Enna. Festa della Patrona Maria Santissima della Visitazione

La festa della “Maria Santissima Madonna della Visitazione”, patrona della città di Enna, si celebra da oltre sei secoli ogni anno il due luglio. Il culto legato alla cosiddetta “festa della Madonna” ha origini lontanissime, esso è mutuato dagli antichi rituali pagani in onore di Cerere, sorella di Giove e dea delle messi.
Il culmine della festa si ha il 2 luglio, con la solenne processione del pomeriggio, durante la quale il simulacro di Maria Santissima della Visitazione, adornato di offerte ex voto costituite da gioielli, ori e pietre preziose, viene collocato sulla “Nave D’Oro” e portato a spalle dai confrati scalzi (i gnudi), per le vie della città.
La processione è aperta dai simulacri di San Michele Arcangelo e di San Giuseppe, simbolicamente il primo protegge Maria SS. da Lucifero e il secondo come custode della Santa Famiglia di Nazareth; la processione fa tappa in numerose piazze, dove vengono esplose salve di cannone, le cosiddette “sarbiate”; all’arrivo a Montesalvo, dall’omonima chiesa escono correndo le statue di San Zaccaria e di Santa Elisabetta, che vanno incontro alla Madonna, ecco la scena della Visitazione.
La Vergine rimane ospite dei due anziani cugini, Zaccaria ed Elisabetta, per due domeniche consecutive al 2 luglio (circa 15 giorni), dopo di che nella seconda domenica viene ricondotta al duomo con un analoga processione.
La tradizione vuole che anche il percorso che la processione segue sia legato ad una particolare vicenda: i Dignitari della chiesa maggiore ed i Senatori dell’Università, il 30 giugno 1413 affidarono al volo di 25 bianche colombe, poste prima in una gabbia davanti l’altare della Madonna e poi lasciate libere, la scelta del tragitto che il sacro corteo doveva percorrere per andare dal Duomo a Monte Salvo e per tornare a distanza di 15 giorni di nuovo al Duomo.

Il rito è una pratica che fonda e rinnova, nel suo perpetuarsi, l’identità comune del gruppo sociale che lo mette in essere e lo partecipa. Il rito religioso, più di tutti gli altri, è formato da una complessa e rigida struttura di simboli ad alto valore semantico che servono all’uomo per stabilire un contatto con le forze sovrannaturali che ne regolano l’esistenza.
L’individuo, impotente di fronte alla forza della natura, cerca attraverso il rito una relazione trascendente che lo protegga e lo aiuti a soddisfare i valori primari di cui necessita e che spesso lo tormentano: la salute, il nutrimento, la protezione, i rapporti di socialità, la morte. Ogni rito si consolida nel tempo ma nel tempo stesso cambia e si ristruttura, a volte radicalmente, riscrivendo l’universo semantico dei simboli che lo costituiscono, più spesso solo parzialmente, variando il valore culturale di simboli e significati.
Anche se il fine ultimo, stabilire un contatto tra l’umano e il divino, non cambia mai, le modalità con cui esso si esplica non sono statiche ma vivono e cambiano con l’uomo e le formazioni culturali a cui esso dà vita. Il rito stesso può essere considerato parte di quella, che in senso lato, viene definita “cultura”, ma la sua valenza è doppia, perché, oltre che per la ricerca del contatto ultraterreno, il rito ha un’altra importantissima funzione: stabilire e consolidare rapporti sociali duraturi e garantiti da un senso forte di identità collettiva. In quest’accezione, il rito, e quello religioso più di ogni altro, è fondatore e regolatore di gruppi sociali organizzati.
Non si tratta quindi solo do folklore o di momenti di festa, e tantomeno, solo, di pratiche religiose o sistemi di preghiera, ma della natura fondante del nostro essere uomini in mezzo agli altri, gruppi socialmente organizzati, comunità civili. La festa religiosa, che sempre rappresenta un insieme complesso di pratiche e gesti antichissimi, di cerimoniali misteriosi e coloriti, ma soprattutto, di forti emozioni e partecipazione collettiva, ha un significato molto più profondo di quello che sembra.
Essa è anello di congiunzione tra la natura umana e il mondo che gli sfugge, quello misterioso degli eventi incontrollabili della natura. È un modo di dare “senso” alla caducità dell’esistenza, è un porto salvo nel quale definire un proprio ruolo sociale d’appartenenza ad una collettività.
In questo senso il rito, e la festa religiosa che da esso è regolata, è parte di quell’ordine cosmico in cui l’uomo è attore principale, fatto di regole morali, naturali ed etiche, che alberga nella mente di ogni individuo e, senza del quale, ogni società lascerebbe il posto al caos.
La “festa” di Maria SS. Della Visitazione ad Enna, vista da quest’angolazione, oltre ad essere religione, cultura e folklore, è un vero e proprio rito di aggregazione. Ci aiuta a sentirci ennesi e assieme agli ennesi condividere la sorte che è stata e che verrà, quella che, attraverso il rito religioso (o pagano), cerchiamo di ingraziarsi creando un punto di contatto con l’universo mistico che ci sovraintende.
Ogni individuo sperimenta, nel corso della propria vita, molteplici forme di appartenenza (religiosa, territoriale, politica, familiare, di genere, sportiva, ecc.); ogni gruppo serve a definire la dimensione individuale e collettiva della sua identità. Infatti, la dimensione sociale di appartenenza ad un gruppo, che si sviluppa in relazione all’ambiente ed ai soggetti che ne costituiscono la comunità di riferimento, costituisce uno dei momenti fondamentali per il completamento di quel processo di consapevolezza della propria identità verso il quale l’uomo è sempre proteso.
Momento che è successivo soltanto all’elaborazione della definizione dell’ “io” ed alla costruzione della “considerazione di sé”. Spiegato in altri termini, senso di appartenenza significa sentirsi parte di un gruppo con il quale, e grazie al quale, possono essere sperimentate forme importanti di condivisione, di comportamenti, di modi di pensare, di valori e di atteggiamenti.
L’appartenenza, quindi, instaura un processo di identificazione, in cui la sfera dell’Io si identifica con il Noi, e permette di riconoscersi e di essere riconosciuti come membri di un gruppo. Ciò avviene, principalmente, attraverso l’assunzione di alcuni segni distintivi: lingua, usi, costumi, riti, credenze, valori e norme. Poste queste premesse, considerare le celebrazioni in occasione della festa della Madonna della Visitazione quali semplici manifestazioni folkloristiche, ovvero quali esternazioni di fede cristiana, sarebbe assai riduttivo.
L’insieme di riti, cerimonie, usanze, dei simbolismi legati alle celebrazioni della festa della Madonna, costituiscono per ogni ennese cresciuto in questi luoghi un bagaglio culturale di fondamentale importanza, perché estrinsecano quel senso di appartenenza che innesca il processo di identificazione e di immedesimazione.
L’ennese anche nell’essere mero spettatore è sempre partecipe e attivo, ognuno, a suo modo ha un ruolo (ignudo, confrate, fedele, credente, autorità, organizzatore ecc …) ed è protagonista, in qualche modo, del rito; probabilmente questo spiega perché la festa di Maria SS. Della Visitazione è così sentita e partecipata dal popolo ennese, ed anche perché i molti immigrati fanno ritorno in città proprio in occasione delle celebrazioni cogliendo l’opportunità di riaffermare la loro appartenenza ad un gruppo, ad un popolo, nonché la loro stessa identità. E conferma, soprattutto, il persistere di un rito, che ha accompagnato, tramutandosi, le comunità di questi luoghi fin da prima che qui giungesse il cristianesimo, che da secoli si tramanda e trasmigra (dal rito pagano in onore della dea Cerere a quello cristiano in onore della Madonna della Visitazione) con semplicità e capacità di adattamento, ma con estrema pregnanza per la cultura e per i valori condivisi del popolo ennese.

La festa della “Maria Santissima Madonna della Visitazione”, patrona della città di Enna, si celebra da oltre sei secoli ogni anno il due luglio.
Il culto legato alla cosiddetta “festa della Madonna” ha origini lontanissime, esso è mutuato dagli antichi rituali pagani in onore della dea Cerere, dea delle messi.
Secondo il mito la dea Cerere, sorella di Giove, nacque proprio ad Enna e lì visse con sua figlia Proserpina, insegnando agli uomini l’arte di coltivare i campi ed a renderli rigogliosi, anche attraverso riti propiziatori, trasformando così un popolo nomade in un popolo di stabili agricoltori, ai quali fece dono di leggi che servirono a regolare la convivenza: ecco perché ella è detta anche dea delle leggi e della cultura.
Narra la leggenda che un giorno Proserpina, che si trovava in compagnia di alcune ninfe, mentre era intenta a cogliere i fiori dei campi vicini al lago di Pergusa, imprudentemente si allontanò dalle altre.
Proprio in quel momento ella vide, improvvisamente, davanti a se la terra aprirsi e dallo squarcio comparire una carrozza trainata da cavalli sulla quale vi era Plutone, dio degli inferi. Plutone ammaliato dalla bellezza e dalle grazie della giovane Proserpina, la rapisce e la trascina con sé, per farne la sua sposa nelle viscere della terra attraverso lo specchio d’acqua del lago di Pergusa, che secondo il mito era la porta dell’Ade.
Questo evento è ricordato dalla leggenda come “il ratto di Proserpina” (questo evento è stato rappresentato da una bellissima statua bronzea del Bernini esposta sulla fontana del Belvedere di Enna). La dea Cerere, allarmata dalle grida pietose della figlia cominciò a cercarla in ogni dove su tutta l’isola; calata la notte, per rischiararsi la via, accese alle falde dell’Etna due fiaccole improvvisate con dei ramoscelli di pino e continuò a cercale la figlia per nove giorni e nove notti ma ogni sforzo fu vano ed inutile.
Solo Elios, il dio Sole, che illumina la terra e con la sua luce, svelò a Cerere le trame oscure dei tragici fatti, rivelandole che gli stessi erano avvenuti col consenso di suo fratello: Giove. Cerere, distrutta dal dolore per la perdita della figlia e dal tradimento del fratello, decise di ritirarsi dall’Olimpo, con l’animo colmo di risentimento nei confronti di tutti gli Dei, rei di non aver interceduto in suo favore presso Giove, al quale ella stessa aveva chiesto più volte invano che le fosse restituita la figlia. Senza le cure di Cerere (Madre terra), cessò dunque la fertilità dei campi e vennero i tempi di carestia e morte.
Giove, che vedeva la fame sterminare le popolazioni dell’isola, mandò alcune messi ad ammansire l’indignata Cerere, la quale irremovibile nel suo dolore rispondeva che sarebbe tornata alle cure della terra, solo dopo avere riottenuto in vita Proserpina. Giove, allora, si convinse ed inviò Mercurio come messaggero da Plutone, ma questi giunto nel regno degli inferi vide Proserpina che, ormai sposa di Plutone, aveva perso la sua verginità e quindi non avrebbe più potuto far ritorno da sua madre. Giove, impietosito, decise allora che Proserpina sarebbe ritornata ogni anno sulla terra e sarebbe rimasta a far compagnia a Cerere per un lungo periodo, dalla stagione primaverile fino al momento del raccolto, che in Sicilia, Isola dal clima mite, si protrae sino in autunno inoltrato.
La leggenda, quindi, vuole che Proserpina risalga alla superficie della terra con l’arrivo della stagione primaverile, per ricoprire di fiori tutta l’Isola e portarvi il soffio creatore dell’abbondanza per poi scomparire coi primi dei freddi invernali.
Il popolo di Enna era legatissimo al mito pagano della dea Cerere e della figlia Proserpina, tanto da edificare alcuni templi: uno sicuramente nella zona alta della città, arroccato sulla rocca ancora detta “di Cerere” del quale ancora oggi esiste l’originario basamento, e del quale una colonna raffigurante scene oscene di orge sostiene l’attuale fonte battesimale della chiesa madre; un altro tempio più piccolo era stato innalzato nella zona di Valverde, quartiere antico più a valle della città. Inoltre, mentre nel periodo della semina si celebravano i riti dedicati alla dea Proserpina, durante il periodo di raccolto si celebravano in onore di Cerere le cosiddette “Cerealia”, che consistevano in solenni processioni che si snodavano presso i campi della zona, nel corso delle quali i fanciulli vestiti di bianco con il capo adornato di coroncine intrecciate con spighe di grano, sfilavano in processione seguendo la statua della dea Cerere collocata su un carro e trainata da bianche giovenche. La tradizione vuole che, grazie a questo legame strettissimo e assiduo della popolazione al culto della dea Cerere, l’intera Enna sia stata considerata addirittura quale tempio della dea, come riportato da alcune scritture classiche.
Il culto pagano resistette fino al II secolo d.c., allorquando nella zona di Valverde, che come detto era ed è tutt’oggi uno dei quartieri più antichi della città, cominciò a diffondersi il cristianesimo grazie all’opera di evangelizzazione di San Pancrazio. San Pancrazio, riunì i primi cattolici della città nelle grotte di una zona di Valverde denominata “u fuddaturi”, lungo le rive del torrente Torcicoda, e lì predicava il Vangelo. Si suppone che, almeno inizialmente, le due comunità cristiana e pagana, convivevano nella reciproca tolleranza ma un giorno gli abitanti di Valverde, ormai definitivamente convertiti al cristianesimo, incendiarono il piccolo tempio pagano che si trovava nel quartiere, dando alle fiamme anche la statua lignea che rappresentava la dea Cerere.
Le motivazioni di questo gesto sono da ricercare, probabilmente, nell’esasperazione di quella comunità che seppur ormai convertita al cristianesimo, era obbligata comunque a far fronte alle continue richieste di tasse avanzate dai sacerdoti pagani per mantenere il culto della dea Cerere; ed inoltre, secondo alcune fonti, i cristiani, ormai fedele al culto della Madonna, furono mossi dalla convinzione che il raccolto sarebbe andato comunque bene grazie all’intercessione divina della Vergine. Di questo evento esiste ancora una testimonianza, poiché nel quartiere Valverde, esiste la via Cerere Arsa, detta “Cirasa” che ricorda quel particolare momento storico. Lentamente si diffuse il cristianesimo in tutta la città.
La prima chiesa cristiana di Enna fu innalzata proprio sulle rovine dell’antico tempio pagano prima sito nella zona di Valverde, proprio perché gli abitanti di quel quartiere già da tempo veneravano la Madonna alla quale la chiesa fu dedicata, prendendo il nome di chiesa della Madonna Santissima di Valverde, prima patrona della città. La festa della Madonna di Valverde, ancora oggi, ha dei particolari rituali mutuati dalle celebrazioni anticamente dedicati al culto della dea Cerere, dea delle messi; infatti, la Madonna di Valverde è la protettrice delle cose della natura, e delle vergini. Nel 1307 fu inaugurato il duomo di Enna, da Eleonora, moglie di Federico II di Aragona, probabilmente sulle rovine del tempio di Proserpina del quale esiste ancora oggi nell’abside un arco. Nel 1412, fu deciso dalle più alte autorità ecclesiastiche del luogo che la Patrona di Enna doveva essere Maria Santissima della Visitazione, a ricordo della visita che la Madonna fece alla cugina Santa Elisabetta e al marito San Zaccaria.
Si decise allora di mandare a Venezia una delegazione di cittadini per andare ad acquistare la statua che raffigurasse la Madonna. La statua fu scelta con difficoltà, ma una volta presa la decisione essa fu appositamente imballata e posta in una cassa per essere imbarcata su un veliero che doveva raggiungere la città di Catania. Ma accadde che il veliero giunto a capo Spartivento, naufragò e la cassa, contenente la sacra immagine della Vergine, si arenò presso il porto di Messina.
La cassa fu raccolta dai marinai e portata nei magazzini del porto senza che venisse aperta. La leggenda vuole, però, che avvenissero nella città di Messina miracoli inspiegabili il cui merito fu tributato alla ritrovata statua. Gli ennesi venuti a conoscenza di questi fatti inviarono una delegazione presso quella città, al fine di ottenere la restituzione del miracoloso carico.
Dopo lunga discussione alla fine i messinesi consegnarono la statua ed il 29 giugno del 1412 fu condotta, da un carro trainato da bianche giovenche, fino ai piedi dell’altopiano si cui è arroccata la città. Ad attendere il prezioso simulacro vi erano tutti gli ecclesiastici e i nobili del luogo, ma si narra che improvvisamente il carro diventò pesantissimo, tanto che, sia i cavalli che gli uomini che attendevano la Vergine, non riuscirono a trasportarlo sulla sommità del monte su cui si adagia Enna. Dalle campagne giunsero, allora i mietitori in aiuto impegnati in quel periodo nella raccolta del grano, e furono detti “ignudi”; questi senza alcuna fatica riuscirono a sollevare la statua ed a portarla sino al nuovo duomo di Enna edificato non distante da dove una volte si erigeva il tempio di Cerere.
Da quell’anno, tradizionalmente ogni anno, il 29 giugno viene aperta al Duomo, tra un’immensa folla di fedeli, la cappella detta “delle sette chiavi”, in cui la statua viene custodita nel corso dell’anno, per poi essere traslata sull’altare maggiore della Chiesa. Il culmine della festa si ha il 2 luglio, con la solenne processione del pomeriggio, durante la quale il simulacro di Maria Santissima della Visitazione, adornato di offerte ex voto costituite da gioielli, ori e pietre preziose, viene collocato sulla “Nave D’Oro” e portato a spalle dai confrati scalzi (i-gnudi), per le vie della città.
La processione è aperta dai simulacri di San Michele Arcangelo e di San Giuseppe, simbolicamente il primo protegge Maria SS. da Lucifero e il secondo come custode della Santa Famiglia di Nazareth; la processione fa tappa in numerose piazze, dove vengono esplose salve di cannone, le cosiddette “sarbiate”; all’arrivo a Montesalvo, dall’omonima chiesa escono correndo le statue di San Zaccaria e di Santa Elisabetta, che vanno incontro alla Madonna, ecco la scena della Visitazione. La Vergine rimane ospite dei due anziani cugini, Zaccaria ed Elisabetta, per due domeniche consecutive al 2 luglio (circa 15 giorni), dopo di che nella seconda domenica viene ricondotta al duomo con un’analoga processione La tradizione vuole che anche il percorso che la processione segue sia legato ad una particolare vicenda: i Dignitari della chiesa maggiore ed i Senatori dell’Università, il 30 giugno 1413 affidarono al volo di 25 bianche colombe, poste prima in una gabbia davanti l’altare della Madonna e poi lasciate libere, la scelta del tragitto che il sacro corteo doveva percorrere per andare dal Duomo a Monte Salvo e per tornare a distanza di 15 giorni di nuovo al Duomo.

Reportage fotografico della festa di Fabio Marino su:
http://www.ennaturismo.info/enna/madonna_reportage_web/Madonna_reportage.html