Mafia, beni confiscati per 230 mln tra cui il Casale Belmontino di Aidone
Enna-Cronaca - 21/10/2009
Beni per un valore di 230 milioni di euro sono stati confiscati dalla Dia di Messina a Mario Giuseppe Scinardo, 44 anni, accusato di associazione mafiosa come esponente di primo piano del clan di Mistretta. Il provvedimento è stato emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Catania, presieduta da Roberto Passalacqua. L’operazione, denominata “Malaricotta 2” e coordinata dal procuratore capo di Catania, Vincenzo D’Agata, e dal sostituto della Dda, Antonio Fanara, colpisce un patrimonio costituito da diverse società e ditte individuali, con un volume d’affari di svariati milioni, da 230 immobili tra vastissimi appezzamenti di terreno, appartamenti, ville e locali commerciali, da aziende agrituristiche e vinicole, da impianti di lavorazione del calcestruzzo e da circa 90 mezzi tra camion, escavatori, trattori e automobili di grossa cilindrata. Gli accertamenti patrimoniali, che avevano già portato alle operazioni “Belmontino” e “Malaricotta” per il sequestro preventivo degli stessi beni ora acquisiti definitivament al patrimonio dello Stato, sono stati estesi a tutti i componenti del nucleo familiare di Scinardo.
L’indagato, secondo gli inquirenti, è un uomo di fiducia del capo di Cosa Nostra nella provincia di Messina, Sebastiano Rampulla. Un fratello del boss, Pietro Rampulla, è stato condannato come artificiere della strage di Capaci in cui furono uccisi il giudice Giovanni Falcone, la moglie e tre agenti della scorta. Pietro Rampulla confeziono’ e fece esplodere il potentissimo ordigno utilizzato nell’attentato
La richiesta della confisca da parte della Procura di Catania aveva preso lo spunto da un’analoga iniziativa della Procura della Repubblica di Messina. Il Tribunale della città dello Stretto, infatti, il 18 giugno 2008 aveva disposto il sequestro del complesso agrituristico Casale Belmontino di Aidone (Enna), riconducibile a Scinardo, e aveva disposto la trasmissione degli atti al Tribunale di Catania per competenza territoriale. Le indagini della Dia di Messina e i risultati di una complessa perizia ordinata dal Tribunale, hanno confermato che in circa 15 anni la famiglia Scinardo ha conosciuto, una rilevante crescita patrimoniale a fronte di una sostanziale assenza di significativi redditi leciti.
Mario Giuseppe Scinardo è stato rinviato a giudizio nell’ambito del procedimento penale scaturito dall’operazione “Montagna” del Ros di Messina, perche’ ritenuto appartenente al gruppo mafioso di Mistretta, riconducibile a Cosa Nostra e operante sul versante tirrenico della provincia di Messina nella fascia compresa tra Mistretta, Capizzi, Caronia, Tortorici, San Fratello, Acquedolci e i Comuni limitrofi. Da quell’inchiesta sono emersi rapporti tra gli Scinardo e la famiglia Rampulla “variegati e risalenti nel tempo”.
Scinardo, inoltre, secondo l’accusa ha avuto strettissimi rapporti e contatti telefonici con Sebastiano Rampulla e Maria Rampulla, per la gestione di comuni interessi economici e ha offerto un supporto logtistico al capomafia Sebastiano Rampulla, non solo consentendogli di utilizzare il “Casale Belmontino” per tenere summit del clan, ma anche occultando le sue compartecipazioni nell’azienda agrituristica, intestata alla moglie. Il clan cui Scinardo e’ affiliato, peraltro, secondo la Dia controllava anche quel circuito mafioso di allevatori che ha contribuito a garantire la latitanza del boss catanese Umberto Di Fazio, 47 anni, come indicato anche da dichiarazioni di collaboratori di giustizia.