Leonforte: parla la figlia del dipendente comunale infetto da covid-19

Mio padre si trova attualmente ricoverato in rigido isolamento presso il reparto di malattie infettive dell’ospedale Umberto I di Enna.

Quali sono le sue attuali condizioni?

In relazione alle sue attuali condizioni, a seguito della terapia antivirale somministrata certamente non vi è stato un peggioramento: anche se la febbre nel corso dei giorni ha tentato più volte di risalire, viene costantemente tenuta sotto controllo. Per quanto riguarda la difficoltà respiratorie, a seguito della terapia, un minimo segnale positivo si è manifestato ieri in quanto la condizione dei polmoni è stata trovata dai medici lievemente migliorata. Da questo punto di vista siamo fiduciosi.

Riuscite a comunicare con lui?

Ci sentiamo, anche se poco per non affaticarlo in quanto ha carenza di ossigeno

La risposta del paese è stata criticabile, l’ansia, la paura, l’incertezza su una malattia ignota. Come ha reagito in merito suo padre? E voi?

Vorrei in primo luogo smentire pubblicamente alcune fake news, pubblicate anche da alcune testate giornalistiche online, che riguardano la possibile occasione in cui mio padre ha contratto il virus. Voglio categoricamente smentire tutte le notizie secondo le quali mio padre lavora a Roma ed è sceso in Sicilia recentemente senza mettersi in quarantena volontaria. Ribadisco che mio padre è un dipendente del comune di Leonforte e che il suo viaggio a Roma si è svolto a partire dal 13 febbraio per terminare il giorno 16 di quel mese, in un periodo dunque nel quale la città di Roma e l’Italia tutta non era ancora stata categorizzata come zona rossa né vigeva alcun divieto di spostamento e di quarantena. Sottolineo inoltre che nessuna di noi figlie ha mai studiato né lavorato in regioni che non siano la Sicilia, come erroneamente molte persone hanno affermato. Inoltre concludo che dall’insorgere dei sintomi mio padre si è scrupolosamente attenuto alle indicazioni date dalle autorità sanitarie e non è dunque mai più uscito di casa.

Vorrei infine soffermarmi sull’ondata di odio, denigrazione e violenza verbale e psicologica che si è scatenata sui social dalla notizia. In realtà tutti questi sentimenti sono nati già da uno o due giorni prima di aver avuto l’esito positivo del tampone. Le avvisaglie della tempesta che abbiamo subito io e tutta la mia famiglia, compresi zii, cugini, nipoti fidanzati e in generale chiunque poteva essere venuto a contatto con il soggetto interessato e in generale con noi, ci sono giunte già dall’altro ieri attraverso frasi e messaggi vocali offensivi e denigratori condivisi innumerevoli volte su whatsapp. Non sono tuttavia bastati gli insulti e le diffamazioni rivolti inizialmente all’ignoto “untore”, ma è subentrata anche l’urgenza di sapere CHI fosse questo “c….one”,e così in qualunque piattaforma social esistente è uscito il nome della persona coinvolta, violando qualsiasi tipo di norma sulla privacy, ma prima ancora sul rispetto, sull’etica e sul buonsenso. La mattina presto in cui abbiamo appreso l’esito del tampone non ci è stato concesso il diritto UMANO di realizzare e assimilare bene la notizia e di provare dolore per le condizioni di mio padre, perché ci è stata forzatamente imposta un’altra priorità, cioè quella di difendere la dignità della nostra famiglia contro le ignoranti e non veritiere accuse ricevute.

Cosa resterà di questa vicenda quando la normalità tornerà per voi e per noi tutti?

Io credo che di quello che ne è uscito fuori ne abbiamo visto abbastanza, talmente tanto da avere costretto sia me, in prima persona, che mia sorella, mia madre, il sindaco di Leonforte e infine mio padre stesso dal letto di ospedale ad abbassarci ai livelli di questa gente allo scopo di difenderci e di mettere un punto ai pensieri stupidi e ignoranti di tutti coloro che senza e prima ancora di sapere sono stati pronti a parlare, insultare, diffondere notizie false e giudicare. La mancata conoscenza da parte della gente rispetto al protocollo da seguire in casi come questo ha fatto nascere nelle persone la convinzione che dovessero essere loro ad essere in grado di risalire, attraverso il suo nome, ad eventuali recenti contatti avuti con la persona infetta. In realtà sappiamo che non è affatto così che si svolge l’indagine e che è invece proprio l’ammalato che è portato a comunicare alle autorità sanitarie tutti i suoi spostamenti e contatti interpersonali avuti negli ultimi 14 giorni, obbligo che da parte di mio padre è stato tempestivamente adempiuto.

E dopo la tempesta di insulti cosa è successo?

La gogna social si è da un momento all’altro placata e si è trasformata come per magia in solidarietà dopo le nostre dichiarazioni. Personalmente io e la mia famiglia abbiamo certamente capito chi sinceramente si è preoccupato e ha espresso vicinanza, solidarietà e profondo rispetto nei confronti della nostra famiglia e della nostra situazione, tra i quali amici, parenti e tutte le persone a noi più care, anche se, in un momento del genere, ci aspettavamo erroneamente l’empatia e la solidarietà da parte di tutta la comunità. In realtà la stigmatizzazione sociale derivante da tutto ciò è molto lontana dalla fine, in quanto ne stiamo già iniziando a pagare le conseguenze: per esempio, alcune persone in contatto con alcuni membri della nostra famiglia sono state allontanate dal posto di lavoro per la fobia da contagio mentre la denigrazione si sta spostando anche nei paesi limitrofi, con i cittadini dei quali molti di noi hanno contatti e relazioni, anche molto stretti. A mio parere la paura e la psicosi tipiche di questo momento storico non potranno MAI giustificare gli atteggiamenti e le parole che abbiamo dovuto subire e che alcuni di noi stanno continuando a subire. Nessuna scusa, a mio avviso necessaria, ci è stata ancora finora rivolta. Rimaniamo comunque nella speranza e nella preghiera che tutto si risolva per il meglio. La cosa certa è che questa esperienza ha lasciato nei nostri animi degli strascichi di grande amarezza che avremo difficoltà a superare.

Grazie e auguri per suo padre.

a cura di Gabriella Grasso