Aidone–Morgantina: In attesa del rientro degli Argenti del tesoro di Eupolemo

LO STATO DELL’ARTE. Gli Argenti di Morgantina hanno fatto la loro figura a Shangai  – nonostante lo spiacevole incidente denunciato dai turisti di Regalbuto, non smentito da nessuno degli organizzatori –  e dovrebbero essere rientrati in Sicilia per essere sicuramente ben conservati e protetti. Settembre era il mese in cui avrebbero dovuto finalmente far bella mostra di sé nel Museo di Aidone, ma sembra che non se ne parli, almeno per ora!

Forse a dicembre, o sarà ancora troppo presto?

Intanto qualche novità c’è: il turnover di tutti soprintendenti siciliani che vede il passaggio di consegne, in quella di Enna, tra la Basile e la nuova dirigente Fulvia Caffo, e  la nomina del dott. Enrico Caruso come  responsabile del “Parco Archeologico di Morgantina e delle aree archeologiche di Aidone e dei Comuni limitrofi”,  che sarà affiancato da tre unità operative,  e sarebbe auspicabile agisse in sinergia con il  Parco archeologico della Villa romana del Casale e delle aree archeologiche di Piazza Armerina, che sarà guidato dal dott. Guido Meli e con il l Parco minerario Floristella – Grottacalda affidato alla dott.ssa  Rosa Oliva

La recente istituzione del Parco Archeologico di Morgantina, della cui consistenza e competenza tuttavia non è ancora possibile misurare la portata, e la presenza in loco di un responsabile potrebbe – con la sua prossimità e con il rapporto di esclusività a Morgantina, al Museo ed alle sue pertinenze –  agevolare la soluzione dei nostri annosi problemi, ma, paradossalmente, potrebbe essere causa di nuove lentezze,  se dobbiamo aspettare i tempi dell’insediamento, delle consegne, della costituzione dell’ufficio, tempi che sappiamo in genere molto lunghi, ma che nella nostra bella Regione si dilatano ancor di più!

I nostri amministratori, ancora nel pallone, magari si augurano un slittamento per prepararsi meglio e lo stesso auspicio forse condividono Provincia e Regione. NOI, no!

Liquidata questa parte di attualità, è arrivato il momento di ricominciare a parlare degli Argenti e di dare un modesto contributo nel tentativo di creare o di accrescere la curiosità, la trepidazione, l’impazienza di poterli finalmente vedere nei luoghi da cui furono portati via in modo fraudolento.

Quando, in occasione della loro esposizione a Roma,  sono apparse le prime fotografie pubblicate da La Repubblica ci si è resi conto della loro estrema bellezza ma erano foto da catalogo, perfette ma fredde,  sembravano rappresentare oggetti appartenenti ad un’epoca molto vicina ed in ogni caso ne raccontavano solo il valore estetico. Vederli da vicino a Palermo è stata una rivelazione, un’emozione ineguagliabile, essi apparivano in tutto il loro splendore ma, nel contempo, i segni del tempo ben visibili, le ammaccature, i residui attaccati alle anse, la quantità di timbri e incisioni ne rivelavano la loro vera bellezza, il vero fascino,  quello della loro storia che  non si può leggere in altri posti se non a Morgantina e in quella casa modesta appartenuta ad Eupolemo, o forse ad un suo famiglio, dove per oltre due millenni erano rimasti nascosti.

Storia delle scoperte e di due monete galeotte.  Chi scende a Morgantina a piedi, dopo avere lasciato la macchina al parcheggio, a meno di cento metri, lungo la strada, sulla sua sinistra, si ritrova davanti ad un’abitazione segnalata e descritta da un pannello illustrativo. È la cosiddetta casa di Eupolemo, una casa modesta a due piani, con le stanze private al primo piano, raggiungibile da una scaletta ancora visibile, e un piccolo cortile in terra battuta intorno al quale sono disposte le stanze adibite a magazzino e forse a bottega. Qui, sotto il battuto pavimentale, tra il 1980 e il 1981, a più riprese,  dei tombaroli, guidati dal metaldetector, scavarono portando alla luce un tesoro che lasciò loro stessi sbigottiti e frastornati. In quegli anni in Aidone si favoleggiò di un servizio di argento, con decorazioni dorate, che aveva fatto la fortuna di anonimi tombaroli, si descrivevano anche i due pezzi più curiosi: un paio di corna. La leggenda prese consistenza di realtà nel corso di un interrogatorio, a cui, nel 1988, l’allora Giudice Istruttore Silvio Raffiotta sottopose il tombarolo per eccellenza, Peppe Mascara;  dal suo racconto emerse che egli aveva avuto modo di vedere non solo gli Acroliti, che gli scavatori clandestini  trovavano  difficili da piazzare, ma anche “ un corredo di 15 pezzi di utensili d’argento dorato di periodo tardo ellenistico” (Silvio Raffiotta, A volte ritornano, Papiro editrice 2003, pag31). Ma già nel 1987 il professore Malcom Bell, l’archeologo americano esperto di Morgantina, alle cui orecchie erano giunte le descrizioni dei pezzi rinvenuti, li aveva riconosciuti, grazie soprattutto al paio di corna, nel tesoro d’argento esposto nelle vetrine del Metropolitan  Museum of Art di New York e aveva avvisato le autorità italiane. Nel 1984 il bollettino del Metropolita ne aveva pubblicato la descrizione indicandone vagamente la provenienza dall’Italia Meridionale o la Sicilia orientale.

Finalmente, sulla base delle informazioni emerse dalle indagini dei Carabinieri e con l’appoggio delle autorità siciliane, la Missione archeologica americana, alla fine degli anni novanta, potè intraprendere lo scavo del presunto sito di rinvenimento del tesoro. Era una casa costruita nel IV sec. a.C., sulla nona strada a nord ovest dell’agorà (stenopos ovest 9), vicino all’incrocio con il viale principale (plateia A); i tombaroli, a più riprese  l’avevano scavata integralmente, demolendo muri, pavimenti e quanto ostacolasse la loro ricerca di preziosi e poi l’avevano ricoperta con la stessa terra; erano visibili due grandi buche, in una, nella foga, vi avevano perso una moneta da 100 lire del 1978, era la prova che lo scavo abusivo era avvenuto dopo quella data e quindi verosimilmente nel 1980 – ’81, come aveva affermato Mascara. Ai loro occhi rapaci, abbagliati da cotanto rinvenimento, era sfuggita una moneta in bronzo, da datarsi tra il 216 e il 212 a.C.,  che si rivelò invece preziosissima agli occhi degli archeologi per confermare l’epoca del nascondimento del tesoro.

 

IL NOME DI EUPOLEMO è inciso sull’arula e sulla pisside con figura femminile e potrebbe indicare l’ultimo proprietario del tesoro; lo stesso nome è documentato a Morgantina come il proprietario di una casa nelle vicinanze (tra le peculiarità di Morgantina c’è la presenza dei nomi di questi uomini che emergono dal buio dei millenni per raccontarci delle storie che  meriterebbero di essere meglio indagate: il cratere di Eutidemo, la dedicatio del teatro da parte di Eucleide, il ricco Eupolemo, un collezionista ante litteram, che poteva permettersi di comprare oggetti così preziosi…). La modestia della casa ci racconta però un’altra storia: possiamo quasi vedere questo ricco cittadino, che probabilmente abitava nel ricco quartiere ovest, spinto dalla paura dell’imminente arrivo dei Romani, di cui indovinava la sete di vendetta e la leggendaria avidità, nascondere il tesoro nella casa più ordinaria, forse di un famiglio o di un parente, che non avrebbe attratto l’attenzione dei conquistatori, e quindi eccolo mentre ansiosamente scava il pavimento battuto, seppelisce il tesoro nella buca e lo ricopre con la speranza di recuperarlo in tempi meno rischiosi… quei momenti drammatici, che certamente erano stati vissuti dalla popolazione anche in altri tempi  avevano visto molti Eupolemi tentare di salvare i loro oggetti più preziosi seppellendoli nelle case, come ben sanno i tombaroli di ogni tempo….

UN TUFFO NELLA STORIA! Siamo nel 211 a.C., da parecchi mesi, dopo la cacciata del presidio romano, i cittadini di Morgantina vivono con trepidazione gli avvenimenti che l’hanno eletta a roccaforte dei nemici di Roma; la lega siculo-punica vi ha stabilito il suo quartiere generale e ha dato ordine alla Zecca di coniare nuove monete, con la scritta Sikeliotan, che celebrino la ritrovata unità dei popoli siciliani. Tra le sue mura fortificate hanno trovato rifugio anche le truppe del generale Imilcone, mandato in Sicilia da Annibale e quelle di Ippocrate, sfuggite all’assedio di Siracusa; quando è caduta Siracusa il console Marcello ha ordinato ai Morgantini la resa. Ma i maggiorenti della città hanno deciso di resistere: la popolazione è stanca di mantenere gli eserciti, i contadini hanno paura di allontanarsi dalle mura per raggiungere i campi, si dice che le truppe romane siano già in marcia verso l’interno, che distruggano i villaggi sul loro cammino, brucino i raccolti, facciano schiavi gli uomini validi, le donne e i bambini. Negli ultimi decenni a Morgantina sono affluite grandi ricchezze, la città si è estesa a dismisura, i ricchi abitano case signorili con grandi cortili porticati, con pavimenti mosaicati e suppellettili preziose, l’agorà è splendida, anche il teatro è ormai completo e il territorio è contornato di ricchi santuari; è sorto anche un nuovo edificio termale dove si fa la fila per entrare,  e ora tutto questo è messo in pericolo dalla politica velleitaria del consiglio e dei magistrati che hanno creduto alle lusinghe dei punici e dei siracusani. Chi può, però, cerca di mettere al sicuro la propria famiglia e i propri beni, si sa che la vendetta dei romani sarà terribile, e, dopo la resa della città, a chi sopravviverà farà comodo avere qualcosa per ricominciare. Eupolemo si è guardato intorno: le case belle e ricche sono concentrate sulla collina ovest al di sopra dell’agorà, quella sarà certamente la prima zona che saccheggeranno i romani, nella sua bella casa i suoi tesori non sarebbero al sicuro. Ha accumulato molte ricchezze, tra cui dei pezzi di finissima argenteria che ha comprato a caro prezzo durante i suoi viaggi, sono stoviglie per il simposio e per i sacrifici che ha osato sfoggiare solo raramente. Deve trovare un rifugio sicuro, i romani non devono scoprirlo. Forse potrebbe essere più sicura la casa che ha affittato all’amministratore che gestisce i suoi commerci, è a poca distanza, al di là della strada maestra.  Avvolge i pezzi più preziosi in un mantello e si avvia verso la casa dell’amministratore, entra e gli intima di mandare moglie e figli al piano superiore, poi chiede di essere lasciato solo in uno dei magazzini. Comincia a scavare una buca nel pavimento di terra battuta e vi sotterra metà del tesoro, la ricopre e ne scava un’altra: meglio separarli qualcosa si salverà.  Sotterra anche gli altri pezzi, ricopre la buca e poi con i piedi cerca di pareggiare bene il terreno, vi trascina sopra dei sacchi e delle anfore, nessuno si accorgerà che la terra è stata smossa. I Romani sono ormai minacciosi alle porte, la popolazione trema, ma il Consiglio è sempre deciso a non dichiarare la resa, è stato ordinato agli uomini di armarsi con qualunque attrezzo utile e di correre alla difesa delle mura. Vedono avanzare l’esercito romano, a capo c’è, terribile nella sua armatura, il propretore Marco Cornelio Cethego e al suo fianco marcia il chiliarca Moerico, alla guida dei suoi mercenari iberici, di cui si raccontano cose terrificanti! I Morgantini capiscono di avere poche possibilità ma i Punici e i Siracusani continuano ad incalzarli, spronandoli a combattere.  I Romani riescono ad aprire una breccia nelle mura e ben presto hanno ragione della difesa, i cittadini che cercano rifugio nelle case sono uccisi o catturati e trascinati nell’agorà, le case vengono saccheggiate e poi date alle fiamme, al centro dell’agorà vengono ammucchiate le cose di valore portate via dalle case devastate. È un inferno, Eupolemo ha difeso con tutte le sue forze la sua famiglia e la sua casa, ora giace senza vita nel cortile, la moglie e i figli sono stati catturati, l’amministratore è stato massacrato con tutta la sua famiglia e la casa distrutta. Cethego, quando tutto è finito, riparte consegnando a Moerico la città, o meglio quanto ne rimane: che ne facciano quello che vogliono è un ottimo compenso per l’aiuto prestato…

 

IL TESORO. Grandi storici come Polibio e Livio raccontano di preziose opere di oreficeria ed argenteria che abbelliscono le case e le mense siracusane sotto Ierone II  (275-215 a.C.). Poche opere come il tesoro di Morgantina possono testimoniare la veridicità di quei racconti,  i motivi stilistici ed  iconografici hanno convinto gli studiosi che gli argenti di Morgantina sono appunto opera di artigiani siracusani del periodo ieroniano, della seconda metà del III sec. a.C.

Il tesoro degli Argenti di Morgantina comprende sedici oggetti di argento dorato, il numero sedici si raggiunge con la somma di alcuni oggetti che comprendono più elementi. Sono di produzione e cronologia diversi, acquistati forse, quasi con modalità collezionistiche,  in tempi e modi vari. Nove oggetti sembrano destinati al simposio: due grandi coppe (mastoi) con i piedi a forma di maschere teatrali dove si mescolava il vino con l’acqua e aromi vari, la brocchetta (olpe) e l’attingitoio (kyathos) per servirlo e le quattro coppe, di cui tre con il medaglione sul fondo e una con decorazione a reticolo, e la tazza a due anse, per berlo.  Quattro degli oggetti hanno certamente una funzione sacra, come testimonierebbe la presenza di dediche votive. Sono: il piatto ombelicato (Phiale mesomphalos), che probabilmente serviva per versare liquidi durante i sacrifici, il piccolo altare (bomiskos) decorato con ghirlande e bucrani, che  si usava per bruciare i profumi ed infine le pissidi, di cui una con coperchio decorato con un Amorino (Erote), e l’altra con figura femminile che regge una cornucopia, che servivano a  contenere essenze ed unguenti. I due corni bovini, che furono utili al professore Bell per il riconoscimento, potrebbero far parte di un elmo da parata. Infine c’è il pezzo forse più bello e perfetto, il medaglione con la raffigurazione di Scilla, appartenenete forse ad un piatto o ad una coppa.  La presenza di Scilla, il mostro marino descritto da Omero nell’Odissea, nel fondo di una coppa per bere, è stata interpretata quasi come un avvertimento minaccioso sui rischi cui si va incontro bevendo tanto vino; la ninfa, terribile nelle sue estremità trasformate in teste di cani feroci e nei serpenti che avvolgono il suo busto che però rimane di una donna bellissima, è rappresentata mentre scaglia un macigno contro il bevitore.

Tutti i pezzi presentano decorazioni vegetali e figurate, raffinate e curate nei dettagli, esse sono ottenute attraverso la lavorazione a sbalzo, la martellatura avveniva dal retro sull’oggetto appoggiato sulla pece; i dettagli venivano realizzati a cesello. La doratura era fatta con la foglia d’oro che si scioglieva col calore sul decoro ricoperto prima di mercurio.

Sono presenti molte iscrizioni in lingua greca, ottenute per puntinatura e incisione, si tratta di dediche votive, di indicazioni sulla proprietà e sul valore ponderale, su almeno tre oggetti sono presenti  notazioni del peso, con lettere e segni secondo un sistema ponderale tipico della Sicilia e della stessa Morgantina, un’ulteriore elemento a supporto dell’identificazione del luogo di provenienza del Tesoro.

Franca Ciantia