestieri e paesani , ne hanno messo in discussione la natura piu’ intima. L’ “artaru” è per il leonfortese motivo di impegno e fatica, ma anche di condivisione e coinvolgimento di vicini, parenti e amici. Al santo si prometteva, in cambio di una grazia, l’ “artaru”. L’ “artaru” è un altare casalingo, che riproduce il consolo per la Vergine vedova del suo sposo e ripete liturgicamente i gesti dell’ultima cena, nel pranzo dei santi. Ogni pane, verdura e cibo sull’ “artaru” va interpretato perché è catechesi e infatti emerge sempre la Trinità e l’Unicità inscindibile di Dio e della sua Chiesa. L’ “artaru” è della donna di casa. E’ la padrona di casa che istruisce, governa e organizza con parsimonia il lavoro dei maschi, da impegnare nei campi per la ricerca e la raccolta di cardi e finocchi, e delle atre donne, “imparate o da imparare” nell’arte delle cuddure e della frittura (dorata e mai bruciata) delle polpettine. E da qualche tempo la gelosia della conoscenza, che spesso portava le giovani a rubare con gli occhi il sapere delle vecchie, è diventata voglia di tramandare la tradizione. Lunedì prossimo si dirà ancora di cose nostre che interessano tutti.

Gabriella Grasso