Il Venerdi Santo a Gagliano ricchezza di tradizioni popolari tramandate di generazione in generazione

Gagliano. Il Venerdì Santo a Gagliano è il giorno più toccante ed intenso del rito pasquale e non ha nulla da invidiare alle più rinomate tradizioni religiose siciliane, per l’intensità d’emozione che riesce a trasmettere e per la ricchezza delle tradizioni popolari tramandate di generazione in generazione. Ogni anno il rito si ripete, identico e suggestivo, con i suoi quattro simulacri che rappresentano i diversi momenti della Passione: la flagellazione, con il Cristo alla colonna, dallo sguardo attonito e terrificante; la crocifissione, con un imponente Cristo in croce, il cui corpo emaciato, col costato trafitto, si abbandona alla volontà di Dio; la deposizione, con il Cristo nell’urna di vetro, ricoperto di fiori; e poi la Madonna Addolorata, con il volto cereo e distrutto dal dolore, attraversato da una lacrima, mentre, avvolta nel suo mantello nero, reca in mano un fazzoletto bianco e una spada le trafigge il cuore. A rendere ancora più drammatica l’immagine della Madonna è l’antico canto, lamentoso e straziante, dei cantori del Popolomeo. Fino a qualche anno fa solo i più anziani custodivano questo prezioso tesoro. Ultimamente, però, alcuni giovani hanno riscoperto l’importanza della tradizione centenaria e si sono accostati ai più anziani, per tramandare e custodire questa ricchezza di origine popolare. Circa un mese e mezzo prima del Venerdì Santo il gruppo di cantori comincia a provare i due canti: “Cianci, cianci Maria” e “La Simana Santa”, cantati a squarciagola dalla prima voce che intona il verso e dalle altre voci che rispondono, simulando il pianto di dolore. Durante l’esecuzione dei canti è impossibile comprendere il significato delle parole, perché le sillabe vengono allungate, tanto da sembrare solo lamenti e pianto.
Tutta la processione, aperta dalle confraternite, recanti una bandiera nera, e da un tamburo che colpisce a suon di morte, è un intreccio di lamenti, luci e sensazioni da brivido. I simulacri di Cristo, portati a spalla dai giovani, sono accompagnati da uomini e donne che cantano “perdono”, mentre coloro che portano il Crocifisso gridano: “Viva la Misericordia di Dio”. Solo da pochi anni si è riscoperta la tradizione dell’abito. L’originale prevedeva una tunica, una mantella e un lungo copricapo, come quello che viene indossato dai portatori della Madonna. Quest’anno, per la prima volta, anche i portantini dell’urna (confraternita del Santissimo Sacramento), hanno sfoggiato le tuniche bianche con mantella e copricapo dorati, per uniformarsi agli altri gruppi, che indossano mantelle rosse (per la Madonna), bordeaux (per il Crocifisso) e celesti (per il Cristo alla colonna).

Valentina La Ferrera