Caritas Diocesana Piazza Armerina. Giornata solidarietà: Carestia nel Corno d’Africa

Piazza Armerina. Un invito da parte del vice Direttore Caritas della Diocesi armerina, ins. Irene Scordi, in occasione della giornata di solidarietà “CARESTIA NEL CORNO D’AFRICA” che invita ad aderire alla colletta nazionale di domenica 18 settembre:
Non possiamo ignorare la peggiore carestia degli ultimi 60 anni che sta colpendo la Somalia, il Kenia, il Gibut, l’Etiopia, l’Eritrea, e ancor di più Uganda, Tanzania e Sud Sudan.
La situazione peggiora giorno per giorno, in alcuni luoghi scarseggiano viveri e benzina, manca l’elettricità e diventa difficile conservare i pochi viveri che ci sono, di conseguenza i prezzi subiscono notevoli aumenti rendendo ancora più difficile la vita. Nelle zone più colpite la situazione è particolarmente critica, si registrano numerosi morti, casi di conflitti e violenze per l’accaparramento delle poche risorse.
La chiesa locale, dove possibile, con il supporto di Caritas Italiana, delle caritas locali e operatori umanitari stanno cercando di affrontare l’emergenza distribuendo acqua potabile, generi alimentari altamente nutritivi, medicine e prodotti igienici.
Si stanno avviando anche progetti per la ripresa locale in ambito agricolo-rurale, assistenza alla popolazione con alimenti per bambini sotto i 5 anni, a donne incinte e in allattamento, ma tutto ciò non è sufficiente e come sottolinea mons. Nozza, direttore di Caritas Italiana, ”occorre intensificare gli sforzi soprattutto in quelle aree della Somalia del Sud, la zona più problematica, dove non vengono garantiti corridoi umanitari che permettono di raggiungere la popolazione”.
In condivisione con il nostro vescovo, accogliamo l’appello della CEI che ha lanciato una colletta nazionale per domenica 18 settembre 2011, attraverso la quale chiunque può esprimere la propria solidarietà per i nostri fratelli che vivono situazioni così drammatiche.
I contributi possono essere versati alla Caritas Diocesana via V. Emanuele 39 c.c.p. n° 10156941, con la causale “Carestia Corno d’Africa”
Quanti li vogliono versare direttamente a Caritas Italiana, mettendo sempre la causale, saremo lieti averne comunicazione facendo pervenire fotocopia del versamento, perché si abbia cognizione dell’entità espressa dalla nostra diocesi.

LA CARESTIA D’AFRICA, IL NOSTRO IMPEGNO MA I POVERI HANNO RAGIONE – GIULIO ALBANESE
Mentre i Grandi della Terra seguono con grande apprensione l’evolversi della crisi che a­tanaglia i mercati finanziari di mezzo mondo, nel Corno d’Africa si continua a morire. Lunedì scorso le Nazioni Unite hanno fatto sapere che l’emergenza umanitaria in Somalia sta ormai interessando anche la regione meridionale di Bay. Si parla di almeno altre 750mila persone a rischio di morte per inedia e pandemie. Un popolo ridotto allo stremo che si va a aggiungere agli oltre 12 milioni di uomini e di donne a gravissimo rischio di denutrizione letale nell’intera regione. Da rilevare che la zona di Bay è sotto il controllo degli al-Shabaab, le famigerate formazioni jihadiste che da tempo seminano morte e distruzione, opponendosi stre­nuamente al governo federale di transizione insediato nella capitale, Mogadiscio.
Di fronte a questo scenario apocalittico, è davvero raccapricciante pensare che la sofferenza di così tanta gente innocente sia paradossalmente finita nel dimenticatoio anche a causa del disinteresse d a parte qualche significativa eccezione – del sistema dei mass media, soprattutto qui in Italia. Giornali, radio e tv sono così preoccupati di raccontare i saliscendi dei listini di borsa e il faticoso definirsi della manovra finanziaria aggiuntiva da 45 miliardi di euro da non trovare spazio per l’immane tragedia umana che si sta consumando in terra d’Africa. Per carità, l’altra attenzione è motivatissima, ma certo tenace ‘oscuramento’ della grande carestia è e resta incomprensibile. Sta di fatto che il dispiegamento della task force umanitaria allestita nel Corno dalla comunità internazionale non dispone ancora oggi delle risorse necessarie per garantire la sopravvivenza d’intere popolazioni.
Come al solito, le responsabilità sono trasversali e riguardano l’intero consesso delle nazioni. E sì, perché se da una parte è evidente che la Somalia rappresenta la linea di faglia tra opposti interessi geostrategici, legati – almeno in parte – al controllo delle immense fonti energetiche presenti nel sottosuolo (che vanno dal petrolio al gas naturale fino all’uranio), vi sono anche altre negligenze che coinvolgono le classi dirigenti locali (troppo spesso assetate di denaro) e di certi grandi benefattori o presunti tali. Nell’arco degli ultimi sessant’anni, questi signori, denominati provocatoriamente Lords of poverty (‘Signori della povertà’), da Graham Hancock, grande firma del giornalismo anglosassone, anziché promuovere una cooperazione allo sviluppo che tenesse conto degli effettivi bisogni del territorio, hanno risposto alle cicliche calamità climatiche, poco importa che si trattasse di siccità o inondazioni, promuovendo interventi d’emergenza con modalità che hanno finito per acuire a dismisura la dipendenza delle popolazioni africane dagli aiuti stranieri.
Ecco perché la colletta promossa per domenica 18 settembre dalla presidenza della Conferenza episcopale italiana, in risposta all’accorato appello di Benedetto XVI, va vista come un gesto di solidarietà fattiva dalla duplice valenza spirituale e materiale.
Ma anche e soprattutto come un invito rivolto ai capi delle nazioni e più in generale all’opinione pubblica a sentirsi corresponsabili del «bene comune» dei popoli. A questo proposito va ricordato che la Fao, l’organizzazione Onu delegata alle politiche agricole e alimentari, aveva chiesto a metà agosto, 2,4 miliardi di dollari per risolvere la crisi umanitaria con soluzioni per il breve e lungo periodo. Finora, purtroppo, è stato stanziato solo poco più di un miliardo di dollari. E dire che la spesa bellica dei soli Stati Uniti dopo l’11 Settembre di dieci anni fa è costata complessivamente oltre 4mila miliardi di dollari secondo i da­ti forniti dall’Istituto di studi internazionali della Brown University di New York. Tutto denaro preso in buona parte in prestito da banche o da organismi internazionali a cui vanno aggiunti altri 200 miliardi di dollari per il pagamento degli interessi. Le ragioni che hanno determinato gli interventi armati internazionali degli ultimi anni – dalla Bosnia al Kosovo, dall’Iraq, all’Afghanistan e alla recentissima crisi libica – sono le più diverse. Non sempre comparabili tra loro e non sempre coincidenti con i princìpi dell’Onu. Ma, alla luce dell’illuminato Magistero sociale della Chiesa, è chiaro che la miglior forma di deterrenza contro l’ingiustizia e la sopraffazione è la promozione dello sviluppo dei popoli non certo il perpetuarsi delle logiche di guerra. Utopia si dirà, eppure sono i poveri a chiederlo. E la gelida realtà dei numeri dice che hanno ragione.