La Venere di Morgantina è arrivata in Italia

FINALMENTE A CASA! Benvenuta, Venere! O Demetra? O Persefone?

 

I video di ViviEnna

 

Finalmente sta per giungere il momento tanto atteso e agognato: la Venere fa ritorno a casa, al Museo Archeologico regionale di Aidone. Non poteva essere celebrato in modo migliore il compleanno dell’Italia.

 

 

Alle 12,30 l’aereo proveniente da Los Angeles con a bordo la statua della Dea è atterrato all’aeroporto di Fiumicino. La Venere e’ giunta a Roma divisa in sette casse, prese in consegna dagli uomini del Comando carabinieri Tutela patrimonio culturale, coordinati dal capitano Massimiliano Quaglierella, comandante della sezione archeologia del reparto operativo. Dopo le operazioni di dogana, domani saranno tolti i sigilli e iniziera’ il viaggio verso la Sicilia che si concludera’ sabato con l’arrivo ad Aidone. Accompagnata dal direttore del locale museo, Enrico Caruso, l’opera appena giunta in Sicilia sara’ portata nel Museo di Aidone dove è stato allestito uno spazio apposito. Il montaggio della Venere di Morgantina, comincerà lunedì prossimo e si concluderà entro giovedì. La notizia è stata data dal direttore del museo archeologico di Aidone, Enrico Caruso. “Sabato la Venere – spiega Caruso – sarà a Aidone, da lunedì partiranno le operazioni di montaggio. Contiamo di posizionare la statua nella sua sede definitiva in un paio di giorni, al massimo entro giovedì. A giugno – ha aggiunto Caruso – torneremo a Los Angeles perchè, nell’ambito degli scambi previsti dalla convenzione per la restituzione delle opere trafugate, porteremo negli Stati Uniti una collezione di oggetti provenienti da Morgantina che saranno collocati al posto della Venere nella sala degli Dei del museo californiano”.

 

 

Il dottore Caruso, è andato fino a Malibù a prenderla e l’ha scortata nel suo viaggio di ritorno. Dopo 23 anni dopodomani arriverà in sette casse, smembrata nei pezzi in cui, in modo delinquenziale, la ridussero i suoi rapitori. Ma, oltre ai tre pezzi, la cui giunzione è visibile anche dalle fotografie, sarà accompagnata da tutti i frammenti che non sono mai stati usati nell’assemblaggio operato per l’esposizione al Getty e dalla piattaforma antisismica sulla quale è stata esposta al Getty e che è stata costruita e personalizzata secondo criteri antisismici

 

FINALMENTE A CASA! Benvenuta, Venere! O Demetra? O Persefone?

 

È giunto il momento di conoscerla meglio! Sappiamo tutto del suo trafugamento e della vendita clandestina, del giallo delle indagini, delle battaglie combattute sia per stabilire il principio della restituzione che per riaverla in Aidone, nonostante tutto e tutti. Vale la pena approfondire la conoscenza “personale”, come si farebbe con un’amica che si rivede dopo tanto, tanto tempo! Non vediamo l’ora di poterla ammirare in tutta la sua magnificenza, da vicino e da ogni sua parte, tutti noi che abbiamo avuto la possibilità di vederla solo in fotografie, neppure tanto belle!

La statua di dea, comunemente chiamata di Venere di Malibù, dalla città californiana ove ha sede il museo Paul Getty che la ha ospitata dal 1988, o Venere di Morgantina dalla zona archeologica dove qualche anno prima i tombaroli l’avevano trovata, è alta 230 centimetri e rappresenta una divinità in posizione stante, ma, nel contempo, in un atteggiamento dinamico che le fa riempire di sé tutto lo spazio circostante. È una scultura acrolitica, o meglio pseudoacrolitica; il busto è scolpito in pietra calcarea, la testa, le mani e i piedi, invece, in fine marmo greco, forse marmo pario (nella tecnica puramente acrolitica sono invece le due teste, tre mani e tre piedi, delle statue di Demetra e Persefone, che i tombaroli trafugarono dal santuario di san Francesco Bisconti e che l’anno scorso sono state restituite al Museo di Aidone; il corpo era probabilmente in legno, o in altro materiale meno nobile, e poi riccamente vestito). Secondo il professore Clemente Marconi “malgrado lo smembramento, la dea resta uno splendido originale, uno dei migliori che si siano conservati della scultura greca classica dell’ultimo trentennio del V secolo”; l’artista, pur avendo realizzato l’opera in Sicilia, come ha dimostrato l’analisi petrografica, trasse ispirazione dalla scultura attica di scuola fidiaca che si sviluppò, tra il 420 e il 410 a.C., in Atene. Se ci sono abbastanza certezze rispetto all’epoca di produzione ed è possibile quindi procedere ad uno studio comparato con esemplari della statuaria contemporanea greca e siceliota, resta molta incertezza circa l’identificazione con una precisa divinità: Afrodite-Venere? Demetra-Cerere? Persefone-Proserpina?

Agli scavatori clandestini oltre ai delitti del trafugamento, dello smembramento del capolavoro al fine di occultarlo e trasportarlo, va imputato anche quello gravissimo di averci privato della possibilità di studiare sul sito uno dei massimi capolavori della scultura classica greca in Sicilia. L’ impossibilità di poter studiare il reperto nel suo ambiente naturale, la mancanza di quegli attributi (es. la fiaccola, la phiale, la Nike) che in genere accompagnano le statue delle divinità nel loro ritrovamento, hanno reso difficile, se non impossibile, l’identificazione che quindi si può basare principalmente sulle caratteristiche fisiche e sul costume indossato dalla dea. Infatti, la presenza del chitone e dell’imation, peculiari nella rappresentazione statuaria di Afrodite, avevano fatto propendere per questa ipotesi, al punto che l’appellativo di Venere o Afrodite è divenuto ormai emblematico della dea e della complessa vicenda del ritrovamento e della restituzione. Da parte degli studiosi di iconografia si è fatto però notare che nella nostra statua la spalla è coperta; in genere, infatti, le statue di Venere presentano la spalla o addirittura il seno scoperto, evocante la sensualità propria della dea dell’amore.

Il professore Antonio Giuliano in un ormai famoso e suggestivo articolo dal titolo “Signum Cereris” (1993) propende per l’identificazione con Demetra, il cui culto era molto praticato in tutta la Sicilia e nell’ennese in particolare. A supporto della sua tesi porta due prove di grande interesse: a) la testimonianza di Cicerone che, nelle Verrine, descrive la statua marmorea di Demetra-Cerere, “bellissima e molto grande”, che aveva visto ad Enna, e che stava davanti al tempio di Cerere in un luogo aperto e spazioso; b) la divinità rappresentata in alcune monete ellenistiche di bronzo, provenienti da Enna ma conservate a Berlino, in cui la dea è vestita di una lunga tunica (chitone) ricoperta dall’imation (mantello) mentre sorregge in una mano una Nike e nell’altra una fiaccola. La fiaccola e la Nike sono attributi di Cerere, ma nella iconografia classica la dea delle messi veniva distinta dalla figlia Persefone attraverso l’abbigliamento: a lei era attribuito il peplo e l’imation alla figlia il chitone e l’imation.

Clemente Marconi propende, invece, per l’identificazione con Persefone, la giovane figlia di Demetra, rapita da Plutone dio dell’Ade mentre passeggiava sulle sponde del lago di Pergusa, cercata a lungo e disperatamente dalla madre e infine destinata a trascorrere metà dell’anno con il marito sottoterra e gli altri sei mesi con la madre sulla terra. Ne sono testimonianza, oltre all’abbigliamento, i tratti giovanili e delicati del volto, la forma della mano e la posizione delle dita che non potrebbero stringere una fiaccola o sorreggere la statuetta della Nike (attributi di Demetra), ma potrebbero benissimo tenere in mano la phiale (la patera che si usava per le libagioni) con cui Proserpina veniva spesso rappresentata nell’atto di libare. Ma oggi, chiunque essa sia, la ammireremo per la sua oggettiva bellezza; in questi anni ha attratto nel museo americano milioni e milioni di visitatori, speriamo solo che la sua fortuna continui e che la sua fama sfiori anche i luoghi da cui è partita e in cui sta facendo ritorno.

 

Franca Ciantia

 

 

 

VENERE: LA SCHEDA; DAL RITROVAMENTO, AL FURTO, AL RITORNO

 

La “Afrodite” o Venere di Morgantina fu trafugata nel sito archeologico nei pressi di Aidone (En), tra il 1970 e il 1980, verosimilmente in localita’ San Francesco Bisconti, area contrassegnata dalla presenza di sacelli arcaici (piccole aree recintate e senza coperture, situate intorno ad un altare) e da rinvenimenti di frammenti di statue in terracotta a grandezza naturale. Agli inizi degli anni ’80 la statua, tranciata in tra parti, fu venduta dal ricettatore ticinese Renzo Canavesi al londinese Robin Symes, che nel 1986 la rivendette al Paul Getty Museum.

L’accordo siglato a Roma, il 25 settembre del 2007, tra il ministero dei Beni Culturali, l’assessorato dei Beni culturali della Sicilia e il Getty ha concluso la lunga e complessa vicenda giudiziaria e diplomatica. Il museo americano ha riconosciuto la fondatezza dell’azione del Governo italiano grazie anche alle analisi che hanno dimostrato che il tufo dal quale la statua e’ stata ricavata proviene dall’area archeologica del fiume Irminio.

La Venere e’ alta 2,20 metri e si presenta con il corpo panneggiato e con tracce di pigmenti rossi, blu e rosa. Per le parti nude del corpo – viso e braccia – e’ stato utilizzato marmo bianco dell’isola di Paro.

Per l’uso di diversi materiali, la tecnica utilizzata e’ la “pseudo-acrolitica”, gia’ sperimentata in Magna Grecia e soprattutto in Sicilia, anche per la realizzazione delle metope del tempio E di Selinunte (450 a.C.)

Il rendimento del corpo e del panneggio rivela profonde influenze dello “stile ricco” e potrebbe essere stata scolpita in Sicilia da un artista attico della cerchia di Fidia. Essendo lavorata da tutti i lati la statua fu realizzata per essere esposta al centro di un ambiente, a tutt’oggi non identificato. Il confronto piu’ immediato con la Venere e’ quello con un’Afrodite dell’Agora’ di Atene (circa 410 a.C.) e tuttavia, dopo l’identificazione della statua, da parte degli esperti del Getty Museum come “Probably Afrodite” gli studiosi hanno riconosciuto in essa Demetra o Kore.