Considerazioni a margine del passaggio di Piazza Armerina da Enna a Catania

Considerazioni a margine del passaggio di Piazza Armerina

da Enna a Catania


IL PROBLEMA È LA FINE DELLE PARI OPPORTUNITÀ
DEI TERRITORI E DEI CITTADINI

piazza-armerina-palio-normanniDa più parti è stato chiesto un contributo dell’Università sulla questione del passaggio di Piazza Armerina all’area di Catania. Anche se la questione è rilevante per il territorio dell’attuale provincia di Enna, la Kore non può schierarsi da alcuna parte, in quanto per sua natura l’università, qualsiasi università, è una entità extraterritoriale. E,d’altra parte, la questione riguarda soltanto la città di Piazza Armerina e i suoi rappresentanti eletti al consiglio comunale. Qualsiasi loro scelta è una scelta pienamente legittima, cioè conforme alla legge.
Si può, tuttavia, osservare che il modo in cui Piazza Armerina o altri comuni decidono di passare da un consorzio ad un altro avviene nel contesto di una pessima legge e, in particolare, nella totale assenza di programmazione territoriale da parte della Regione Siciliana. Il vero problema sta nella latitanza della Regione complessivamente intesa, Parlamento e Governo regionali, rispetto alle iniziative che in questo campo stanno assumendo il Parlamento e il Governo nazionali.
Finora è stato tutto semplice: i Liberi consorzi dello Statuto autonomistico hanno avuto piena corrispondenza con le Province regionali, e queste ultime con l’articolazione provinciale dello Stato. Ma cosa succederà domani, quando i Liberi consorzi non coincideranno più con le province statali perché le province statali saranno ridisegnate? Cosa farà la Regione rispetto, per esempio, ai collegi elettorali regionali? E cosa rispetto alle Aziende sanitarie, rispetto alle Sovrintendenze, agli Ispettorati, alle Camere di commercio, a tanti altri uffici più importanti o meno importanti?
Già da almeno vent’anni lo Stato ha cominciato ad abbandonare le periferie e proseguirà ad oltranza con la motivazione che bisogna tagliare i costi. Enna è stata in genere la prima provincia a perdere uffici statali, seguita poi da Caltanissetta, da Siracusa, da tutte le altre province tranne Palermo e Catania. Per adesso si protesta contro l’accorpamento della Prefettura di Enna con quella di Caltanissetta, ma domani Caltanissetta verrà accorpata a Palermo ed Enna a Catania. E’ un processo – allo stato dei fatti e delle scelte politiche degli ultimi vent’anni – assolutamente irreversibile, che rientra nella decisione assunta da tutte le forze politiche nazionali, di destra, di centro e di sinistra, di governare i territori dall’alto: abolendo gli uffici provinciali, trasferendo molti servizi su piattaforme informatiche, creando agenzie che ubbidiscono a rigorosi criteri economicistici anziché al principio costituzionale delle pari opportunità per tutti i cittadini – certo! – ma soprattutto abolendo l’elezione diretta dei deputati e dei senatori. I parlamentari nazionali, infatti, non rappresentano più un territorio, ma una segreteria nazionale di partito che li ha designati. Come può un parlamentare nazionale protestare contro il taglio di un servizio statale – sia esso un tribunale, una prefettura, uno sportello per le imprese, o semplicemente un treno – se la sua elezione dipende dalle stesse persone che hanno deciso quel taglio?
La de-territorializzazione della rappresentanza politica ha distrutto completamente il principio della pari dignità di tutti i territori e quindi di tutti i cittadini italiani. Senza quel principio, ogni territorio conta molto, poco o per niente sulla base del suo peso economico o del suo peso politico: in questo momento conta molto la Lombardia perché produce gran parte del reddito nazionale e la Toscana e l’Emilia-Romagna perché producono gran parte del governo nazionale. La Sicilia, ancorché dotata di uno statuto che le conferisce quasi una totale indipendenza giuridica, non conta nulla, e va a rimorchio delle scelte nazionali. Il Sud non è mai stato così lontano dalle medie nazionali in tutta la storia unitaria, tutti i centri decisionali sono gravemente sbilanciati rispetto alla conformazione del Paese e vi è un solo ministro, uno solo, nel governo nazionale nato a sud di Roma.
In tutto questo disegno, per noi disastroso, cosa volete che conti il passaggio di un comune, per quanto prestigioso e ricco di beni culturali, da un libero consorzio ad un altro, entrambi non liberi per nulla, entrambi in una regione che non conta nulla?

Cataldo Salerno