Arrestati dopo 12 anni gli autori dell’omicidio del boss emergente di Aidone, Giuseppe Mililli
Enna-Cronaca - 13/10/2010
Nel pomeriggio di ieri, le Suqadre Mobili di Caltanissetta ed Enna, unitamente al Commissariato di P.S. di Niscemi hanno dato esecuzione a nr. 5 ordinanze di custodia cautelare emesse nell’ambito del procedimento penale (nr. 14081/09 R. G. N. R. ) dal Gip del Tribunale di Catania, dr.ssa Grazia Anna Caserta, su richiesta del Procuratore Capo, dr. Vincenzo D’Agata e del Pm dr. Fabio Scavone, a carico dei seguenti sottonotati:
1. Gesualdo La Rocca inteso Aldo, nato a San Michele di Ganzaria (CT) nel ‘61, in atto detenuto per altra causa;
2. Salvatore Siciliano, nato a Mazzarino (CL) nel ‘64, in atto detenuto per altra causa;
3. Francesco Ghianda, nato a Mazzarino (CL) nel ‘60, in atto detenuto per altra causa;
4. Massimo Carmelo Billizzi, nato a Gela (CL) nel ‘75, in atto detenuto per altra causa;
5. Sebastiano Montalto, nato a Niscemi (CL) nel ‘69, in atto detenuto per altra causa in regime di arresti domiciliari, già sorvegliato speciale della Ps;
poiché ritenuti responsabili:
– La Rocca Gesualdo, del delitto di cui agli artt. 110 – 575 – 112/1° c. nn. 1) e 2) c.p., per avere cagionato la morte di Giuseppe Mililli, nato ad Aidone (EN) in data 05.12.1966 agendo, per raggiungere lo scopo, in concorso con Salvatore Siciliano, Francesco Ghianda, Massimo Carmelo Billizzi, Sebastiano Montalto e Daniele Salvatore Emmanuello (quest’ultimo nel frattempo deceduto), promuovendo e organizzando, unitamente al citato Daniele Salvatore Emmanuello, il delitto medesimo, pianificando l’imboscata nel corso della quale il Giuseppe Mililli doveva essere ucciso.
Con l’aggravante per tutti prevista dall’art. 7 L. 203/91 per aver commesso il delitto avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis del codice penale, e cioè della loro appartenenza alla organizzazione di stampo mafioso denominata “cosa nostra”.
In Niscemi nella contradada Arcia in data 10 febbraio 1998
– Siciliano Salvatore, Ghianda Francesco, Billizzi Massimo Carmelo, Montalto Sebastiano, del delitto di cui agli art. 110 – 575 – 112/1° c. nn. 1) c.p., per avere cagionato la morte di MILILLI Giuseppe agendo in numero superiore alle cinque persone.
Con l’aggravante per tutti prevista dall’art. 7 L. 203/91 per aver commesso il delitto avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis del codice penale, e cioè della loro appartenenza alla organizzazione di stampo mafioso denominata “cosa nostra”.
– Tutti del delitto di cui all’art. 110 – 411 – 61/2° c.p., per avere distrutto il cadavere di Giuseppe Mililli cremandolo all’interno di un fusto riempito di nafta, allo scopo di occultare l’avvenuto omicidio.
Con l’aggravante per tutti prevista dall’art. 7 L. 203/91 per aver commesso il delitto avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis del codice penale, e cioè della loro appartenenza alla organizzazione di stampo mafioso denominata “cosa nostra”.
La vittima dell’omicidio era all’epoca dei fatti ritenuto elemento di spicco di cosa nostra operante ad Aidone (EN), sodalizio facente capo a livello provinciale al boss detenuto Giovanni Mattiolo. Tuttavia nel territorio ennese, oltre al gruppo capeggiato dal Mattiolo, operava uno schieramento “perdente” vicino alla “corrente” dei Madonia di Bernardo Provenzano.
Entrambe le locali consorterie mafiose privilegiavano, tra le loro attività illecite, quella afferente al controllo del settore edile, in particolare con riferimento alla gestione di appalti e sub-appalti, nonché del settore delle forniture di materiali per costruzione e del movimento terra.
Il Mililli era considerato elemento di elevato spessore, dedito alle estorsioni, considerato braccio armato della organizzazione, pronto ad essere utilizzato in azioni sanguinarie da portare a termine anche in altre province siciliane, e veniva inserito in contesti mafiosi ad ampio raggio comprendenti le province di Catania-Caltanissetta ed Enna. Molti imprenditori edili della provincia ennese aveva come suo “referente” Giuseppe Mililli, il quale, a sua volta, faceva capo a Giovanni Mattiolo, inteso “zè Giuanni”, “rappresentante provinciale” di Enna della consorteria mafiosa.
Tale profilo criminale trova conforto nelle indagini, anche tecniche, esperite dalla Squadre Mobili nissena ed ennese gli anni 1995-1998, a seguito delle quali il G.I.P. del Tribunale di Caltanissetta emetteva, in data 25.03.1998, ordinanza di custodia cautelare nr. 2175/95 R.G.N.R. n. 1726/96 R.GIP e n. 10/98 ROMIC, a carico di Giuseppe Mililli che, in concorso con altri, veniva indagato per l’art. 416/bis comma 1-2-3-4-6 c.p., perché facente parte dell’associazione denominata cosa nostra ed in particolare del nucleo denominato “famiglia di Aidone”. Tale ordinanza è da sempre rimasta ineseguita per la scomparsa dello stesso, probabilmente vittima della c.d. “lupara bianca” per il contrasto esistente con il summenzionato gruppo di Piazza Armerina.
In tale contesto si colloca l’episodio delittuoso in questione che vede quale mandante Gesualdo Giuseppe La Rocca e quali esecutori Sebastiano Montalto, Massimo Carmelo Billizzi, Salvatore Siciliano, Daniele Emmanuello (deceduto), Francesco Ghianda, unitamente allo stesso Gesualdo Giuseppe La Rocca.
Con la collaborazione fornita alla Squadra Mobile di Caltanissetta da alcuni collaboratori, si acquisivano importanti elementi in ordine all’omicidio di Giuseppe Mililli, detto “u prosciuttaru”, delitto posto in essere da un “squadra di morte” capeggiata dal boss deceduto Daniele Emmanuello.
La Squadra Mobile di Enna, nel corso di indagini svolte nell’ambito del p.p. 133/97 pendente preso la Procura della Repubblica – D.D.A. di Caltanissetta, apprendeva della scomparsa di Giuseppe Mililli dall’ascolto di più conversazioni ambientale intercorsa sull’auto di Domenico Calcagno tra questi ed esponenti mafiosi, dell’aidonese, in epoca successiva alla scomparsa, quando però i familiari non avevano ancora sporto alcuna denuncia di scomparsa.
Nel corso della citata conversazione i dialoganti, elementi interni a cosa nostra aidonese e facenti capo al Melilli, si interrogavano sulla sua scomparsa, della quale cercava di attingere notizie il rappresentante provinciale Giovanni Mattiolo, il quale, però, sembrava essere tenuto all’oscuro di importanti particolari relativi alla sparizione, poi meglio disvelati dai collaboranti, particolari che già emergevano nel corso delle indagini condotte dalla Squadra Mobile di Enna, relativamente al fatto che il Mililli si sarebbe allontanato unitamente al Siciliano, poiché doveva incontrarsi con “Carmelo” di Gela (CL) e “Aldo” (La Rocca) il quale, interpellato, non si era fatto trovare più volte, emergendo che erano state chieste notizie anche a tale “Gianfranco”.
La scomparsa di Mililli costituiva l’argomento principale di un’altra importante conversazione intercorsa il 16 febbraio 1998, tra Domenico Calcagno ed altri soggetti del medesimo sodalizio criminale, nel corso della quale, dopo aver ripreso il discorso circa il fatto di poter contare sul fatto che il genitore di Mililli avrebbe denunciato la scomparsa del figlio solo quando loro gli avrebbero detto che fosse il momento opportuno e che, interrogato dalla Polizia, si sarebbe attenuto a riferire solo quanto con loro concordato, facendo delle ennesime supposizioni sul motivo della scomparsa Domenico Calcagno affermava testualmente: “…se lo sono venduti, hai capito? Digli di fare la denuncia”.
Si delineava il contrasto interno in atto, in seno all’organizzazione in cui militavano Giuseppe Mililli, Giovanni Minacapilli, gli stessi dialoganti ed altri sodali. Inoltre emergeva che Giovanni Minacapilli e Giuseppe Mililli, il primo rimasto vittima di un agguato mortale, avvenuto il 24.01.1998, e il secondo scomparso il 9 Febbraio successivo, avevano raggiunto posizioni di rilievo all’interno dell’associazione e, pertanto, la decisione dello loro eliminazione, sicuramente, era stata presa a livello di vertice dell’organizzazione mafiosa per arginare la loro ascesa al potere.
In considerazione di ciò, loro potevano solo prenderne atto e, non potendo fare diversamente, avrebbero solo dovuto attendere la riorganizzazione delle file e del nuovo referente provinciale, vista la soppressione del Melilli che – ricordavano – aveva loro assegnato il ruolo ricoperto nell’organizzazione criminale.
Effettivamente, la moglie ed il padre di Giuseppe Mililli, solo il 20 Febbraio 1998 sporgevano denuncia di scomparsa del loro congiunto, asserendo di non poter fornire alcuna indicazione utile in merito a tale evento.
Giovanni Minacapilli veniva indicato da collaboratori di giustizia dapprima quale semplice “avvicinato” e poi quale “uomo d’onore” della locale “famiglia” di “cosa nostra”, che aveva partecipato all’agguato commesso ad Enna ai danni di un soggetto di Assoro, detto “il bandito”, responsabile negli anni ‘96/’97 della zona della valle del Dittaino, prima dell’avvento di Mililli e Minacapilli. Tale tentato omicidio – sempre a dire del citato collaboratore di giustizia – si inquadrava nel contesto della contrapposizione all’epoca in atto nella “provincia” di Enna tra i fedelissimi di Giuseppe Madonia ed il gruppo capeggiato da Giovanni Mattiolo che aveva decretato l’atto omicidiario in quanto riteneva la vittima una spia del “clan” Madonia. L’agguato sarebbe stato eseguito materialmente da Giovanni Minacapilli e Giuseppe Mililli e la reazione del gruppo contrapposto non tardò ad arrivare: infatti, il 24 gennaio 1998, Minacapilli moriva vittima di un agguato ad Aidone e la medesima sorte toccava a Mililli il 10.02.1998.
Gli autori dell’omicidio ai danni di Giovanni Minacapilli sono stati individuati grazie anche alla collaborazione di altri pentiti, tutti di Enna.
Le conversazioni intercettate di cui si è parlato sopra tra i complici di Giuseppe Mililli coincidono quindi sostanzialmente con quanto riferito dai collaboranti che hanno fornito dichiarazioni sin dallo scorso 2009, con particolare riguardo:
– Al fatto che Giuseppe Mililli si era allontanato da Aidone in compagnia di Salvatore Siciliano da Mazzarino;
– Che aveva appuntamento con tale Aldo, che va compiutamente identificato in Gesualdo La Rocca inteso “Aldo”, nato a San Michele di Ganzaria (CT) il 09.04.1961, nipote del noto boss mafioso Francesco La Rocca, inteso “Ciccio”.
– Lo stesso Aldo, a dire di uno dei sodali all’organizzazione che aveva tentato di parlargli per attingere notizie, era irrintracciabile da diversi giorni.
– Al fatto che avesse appuntamento anche con tale Carmelo da Gela con il quale, a dire degli intercettati sopra indicati, era solito incontrarsi presso quel Centro. Infatti, come emerso da molteplici indagini, Carmelo era lo pseudonimo utilizzato dai complici di Daniele Emmanuello, e in particolare dalle persone più vicine che ne curavano e assicuravano la latitanza, per indicare lo stesso. Giuseppe Mililli aveva quindi appuntamento nei pressi di Gela proprio con Daniele Emmanuello, del quale certamente conosceva lo pseudonimo, avendo a sua volta coperto la latitanza in territorio di Enna, come riferito da uno dei recenti collaboranti.
– Alla presenza di un secondo personaggio che aveva accompagnato Giuseppe Mililli a Pietraperzia e quindi sul luogo dell’esiziale appuntamento con Aldo e Carmelo: soggetto sulla cui identificazione il Domenico Calcagno si angustiava nel corso della conversazione in argomento. Lo stesso va identificato in Francesco Ghianda nato a Mazzarino in data 11.01.1960, affiliato alla cosca di quel centro integrata in cosa nostra, attualmente detenuto per duplice omicidio, indicato come altro partecipante al delitto. Peraltro, Francesco Ghianda sarebbe personaggio storicamente legato anche a Gianfranco La Rocca, come riferito da altro collaboratore di giustizia. Gianfranco La Rocca va quindi identificato nel Gianfranco menzionato nelle conversazioni intercorrenti tra Domenico Calcagno ed altro soggetto, al quale quest’ultimo voleva rivolgersi in alternativa al La Rocca “Aldo”, per avere notizie sulla scomparsa di Giuseppe Mililli.
Nell’ottobre 2009, gli investigatori delle Squadre Mobili di Caltanissetta ed Enna procedevano da ispezione dei luoghi nella contrada Arcia, individuando la casa e il terreno presso il quale fu ucciso il Mililli.
– Altro collaboratore di giustizia riferiva che, nel 1998, egli rimase nascosto con altri complici per due giorni in una villetta, a Pietraperzia, in attesa di eseguire un omicidio. In quella circostanza incontrò, all’interno dell’immobile, anche un tale Giuseppe, che gli venne indicato quale responsabile della provincia di Enna. Aggiungeva che apprese successivamente dell’omicidio in danno di Giuseppe.
Ciò coincide con quanto riferito a Domenico Calcagno nel corso della conversazione intercettata in data 15 febbraio 1998 dalla Squadra Mobile di Enna, in particolare con riferimento alla notizia appresa da Giuseppe Anzallo, secondo cui Giuseppe Mililli, martedì 10 Febbraio 1998, era stato a Pietraperzia. Giuseppe Mililli quindi, accompagnato dai predetti Salvatore Siciliano e Francesco Ghianda, il 9 febbraio si era allontanato da Aidone e aveva pernottato nella villetta di Pietraperzia, dalla quale era ripartito il 10 febbraio per recarsi quella stessa sera alle 20,00 sul luogo del fatale appuntamento con Carmelo e Aldo.
L’omicidio di Giuseppe Mililli va quindi temporalmente stabilito alla data del 10 febbraio 1998.
Ad esito delle investigazioni, in data 23.10.2009 le citate Squadra Mobili presentavano alla Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, la C.N.R., con cui venivano deferiti 7 soggetti, appartenenti alle famiglie mafiose di cosa nostra operanti a Niscemi, Gela e Mazzarino (CL), nonché a San Michele di Ganzeria (CT), ritenuti responsabili dell’omicidio in danno di Giuseppe Mililli, “astro nascente” di cosa nostra della provincia di Enna, nonché della distruzione del suo cadavere.
Le indagini hanno consentito di accertare che i citati esponenti delle cosche mafiose di San Michele di Ganzaria, Gela, Niscemi e Mazzarino, diretti e coordinati da Gesualdo La Rocca e da Daniele Salvatore Emmanuello, al fine di contrastare l’ascesa in provincia di Enna di Giuseppe Mililli, figura emergente del panorama mafioso di quella provincia, lo attiravano con l’inganno in un casolare insistente nella contrada Arcia del territorio di Niscemi, ove lo uccidevano mediante strangolamento. Immediatamente dopo l’omicidio, i predetti distruggevano il cadavere della vittima dandolo alle fiamme all’interno di un fusto di carburante riempito con gasolio.
Le investigazioni, positivamente valutate dal Tribunale nisseno, consentivano di accertare che i delitti venivano consumati in data 10 febbraio 1998, secondo le modalità ed i partecipanti, sopra compiutamente delineati.