Settimana Santa. Enna: I canti popolari nella processione del Venerdì Santo

Il repertorio dei canti religiosi della Settimana Santa, da quanto è emerso dalla ricerca, utilizza maggiormente testi dialettali. I contesti esecutivi di essi riguardano sia l’area pubblica sia quella domestica. Per area pubblica s’intendano le strade, le chiese; esecutori sono sia gli uomini che le donne. L’area domestica è la casa, dove principalmente le donne eseguono i canti dialettali da sole o in coro destinandoli all’ascolto dei familiari e amici e spesso ha forma prettamente privata. Il repertorio maschile è costituito da brani polivocali ad una, a due o tre voci con accompagnamento ad accordo. Monodici sono invece i canti eseguiti dalle donne ed assumono anche forme di orazioni recitate nell’ambiente domestico. Gli argomenti religiosi contenuti nei canti provengono dai Vangeli della Chiesa ufficiale e da quelli apocrifi e sono ispirati ai temi della Passione e morte di Gesù e del lamento della Vergine Maria. I lamenti appartengono alle forme delle “storie”. Essi sono in ottave o in terzine di endecasillabi, il cui tema ricorrente, anche nella stragrande maggioranza dei lamenti rilevati nel nostro territorio, ha questa sequenza:
a) il distacco della Madonna dal figlio che è catturato dai Giudei;
b) la cerca di Maria, il suo incontro con San Giovanni, il contrasto con il fabbro che prepara gli strumenti della crocifissione;
c) il pianto inconsolabile della Vergine ai piedi della croce.
La forma dei brani è spesso dialogata ed il linguaggio poetico esprime immagini, aspirazioni e sentimenti tipici dell’anima popolare. In alcuni casi, (vedi “Li Vintiquattrura” di Aidone, Piazza Armerina e Barrafranca), sono narrati ora per ora. I testi dialettali che narrano ora per ora la sequenza degli eventi che portano alla morte e resurrezione di Gesù. Suggestiva è l’espressione gestuale che accompagna i lamenti.
 
I testi latini adottati dal popolo nel periodo quaresimale, erano molto ricorrenti nel nostro territorio (l’uso del verbo al passato è d’obbligo dal momento che oggi solo pochi di essi vengono utilizzati).
Il popule meus è il canto più in uso, sia nella versione in latino corrotta da forme dialettali, che in italiano, vedi “Popolo mio”di Valguarnera. Denominato in gergo populo mei, populo me, o populo meo, proviene dal repertorio ufficiale della Chiesa, così pure lo Stabat Mater, il Salve Regina, Vexilla Regis, il Miserere. Era eseguito durante il periodo della Quaresima ed in particolare il Venerdì Santo.
Fa parte degli Improperia, quei lamenti, cioè, che il Cristo rivolge al popolo Giudaico per avergli inflitto le sofferenze della flagellazione e l’agonia sulla croce, irriconoscenti dei suoi benefici.
Riguardo la provenienza del testo, gli studiosi sono concordi nell’affermare che esso derivi dall’apocrifo di Esdra, composto intorno al sesto secolo, fattoci pervenire dalla chiesa di Gerusalemme. Di solito i cantori ricorrono ai testi latini come il Popule meus e lo Stabat Mater, soprattutto nei momenti più importanti dei rituali della Settimana Santa, perché ritenuti più adatti alla solennità richiesta. Del popule meus, si eseguono i primi trequattro versi che sono riproposti più volte, ad eccezione del canto rilevato a Valguarnera, interpretato in forma più completa nella traduzione “italiana”.
Peculiarità della cultura popolare tradizionale è la tendenza a manipolare, reinterpretare, apportare delle varianti ai testi originali. Ecco due significativi esempi: Il Miserere (salmo 50) registrato a Nicosia negli anni 70 è un esempio di reinterpretazione e manipolazione del testo originale. Presentiamo qui le trascrizioni del lamento interpretato da due gruppi di cantori diversi:
 
MISERERE

Esecuzione vocale maschile:prima voce solista, Michele Gentile (1898), denominatto ciappitta, seconda voce, Carmelo Cardella, denominato u rizzu; coro, Pietro Gentile (1892), denominato ciappitta, Brex Sigismondo (1908), denominato ruvulu.(Mancano i nominativi degli altri coristi).
Registrazione: Sigismondo Castrogiovanni. Il testo è riportato così come lo ha trascritto Michele Gentile.

Miserere madeo secondo magno misericordia
in tua.
Alompiaso lava me boniquitate mea
e di peccato mica sempre
ama niquitate di mio
condognosco di peccato mica sempre
tibe solo peccato mala quaranta fece
iuste vicendo e ti salvare vistui
vita scognodicare in tua
e di concetta sua
e di concetta sua somata emea.
O cene veritate delle siste
certo separche sapienziam tua
manifestate emite
specie miedabolo Giuseppe bandabolo
che di navbolo sopra di lavabolo
odito mio dabolo gaude di Michele Tizio
che ti saltavi in tuo somaliate
averte faci in tua pecana mea
caro mondo che aviti in adeo
spirito re de nobrisces meo.
Spirito santo nanfaroso meo
de la beata convertente
mia degna a benigno d’ogni bona volontate
tu sia
inconcitabile sacrificio iustizia
orazione sopra l’altare confitoloso.

Miserere
Miserere madeo secondo magno di misericordia
tua
Secondo molti tua della misericordia tua
e della iniquitate mea alampiusa
lampa mea bonifestate meco
e di peccato mea,
caro mundo criavono deo
o mia iniquitate meo concognosco
e di peccato contro Michele
e tubi sole peccato mei,
caromundo creavono deo
spirito ciriesumeo
salvare vistui e vita scognodicare
o cene mia veritate e di concetta sua
e di concetta non sua e somatre mea,
oceneveritate donde l’esiste
certo sepolca sapienza tua
bonifestate amico sperci
mia domine Giuseppe
bondabile che dell’avabile
sopra lavabile odita mia,
dabile gao di Michele tizio
e di solteventua semoliate iniquitate mea
e di caro mundo, creavano deo e spirito re.
Ciriunsumea alampiusa lampa mea
e facin tua spirito santo manfaroso meo,
re di Michele Tizio soltevintua semuliato.
Spirito principale conferma
o dolce misericordia sua
e della beata convertente libera madeo.
Sanguinoso salute mea
di lingua mea e di giustizia tua.
Domine lampiusa lampa mea
dell’annunziata laudantora o mio sarvoista
Salute quel collocaste non delle taberi,
sacrificio spirito santo.
Cari contribulanti cari contributo
sumiliato non delle visceri.
Benigna di chi domine,
ogni buona volontate tutta sia insufficiendo.
Maria, Gerusalemme dunque
abolì ingiustizia tua con l’azione sopra
L’altare non fitta loso.

Miserere – Testo ufficiale
1. Miserére, mei Déus, secùndum màgnam
misericòrdiam tùam.
2. Et secùndum multitùdinem miseratiònum
tuarùm, déle iniquitàtem meam.
3. Amplius làva me ab iniquitàtem méa: et a
peccàto méo munda me.
4. Quòniam iniquitàtem méam égo cognosco:
et peccàtum meum contra me est
sémper.
5. Tibi soli peccavi, et malum coram te féci:
ut justificéris in sermonibus tuis, et vincas
cum judicaris.
6. Ecce enim in iniquitatibus conceptus
sum: et in peccatis concépit me mater
mea…..

BATTI MATRI – Stabat Mater
Rilevamento:Assoro 23.01.1994 – Esecuzione vocale: prima voce solista, Nunzio Rondinella (1924), seconda voce solista, Armenio Giuseppe (1927), coro, Santo Piro (1949), Mario Di Marco (1930) Giovanni Bruno (1929), Angelo la Blunda (1926), Salvatore Childo (1930), Angelo Mazza (1929), basso, Sebastiano Sofia (1950). Lo Stabat Mater, rilevato ad Assoro, proviene dalla liturgia ufficiale della Chiesa. Il testo poetico, attribuito a Jacopone da Todi, rievoca il dolore struggente della Madonna ai piedi della croce.

Stava Batti Matri dolorosa
Iuxta Crocella lacrimòsa
comu pentébbati filiu
comu pentébbati filiu.
U cami tristi edi afflìtta
Matre mi Cristo benedétta
Co Matre donnigenito.
Cui settimo cui nonbleo Matre Criste
Di fidéli com tandu suppliziòne?
Cui non pote contristàre Cristo
Sedi Matre contemplàre doilenio eccomu
Filiu?
Quantu corpu muritùra, fache undi anima
Condinitura paradìsu e gloria am.

Se ne stava la Madre addolorata in lacrime vicino alla croce, da cui pendeva il Figlio. O quando era triste e afflitta la Madre benedetta dell’unico suo Figlio! Chi non piangerebbe al vedere la Madre di Cristo in tanto dolore? Chi non sente pena al contemplare la Madre di Cristo che soffre con il Figlio?
Allorché se ne morrà il corpo, fa che all’anima sia donata la gloria del paradiso. Amen.

Il testo corrisponde ai seguenti versi liturgici:

Stabat Mater dolorosa
Iuxta Crucem lacrimosa,
dum pendébat Filius.
O quam tristis et afflicta
Fuit illa benedìcta
Mater Unigeniti!
Quis est homo, qui non fleret,
Matrem Christi si videret
in tanto supplicio?
Quis non posset contristari,
Christi Matrem contemplari
dolentem cum Fìlio?
Quando corpus morietur,
fac, ut animae donetur paradisi gloria.
Amen.

Nella cultura musicale di tradizione orale, la provincia di Enna si segnala come una delle aree più conservative e di maggiore interesse etnomusicologico, sia per l’importante polivocalità (sacra e profana), sia per l’esistenza in vita di bravi esecutori strumentali e vocali. Gli esiti della ricerca, condotta in quasi tutti i comuni della provincia, dimostrano come questo patrimonio musicale sia oggi solo in parte vitale. In questo lavoro si è cercato di documentare il più possibile le diverse formalizzazioni musicali in cui questo patrimonio si esprime, inquadrandone il contesto da un punto di vista etnoantropologico. Si è cercato, inoltre, di registrare ogni documento in situazioni funzionali. Nei casi in cui la disgregazione dei fattori socio-culturali del mondo contadino non ha permesso il perpetuarsi della tradizione, si è fatto ricorso a quello che è ancora vivo nella memoria degli anziani.
I canti religiosi adottati dal popolo, furono quasi sempre contrastati ed ostacolati dalla Chiesa perché non conformi all’ortodossia cattolica. Il modello esecutivo dei canti popolari sulla passione e morte di Gesù, ad esempio, alla chiarezza dei testi clericali predilige le escursioni virtuose dei solisti, con tendenza a distorcere marcatamente le parole, rendendole incomprensibili. In essi, inoltre, generalmente permangono concezioni religiose non condivise dalla Chiesa e ritenute oramai superate. La Chiesa non poté frenare il manifestarsi delle espressioni specificatamente popolari e alla fine li accettò in seno alla propria organizzazione. I canti, così pure i riti delle principali ricorrenze religiose (Natale, Pasqua, Santo Patrono ecc.), furono distinti in liturgici e paraliturgici: i primi furono definiti giuridicamente preghiera pubblica ufficiale della chiesa, i secondi manifestazioni altrettanto valide dei sentimenti del popolo ma non ufficiali.
Nel Concilio di Trento (1545-1563), la Chiesa si pronunciò anche sui canti, vietando l’utilizzo della stragrande maggioranza di essi, consentendone, nella liturgia ufficiale, solo cinque: il Dies irae per la messa dei defunti, lo Stabat Mater per il Venerdì Santo, Victimae Paschali laudes per il giorno di Pasqua, Veni sancte Spiritus per la Pentecoste e Lauda Sion per il Corpus Domini.
Il processo di crisi irreversibili che ha interessato i canti religiosi di tradizione orale, non ha risparmiato di certo i lamenti denominati lamintanza o lamianti o lamintéri, eseguiti durante i giorni della Settimana Santa e, in alcuni casi, nel corso della Quaresima.

La festa della Pasqua rappresenta il momento centrale e culminante del mistero della redenzione, mistero intorno al quale ruota tutta la vita della comunità dei cristiani. L’attesa di quest’importante evento aveva un carattere di penitenza. Quaranta giorni prima della Resurrezione (tempo della Quaresima), infatti, si mortificava la carne per partecipare al digiuno che Cristo patì nel deserto come
recitano i Vangeli. L’inizio dei rituali penitenziali era annunciato dal tocco a mortorio delle campane che, a mezzanotte del martedì grasso, ultimo giorno di carnevale, metteva a tacere le feste, gli scherzi e le baldorie. Le confraternite e gruppi di devoti, già allo scoccare della mezzanotte, portavano in processione un crocifisso e percuotendosi intonavano dei canti denominati lamenti.
Il rituale ricorda verosimilmente le processioni dei Flagellanti e dei Battuti. Essi in occasione della peste in Sicilia (1347-1350), percorsero per lungo e largo l’isola in atto di penitenza, cantando il Miserere, le lodi alla Madonna e ai santi, flagellandosi con cordoni, fruste e portando catene ai piedi.
Gli isolani assimilarono molto bene tali rituali e al verificarsi di episodi infausti come siccità, carestia, peste, terremoti, davano luogo a cortei penitenziali. Appresero anche i canti sulla passione e morte di Cristo che erano appartenuti al repertorio dei Laudensi e dei Disciplinanti e che eseguivano durante la Quaresima e, in particolare, durante la Settimana Santa.
I rilevamenti effettuati sul campo dal 1990 al 1999 hanno permesso di accertare la presenza di un ampio repertorio musicale orale monodico e a più voci che, se ancora funzionale nei contesti liturgici e paraliturgici, è agonizzante, ed in molti comuni dell’Ennese scomparso del tutto.
Riguardo i canti polivocali ad accordo ancora in uso, si segnalano: brani in cui un solo solista esegue la melodia principale (vedi repertorio di Barrafranca), o più solisti si alternano durante l’esecuzione (vedi repertori di Gagliano Castelferrato, Aidone, Pietraperzia, Regalbuto, Piazza Armerina), e canti denominati bivocali, in cui intervengono contemporaneamente due voci soliste (repertori di Assoro, Cerami). In genere la squatra di lamintatùri è costituita da più di un solista, denominato di prima, accompagnati da un coro. La tecnica esecutiva è caratterizzata dall’emissione della voce dei solisti in modo sforzato, quasi gridato, dal prolungamento d’alcune note, in particolare le ultime, e da escursioni virtuosistiche vocali. Il coro, composto da un numero variabile di cantori, interviene all’unisono a rafforzare la nota finale della voce principale, mantenendola lunga e quasi in sottofondo. Talora si interrompe, per lasciare libero sfogo al virtuosismo del solista. Le altre voci sono denominate secunni, e/o terze, quarte, e/o bassi; il falsetto, in gergo faziettu, è la voce acuta che si sovrappone alla fine delle strofe, a quella del solista. La trasmissione dei canti, avveniva per imitazione. Dato l’alto indice d’analfabetismo, non erano utilizzati testi scritti. Nel corso delle registrazioni molti dei cantori intervistati hanno mostrato difficoltà a riferire i testi dei canti, specialmente quelli latini di cui ignoravano anche i contenuti.
Al di fuori dei contesti dei riti della Settimana Santa i lamenti erano eseguiti anche nei campi di lavoro, durante la mietitura, la raccolta dell’uva e delle olive e durante il lavoro in miniera.
L’esecuzione di essi, oggi, è affidata alla generazione dei più anziani che sono i depositari del modo di cantare e raramente sono affiancati dai giovani. Questi ultimi, infatti, si sentono estranei ai profondi sentimenti religiosi legati ai lamenti, anzi li considerano facenti parte di una realtà passata, espressione di arretratezza e povertà.
I pregiudizi, il disgregarsi delle componenti socio culturali e non ultimo il rinnovamento liturgico del Concilio Vaticano II, hanno contribuito inesorabilmente alla defunzionalizzazione e scomparsa di gran parte del repertorio religioso della Settimana Santa. Le marce funebri eseguite da gruppi bandistici fanno parte integrante del repertorio musicale del Venerdì Santo. Le composizioni caratterizzate da un andamento lento e solenne eseguite durante la processione del venerdì, sono le medesime che accompagnano i feretri dei defunti. I titoli dei suddetti brani suggeriscono “atmosfere strazianti e lugubri immagini”: Tutti dobbiamo morire, Pianto eterno, Dolore, I beccamorti, Cuore inabissato, Gelido bacio, Strazio, Delirio, Lacrime, Una lacrima sulla tomba di mia madre”. Lodi a Cristo, registrato a Barrafranca, è un brano singolare nel suo genere, sia in quanto è cantato e suonato dal gruppo bandistico, sia per quanto riguarda i modelli escutivi che non è in uso in altri comuni della provincia.

 

I canti popolari – I testi dialettali: by Pino Biondo

Foto

1972 i cantori delle lamentanze partecipano per l’ultima volta alla processione del Venerdì Santo ad Enna – Pasqua a Enna by Rino Realmuto

1972 Una volta c’erano pure i tamburini di Nicosia nella processione del Venerdì Santo – Pasqua a Enna by Rino Realmuto

 


Video del Centro Video Mediterraneo di Enna relativi alla Settimana Santa e la Pasqua ennese. Regia di Paolo Andolina

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