Nicosia. L’Odissea di Michele Lambusta

Nicosia. Questa è un’ora nera. L’ora più buia. L’ora in cui il destino ci mette di fronte alla nostra debolezza. Alle nostre paure. Ed è un’ora in cui la confusione, la paura, la debolezza e tutto questo guazzabuglio di sentimenti messi insieme generano degli episodi che, purtroppo, dobbiamo notiziarvi. Sono degli incubi nell’incubo, storie che si intersecano nella Storia e che rappresentano dei tasselli di un grande puzzle. La storia che vi presentiamo è quella di Michele Lambusta che il 3 marzo lasciò la Sicilia per andare in Friuli Venezia Giulia. Precisamente a Pordenone. Lì, la speranza di un futuro migliore. La speranza di un riscatto e quindi la speranza di un lavoro. Accanto al dramma dell’emigrazione perché perdere un figlio è già una tragedia, il dramma dell’incubo coronavirus che infrange le speranze di quest’uomo. Tutto chiuso. Nessun Colloquio. Nessun Contratto. Nessun lavoro. Perché c’è il mostro che dilaga di casa in casa. Il signor Michele, oltre il danno del non poter realizzare il proprio sogno di un lavoro, trova la beffa di aver buttato soldi per un viaggio e un alloggio che, praticamente, rappresentano l’anticamera di un’Odissea più ambia.
A metà marzo, dopo aver espletato tutte le pratiche burocratiche, rientra in Sicilia ed è subito messo in quarantena. Avendo una famiglia, per salvaguardarla, decide di stare da solo in casa mentre la moglie e la figlia trovano altra sistemazione. Quindi l’Odissea, che sembrava conclusa ma era appena iniziata, non avrebbe goduto neanche dell’affatto più vicino e più importante! Giorno 31 arriva di fare l’agognato tampone, il cui risultato avrebbe posto fine a questo isolamento. Viene effettuato a Nicosia. E si aspetta. Si aspetta speranzosi che quella parola,”negativo”, compaia come punto fermo ad una storia tutta da dimenticare. Ma quella parola, quella unica parola non arriva. Passano ore, giorni e settimane. Nessun risultato. Che fine ha fatto questo tampone? Non si sa. Il signor Michele chiama per avere informazioni ma non ottiene risposta. Disperato, arrabbiato, ma soprattutto deluso, ci chiama telefonicamente e ci racconta questa sua Odissea. Il moderno Ulisse ingoiato tra i marosi della burocrazia sanitaria. Un moderno Ulisse che anela l’agognata libertà. Un moderno Ulisse che merita giustizia. Lui, come tanti altri che in questi tragici momenti sono vittime di questi ritardi. Ritardi, attenzione, che possono essere anche giustificati dall’immensa mole di tamponi effettuati. Ma ricordiamo che dietro ogni tampone vi è una storia e vi un essere umano. Una persona con affetti, sentimenti, speranze e paure. E proprio per questo l’unico sentimento che deve pervadere tutti noi in questo momento è quello del rispetto di ogni singolo essere umano.
Al signor Michele e a tutti coloro che stanno vivendo storie simili, va il nostro abbraccio e il nostro augurio. Che tutto ciò diventi al più presto solamente un incubo passato da raccontare alla propria famiglia tutti insieme ritrovati all’interno del focolare domestico.

Alain Calò