A Villarosa in scena Enzo Alaimo in “Villarosa”

A Villa Lucrezia di Villarosa sarà messo in scena, per Teatri di Pietra Sicilia, lo spettacolo “Villarosa” di e con Enzo Alaimo.
Si tratta di uno spettacolo sulla memoria con un testo bilingue e racconta una pagina atroce e rimossa della nostra storia: L’emigrazione italiana nelle miniere in Belgio negli Anni 40 e 50. La tragedia della miniera di Marcinelle è sconosciuta ai più: protocollo d’intesa tra i due governi attraverso il quale venivano “venduti” i lavoratori italiani in cambio di carbone a prezzo ridotto. Villarosa è arricchito dalle musiche originali composte da Giovanna Marini, in scena con Alaimo al debutto a Otranto e alle Orestiadi di Gibellina nel 2003 e negli appuntamenti più importanti. Nel 1953, una ragazza di vent’anni assieme a tutta la sua famiglia decide improvvisamente di partire. Punto di partenza: Villarosa (EN), destinazione: Liegi (Belgio). “Non so se si rendessero perfettamente conto di essere emigranti, – scrive Alaimo nelle note di regia – di far parte in qualche modo della nostra Storia. La storia, io la conosco bene, da sempre. E’ la storia che mia madre mi ha sempre raccontato, una storia sulla quale ho sempre riso, fatta di luci della città e d’irresistibili equivoci linguistici franco-siciliani, di zii ammalati di silicosi in miniera che però si facevano fotografare in “ pose alla Elvis” in foto microscopiche, di sguardi ingenui e teneri dentro una realtà che i suoi occhi vedevano fantastica e i miei in maniera oleografica. Ma sotto c’era un’altra storia. A centinaia di metri sottoterra migliaia di uomini lavoravano nelle miniere di carbone, e morivano nei piccoli e grandi “disastri” di ogni giorno. “Venduti” dal governo italiano al Belgio con un Protocollo d’intesa stipulato nel 1946 in cambio di sconti sull’importazione di carbone. Alloggiati nei lager nazisti dismessi, prima, e in ghetti qualche anno dopo, emarginati al punto che solo la seconda generazione ha potuto avere la cittadinanza belga. Questa Storia ho voluto raccontarla e chiamarla Villarosa , un nome fisico e depistante che forse evoca atmosfere da letteratura sudamericana, ma è successa in un posto grigio e piovoso. Ho voluto prendermi il peso di raccontare in prima persona questo viaggio, da solo in scena, per un viaggio multiplo. Nella Memoria e nella memoria, nel rimosso collettivo e nella mistificazione su un decennio, gli anni ’50 fatti di boom economico e lambrette al vento. Dopo due lavori in siciliano, nel mio personale “pastiche”, credo sia il momento della stoccata. Andare verso le colonne d’ercole del mio dialetto e del mio italiano. Ho scelto un bilinguismo netto, separato e incrociato. Da una parte il dialetto di Villarosa fossilizzato di mezzo secolo. Cinquant’anni di lontananza dal proprio luogo d’origine restituiscono una lingua pregnante di suoni e parole-suono eccezionali. E’ il dialetto che ho imparato da bambino e che mi porto in grembo come una gravidanza segreta. Poi l’italiano, la mia lingua conquistata, -conclude Alaimo – la mia lingua di adulto che uso ” per dire con chiarezza” per non lasciare la possibilità di non sentire, non “capire” rimosso e, colpevolmente, sconosciuto”.