Torna a battere il cuore per l’antico castello di Cerami

Cerami. La Soprintendenza per i beni culturali e ambientali di Enna ha avviato il procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale a tutela del megalitico castello di Cerami e delle aree ad esso pertinenziali. Ne sono ancora leggibili, nonostante le poche vestigia rimaste, remotissime testimonianze di insediamenti abitativi e difensivi, attestanti l’importanza strategica e il ruolo che il castello ha avuto nei secoli sotto le diverse dominazioni risalenti ai siculi, ai greci, ai romani, ai bizantini, agli arabi, ai normanni.

I ruderi conservatisi sono soltanto il segno dell’abbandono e dell’incuria, simboli immiseriti di una cultura superficiale, ignara dello straordinario valore storico, antropologico, scolpito nella roccia del bene monumentale. Sensazionale la scoperta di qualche anno fa. Le rocce forate del castello si sono rivelate per quello che sono: un patrimonio archeo-astronomico che l’uomo antico utilizzava per misurare lo scorre del tempo e rilevare l’alternarsi dei cicli (solstizi e equinozi) stagionali.

Tanto basta ad illuminare una nuova coscienza culturale che ha spinto giustamente la Soprintendenza ad individuare, a salvaguardia indiretta del fortilizio ceramese, una fascia di rispetto comportante il vincolo di inedificabilità nelle aree ad esso limitrofe, salvo interventi di restauro-conservativi.
Un chiaro segnale per mettere in salvo quel che rimane dell’affascinante maniero, per tutelare lo sfondo naturale del sito, le dimore e quei luoghi preesistenti, in memoria di una remota civiltà, intrisa di vicende, di glorie, di tradizioni frutto di diverse culture appartenute alla greca “Keramos” (oggi Cerami).
Antico e nuovo sembrano non aver distacco.
Tutto l’insieme, l’aria tersa e frizzante, ti affascina, ti incanta. Se passate da qui, non potete effettivamente che innamoravi di un di un posto così bello e armonioso?

Nell’incantesimo, di grande impatto ed effetto è la veduta del castello che si eleva nel contesto sommitale dell’abitato, proiettato a 1.100 Mt. sul livello del mare. In una posizione panoramica mozzafiato, dominante le valli intorno, giganteggia imponente e austera la roccaforte ceramese che l’usura del tempo, le intemperie si sono “divertite” a modellare a forma di leone accovacciato. L’ambiente è un susseguirsi qua e là di ingrottati scavati nella roccia, sì da far supporre allo storiografo Giovanni Paternò, di un insediamento abitato dai primi Sicani (XIII sec.a.c.). Senza dubbio col passar dei secoli il nucleo originario del castello, per esigenze bellico-difensive, fu allargato e ampliato come testimoniano basamenti e tracce di sovrapposte costruzioni di origine millenaria. Dal suo culmine fortificato era possibile sorvegliare il territorio e avvistare in tempo il muoversi dei nemici, tanto che gli anglo-americani lo utilizzarono da avamposto nella Seconda Guerra Mondiale. Intorno alla inespugnabile roccaforte ceramese aleggiano miti e leggende del passato.

La sua storia è profondamente inserita nella storia della civiltà cristiano-normanna che ebbe a Cerami la sua massima espressione, suffragata dalla memorabile e cruenta battaglia (detta appunto di Cerami) combattuta nel 1063, in cui i Normanni, al comando di Roberto il Guiscardo e di Ruggero, futuro Gran Conte, con l’intervento eroico del nipote Sarlone (o Serlone), sconfissero clamorosamente l’esercito musulmano, iniziando la liberazione della Sicilia dal predominio islamico, rioccupazione paragonabile alla Reconquista della penisola iberica. Il Papa Alessandro, compiaciuto della vittoria cristiana, donò ai militi normanni uno stendardo riproducente l’immagine della Madonna, in seguito detta “Delle Vittorie”, conservata oggi nella cattedrale di Piazza Armerina.
A memoria della vittoria normanna furono costruite la chiesa di S. Michele e di S. Giorgio di cui sventuratamente si è persa ogni traccia.

Sulla scorta di notizie storiche, il centro ceramese vide accrescere la sua floridezza iniziata da Serlone (Cavalier furente, gran campione dei Normanni), proseguita da Arisgotto di Pozzuoli con il susseguirsi delle casate regnanti.
Dopo la partecipazione ai Vespri Siciliani, “Cerami –scrive il compianto Nuccio Sciacchitano– si costituì a Comune indipendente, autonomo con una propria amministrazione”, unitamente al privilegio del “Mero e Misto impero”, ossia il diritto di esercitare giustizia civile e penale da sé. La tanto dubbia quanto abusata citazione fatta dallo storiografo Fazello (1558 ) nel descrivere “Cerami sobborgo di Capizzi” credo si riferisse al diritto concesso ai Capitini, con diplomi del 1465-1477, di pascolare in territorio di Cerami, provocando discordie campanilistiche.

In seguito, il periodo di prosperità del feudo di Cerami, contrassegnato da Francesco Ventimiglia, conte di Geraci, passò nelle mani della nobiliare famiglia Russo-Rosso.
Un discendente membro, Francesco Rosso, ottenne nel 1663 da Filippo IV (re di Spagna) il titolo di Principe di Cerami e la carica di Gran Gonfaloniere. In questo periodo la ricostruita la fortezza del castello assunse l’aspetto residenziale di un palazzo signorile, fornito di portali in pietra, magnifiche stanze, una cappella, sale da consiglio, riccamente decorati e dipinti. Frammenti di storia andati in malora, con il dolore culturale delle perdite tanto per il degrado quanto per il disinteresse e l’incuria.
Adesso, sembra sia arrivato il momento giusto per parlare di conservazione e tutela del patrimonio architettonico, ossia monumenti come castelli e borghi, per far sì che quei Beni, quei luoghi vissuti da gente del passato continuino ad aver qualcosa da raccontare.
La felice azione, promossa dalla Soprintendenza, mira infatti a consolidare e salvaguardare quel “genius loci”, il senso di appartenenza che permette ai cittadini in primo luogo di conoscere, apprezzare e rispettare gli aspetti naturalistici, storici e culturali del luogo in cui vivono, con l’opportunità di una promozione turistica.
Qualcuno, per l’appunto, tra i meno lungimiranti, potrà obiettare: “Il problema, non credo sia solo la conservazione materiale del patrimonio storico-artistico, quanto e soprattutto la sua fruizione, il suo utilizzo che se ben sfruttato può essere un’occasione di guadagno per molti”.

Carmelo Loibiso