La “voice” delle associazioni per spingere sindaci e università dell’ennese ad occuparsi di Recovery Fund, Piano Sud 2030 e Snai

A giudicare dal contesto in cui intervengono, è un’impresa difficile quella in cui si è imbarcato un gruppo di associazioni dell’ennese. In che cosa consiste quest’impresa, lo leggiamo nell’appello di queste associazioni, una chiamata a raccolta rivolta a singoli e alle altre associazioni, in forma di post, comparso su alcuni giornali on line e ripreso anche da giornali della carta stampata: “richiamare l’attenzione delle istituzioni comunali e delle organizzazioni di rappresentanza del mondo del lavoro e delle imprese per cogliere le opportunità di sviluppo del territorio ennese che Strategia nazionale aree interne, il Recovery Fund e il Piano Sud 2030 offrono al territorio ennese”. Le associazioni che si sono intestate questa missione, che a molti può apparire impossibile, sono: Filctem- Cgil provinciale di Enna, Associazione culturale Mondo Operaio (Enna), il Coordinamento provinciale dei comitati cittadini, Centro Sudi Europeo “La Fenice” (Cerami), Movimento per la difesa dei territori (Nicosia), Circolo Legambiente Ancipa (Troina), Associazione Pro Loco di San Teodoro e Rete di Imprese. L’appello è rivolto anche alle realtà associative dei comuni di Capizzi, Cesarò e San Teodoro, che con l’area nord dell’ennese hanno strettissimi rapporti. In quest’impresa le associazioni dell’ennese sono supportate da due organizzazioni comunitarie che hanno maturato una notevole esperienza nell’organizzare la mobilitazione sociale per raggiungere obiettivi di rilevanza collettiva che interessano territori sovracomunali: il Presidio partecipativo del Patto di Fiume Simeto, che coinvolge 10 comuni di cui tre dell’ennese (Centuripe, Regalbuto e Troina) e 7 del catanese (Adrano, Belpasso, Biancavilla, Motta Sant’Anastasia, Paternò, Ragalna e Santa Maria di Licodia), e “L’isola che c’è”, che è una rete di 50 associazioni sparse in tutta la Sicilia. Nei confronti di una realtà frammentata con una scarsa capacità di rappresentanza politica e sociale, quale è quella ennese, che è una tipica area interna non omogenea, e del versante meridionale dei Nebrodi, caratterizzata da spopolamento ed invecchiamento degli abitanti e sistema economico debole, le risposte possono essere di tre tipi per dirla alla maniera di Albert O. Hirschman: exit, voice e loyalty. In molti hanno scelto “exit” da questa realtà che non offre grandi occasioni di lavoro, andando a cercarle altrove. A scegliere “exit” sono soprattutto giovani e con alti livelli di istruzione. E questo spiega la diminuzione e l’invecchiamento della popolazione. Ma se ne vanno anche i meno giovani perché in queste aree interne dell’ennese i diritti di cittadinanza, che sono sanità, istruzione e mobilità, sono in gran parte negati. Tra quelli che restano ci sono quelli scelgono la “loyalty” perché, tra le pieghe di un sistema economico locale debole occupano comunque posizioni di privilegio che li fa vivere bene senza l’affanno di arrivare alla fine del mese. Questi o non mettono un dito per cambiare o si opporranno a chiunque voglia mettere in discussione un assetto sociale ed economico dove non tutti ci stanno bene. Ci sono anche quelli che invece scelgono la “voice”, che è il tentativo di cambiare uno stato di cose riprovevole, sollecitando individualmente o collettivamente chi ha responsabilità di governo con l’intenzione di imporre un cambiamento mediante vari tipi di azioni, compresa la mobilitazione sociale. Ed è esattamente quello che intendono fare i promotori della costituzione del Forum per lo sviluppo dell’ennese e del versante meridionale dei Nebrodi. E lo stanno facendo anche con lo sguardo rivolto a quelle realtà nelle quali sono state realizzate esperienze di sviluppo locale e riequilibrio del sistema di relazioni tra aree interne e centri urbani metropolitani. Tra queste ce ne sono due che devono fare riflettere quanti hanno responsabilità di governo delle istituzioni pubbliche e dell’università Kore in provincia di Enna. Uno è il Programma intersettoriale di Fondazione Cariplo, elaborato nel 2016 per riattivare le aree interne nelle Valli Trompia e Sabbia in provincia di Brescia e Oltrepò Pavese, che sta per concludersi. Ci sono anche i tre progetti pilota (Bergamo, Piacenza e Pescara del Tronto) che il Politecnico di Milano sta studiando con la Cassa di Risparmio di Piacenza e con il Touring Club. Se a riequilibrare il sistema di relazioni tra aree interne e centri urbani ci pensano e lo fanno banche e università delle aree forti, devono a maggiore ragione farlo le aree deboli dell’ennese con i suoi comuni, la sua università Kore, le sue forze sociali ed economiche e le sue associazioni. Ma devono provare a farlo in maniera diversa di come hanno fatto in passato. Non più, ad esempio, con la negoziazione distributiva di risorse slegate l’una dall’latra (tanto a questo Comune, più di tanto all’altro, meno a quell’altro e via di questo passo) che lascia il tempo che trova, ma con una negoziazione generatrice di sviluppo con una visione coerente con le vocazioni dei territori e da attuare con una chiara e ben definita strategia.

Silvano Privitera