Giappone. Casa in legno di sette piani resiste a un sisma devastante

“Ottimo lavoro, è un giorno memorabile, questo progetto italiano è destinato a cambiare il modo di costruire le case in tutto il mondo”. Yoshimitsu Okada, tra i maggiori studiosi al mondo nel campo dei terremoti, è stato il primo a complimentarsi con il professor Ario Ceccotti, direttore dell’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree del Consiglio nazionale delle ricerche (Ivalsa-Cnr), nonché ‘papà’ di Sofie. La casa di legno di sette piani e alta 23,5 metri, realizzata nei laboratori Ivalsa-Cnr di San Michele all’Adige (Trento) grazie ad un progetto di ricerca finanziato dalla Provincia autonoma di Trento, ha resistito con successo al test antisismico considerato dai giapponesi il più distruttivo per le opere civili: la simulazione del terremoto di Kobe. Mai prima d’ora al mondo una struttura interamente di legno aveva resistito ad una simile forza d’urto, se si fa eccezione per la ‘sorella minore’ di Sofie a tre piani, che nel luglio 2006 aveva già superato i severi test giapponesi.
L’esperimento ha avuto luogo alle 14.30 ora locale (7.30 italiane), presso l’Istituto nazionale di ricerca di scienze terrestri e prevenzione disastri di Miki in Giappone. “Abbiamo lavorato in Italia”, spiega Ario Ceccotti, “tenendo presente gli standard giapponesi per un prodotto globale, perché siamo convinti che la ricerca applicata non possa che essere apertura verso il mondo, così come una buona idea non conosce confini”.
Il test è il risultato finale di studi e ricerche durate cinque anni, che hanno individuato nella combinazione di materiali e connessioni meccaniche del prodotto la tecnica costruttiva ideale contro i terremoti. Un’ipotesi inconcepibile fino a qualche tempo fa, se si pensa che le normative internazionali vietano le costruzioni di legno in zona sismica sopra i 7,5 metri di altezza. Almeno fino ad oggi.
Commenta l’assessore alla ricerca, programmazione e innovazione della Provincia di Trento, Gianluca Salvatori: “Il risultato ottenuto rappresenta per noi un punto di arrivo e allo stesso tempo di partenza. E’ un punto di arrivo in quanto brillante conclusione di un progetto di ricerca avanzata su un bene materiale, la casa, che tutti consideriamo tra i più importanti. Siamo stati in grado di invertire l’idea secondo cui non è possibile costruire case di legno in zone sismiche, con una tecnologia e un livello di sicurezza molto alti. In questo senso consideriamo i test di Miki il punto di partenza perché le persone possano beneficiare di questa innovazione”.
La tecnologia della casa Sofie (Sistema Costruttivo Fiemme: questo il nome del progetto) nasce da un forte legame con il territorio del Trentino ed è il prodotto di una filiera – dal bosco alla casa di legno – che sta incontrando l’interesse di molte aziende. E che dimostra definitivamente l’assoluta affidabilità e sicurezza del legno come materiale per l’edilizia, oltre al valore aggiunto in termini di comfort abitativo, economicità, risparmio energetico e rispetto per l’ambiente. Un nuovo modello di abitazione con standard certificati e in grado di garantire sicurezza: la casa di legno Ivalsa-Cnr infatti è anche anti-incendio e il modello di tre piani, dopo oltre un’ora di test del fuoco, ha conservato ancora intatte le sue proprietà meccaniche e inalterata la sua struttura.

A Miki, dopo la tragedia di Kobe (nel 1995 la terrà tremò per quasi 30 secondi, provocando quasi 6 mila morti), il governo giapponese ha realizzato il principale centro di sperimentazione antisismico del mondo, dove dal 2004 vengono testati centinaia di prototipi di abitazioni, ponti, palazzine e opere civili e industriali. La lista d’attesa per accedere all’E-Defence (questo il nome del laboratorio) e ottenere l’unica certificazione antisismica riconosciuta in tutto il mondo, dura anni: il prossimo anno la Colorado State University testerà una casa di legno di sei piani, ma questa volta gli italiani hanno battuto sul tempo e in altezza gli americani. E oggi, il professor John van de Lindt (capofila del progetto Usa) e Steve Pryor, dirigente di una multinazionale del settore edilizio, erano seduti in prima fila ad assistere al test della palazzina di legno italiana insieme con ricercatori e imprenditori di tutto il mondo: Stati Uniti, Canada, Colombia, India, Nuova Zelanda, Germania, Vietnam, Korea e Slovenia.

Fino ad ora, non esistono sistemi di allerta efficaci per prevedere la generazione di uno tsunami dopo un grande terremoto avvenuto in mare. Quando il terremoto avviene vicino alla costa si pone il difficile problema di allertare in tempi brevi la popolazione che vive nelle zone costiere. Una novità fondamentale arriva da una stazione abissale, “Geostar”, che è stata installata nel Golfo di Cadice, a oltre 3.200 metri di profondità, dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna (Ismar-Cnr), che coordina il progetto Nearest della Commissione Europea con la partecipazione tra gli altri dell’Istituto nazionale di vulcanologia e geofisica (Ingv), dell’Inaf e della Tecnomare-Eni S.p.A.. Questo progetto prevede di mettere i sensori direttamente sulle strutture a rischio e di monitorarle nel tempo avvalendosi di uno strumento di nuova concezione: lo ‘tsunamometro’.
“Lo ‘tsunamometro’ si basa su un doppio controllo del segnale sismico e di pressione e tiene conto dei movimenti del fondo del mare: rileva, misura e registra i cambiamenti che avvengono sul fondo ed è in grado di elaborare i dati per riconoscere variazioni di pressione dell’ordine del centimetro nella colonna d’acqua”, spiega Nevio Zitellini, direttore dell’Ismar-Cnr. “Lo studio dell’accoppiamento fra il moto del fondo del mare e la perturbazione della colonna d’acqua da esso generata è infatti una delle chiavi per comprendere l’irrisolto problema scientifico della generazione degli tsunami in seguito a forti terremoti”.
Il posizionamento di Geostar da parte della nave oceanografica Urania del Cnr è avvenuto su una gigantesca struttura geologica, larga circa 50 km e lunga circa 100, che agendo come una sorta di pistone di roccia può trasferire grandi quantità di energia alla colonna d’acqua, generando così un maremoto. Nel Golfo di Cadice sono state individuate le principali strutture sismotettoniche che potrebbero causare un terremoto tsunamigenico: il tratto di costa che si estende al di fuori delle Colonne d’Ercole nel 1755 fu devastato da un’onda di maremoto, generata dal più grande terremoto mai avvenuto in Europa occidentale di cui si ha memoria storica.
L’obiettivo è collocare i sensori direttamente sulla “sorgente” tettonica per monitorarne i movimenti e riconoscere immediatamente l’eventuale generazione di uno tsunami. “Le strutture tettoniche responsabili di tali eventi sono infatti molto vicine alla linea di costa, ponendo a tutto il Mediterraneo il drammatico problema di allertare in tempi brevi la popolazione”, ricorda Zitellini. Nel Golfo di Cadice, il tempo che intercorrerebbe tra la generazione di uno tsunami e il suo impatto sulle coste più vicine in Algarve è di soli 15 minuti. Per inviare l’allerta a terra in tempi brevi, l’osservatorio abissale è in collegamento acustico con una boa di superficie attrezzata e i segnali sono ricevuti, oltre che dai computer di controllo di Roma, Bologna e Venezia, dall’Istituto meteorologico di Lisbona, dal Centro di Geofisica di Granada e dal Consiglio nazionale per la ricerca scientifica di Rabat.
“Le tecniche di monitoraggio finora sviluppate dai paesi più sottoposti al rischio, quali Giappone e Stati Uniti, non sono direttamente applicabili a queste zone e, allo stato attuale delle nostre conoscenze, non siamo in grado di prevedere se dopo un grande terremoto avvenuto in mare si generi o no uno tsunami, come confermato anche dal recente sisma avvenuto in Perù, che nonostante l’elevata magnitudo non ha prodotto tsunami”.
Oltre che di questo ‘tsunamometro’ di nuova concezione, appositamente progettato e costruito per operare in zone di generazione di onde di tsunami e inviare messaggi automatici di allerta, la stazione Geostar è corredata di strumentazione geofisica (sismometro, idrofono, gravimetro) e oceanografica e può ricevere comandi da terra ed essere riprogrammata. “In mare tutto diventa estremamente complicato”, avverte Zitellini. “L’illuminazione a 3.000 metri di profondità è nulla e anche un riflettore molto potente garantisce pochi metri di visibilità. In acqua, poi, non è possibile trasmettere onde radio e i sistemi di posizionamento si devono avvalere di trasmissioni acustiche, esattamente come fanno le balene per comunicare tra loro”. Alla fine della missione l’osservatorio verrà recuperato da ‘Modus’ (MObile Docker for Underwater Sciences), un veicolo appositamente sviluppato dai colleghi tedeschi del Politecnico e dell’Università Tecnica di Berlino.
L’esperimento è un primo passo verso l’installazione di un osservatorio permanente nel golfo di Cadice, nodo della futura rete sottomarina Emso (European Multidisciplinary Seafloor Observatory), che la Comunità Europea intende sviluppare dall’Artico al Mediterraneo, fino al Mar Nero. Il progetto Nearest (Integrated observations from Near shore Sources of Tsunamis: towards an early warning system), http://nearest.bo.ismar.cnr.it/, finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma “Global Change and Ecosystems” e coordinato dall’Ismar-Cnr con la partecipazione dell’Ingv e di ricercatori e tecnici di Italia, Portogallo, Spagna, Francia, Germania e Marocco.

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redazione-vivienna