QUANDO LE STRADE ERANO A SCHIENA D’ASINO

Avete presente la SS 117 bis dal bivio Bellia all’ingresso di Piazza Armerina? Dopo ogni pioggia è un fiume con pozze profonde e un numero di buche tali da far invidia ad un gruviera. Finite le piogge qualcuno (?) fa riempire frettolosamente le buche con una manciata di asfalto che alla nuova prima pioggia, puntualmente, si dissolve e intanto l’asciutto rivela nuove buche che rendono la strada un percorso ad ostacoli….

Quando da studenti viaggiavamo ogni giorno per raggiungere Piazza ricordo che scherzavamo sulla forma di questa strada che qualcuno chiamava a schiena d’asino, la “schiena” si percepiva a occhio, i pullman sembravano procedere sghimbesci e c’erano le cunette vere; poi ne fu progettatto l’allargamento e si creò la spianata. I progettisti si convinsero che quei ritardati degli antichi non erano capaci di fare una strada come si deve e così le cunette scomparvero sostituite da brevi cigli, il fondo stradale fu bel livellato per trattenere l’acqua e ben presto cominciò ad abbassarsi in alcuni punti critici creando pozze vaste e profonde; l’acqua che defluisce con molta lentezza favorisce la formazione di una pista per l’ acquaplaning e gli automobilisti si divertono a sollevare zampilli che si alzano vigorosi a causa della velocità consentita dal rettilineo…un vero divertimento! Da allora non so quante volte ormai è stata risistemata questa strada ma il risultato non cambia. Mi chiedo spesso: vista l’incapacità degli ingegneri dell’ultimo cinquantennio di progettare delle strade efficienti che durino nel tempo, che non si abbassino dopo pochi anni, che non abbiano bisogno subito e frequentemente di manutenzione radicale, se non sarebbe opportuno che gli stessi tornino a studiare i segreti delle strade costruite dai romani, o giù di lì,  visto che quelle dopo più di duemila anni ci sono ancora. Lo stesso dicasi delle strade interne in cui sembra che il vero studio ingegneristico consista nella scelta del tipo di pietra, di porfido, di mattone, di asfalto da usare tralasciando ciò che sta sotto, infatti il risultato è che la durata di queste pavimentazioni non arriva neppure alla fine del primo anno, anche senza l’aiuto della pioggia!

Non sono un addetto ai lavori ma un utente e racconto quello che vedo e subisco nella mia vita di pendolare e la cosa che mi fa arrabbiare è il pensiero che quelle stesse strade sono percorse da amministratori, responsabili dei vari uffici tecnici, del genio civile, dalle forze dell’ordine, dagli  ingegneri, magari dagli stessi autori dei progetti di costruzione o restauro e nessuno pensa di dover dire o fare qualcosa?  La parola d’ordine è deresponsabilizzazione e riguarda i professionisti: progettisti, imprenditori e collaudatori, gli amministratori, i politici alla ricerca perenne di soldi che, o non ci sono o se ci sono, vanno dati da gestire agli amici,  i burocrati a tutti i livelli e infine, ma non per importanza, i cittadini che si fanno passare sulla testa, in silenzio e rassegnati, tutte le porcherie.

A questo proposito ho provato a chiedere a chi tutti i giorni è costretto, da quasi due anni, a fare la trazzera di Grottacalda per la chiusura della galleria di Valguarnera, come mai subisca tutto questo in silenzio e nell’assoluta indifferenza, ebbene più che una risposta ne ho ricevuto uno sguardo tra l’infastidisto e il rassegnato. Forse dovremmo cominciare a coltivare l’etica della responsabilità personale e professionale ed acquisire la consapevolezza che il pubblico non è roba di nessuno ma di ciascuno di noi che l’ha comprato, l’ha costruito, l’ha restaurato con il proprio contributo alle casse dello Stato o dei comuni.

Francesca Ciantia