L’imbarazzante riforma delle Province in Sicilia

 

 

“Meno le persone sanno di come
vengono fatte le salsicce e le leggi
e meglio dormono la notte”

Ottone Von Bismarck

 

 

            Mentre l’anelito legislativo statale a un complessivo ridimensionamento dell’istituto provinciale sembra essersi arrestato, come affermato dalla Corte dei Conti della Lombardia lo scorso 13 febbraio 2013 con parere n. 44, dopo 48 lunghe ed appassionate ore di dibattito, l’Assemblea Regionale Siciliana ha avviato il riordino del proprio ente intermedio. Nell’articolo unico, composto da quattro commi, il legislatore regionale sospende il rinnovo elettorale degli organi di governo delle Province Regionali, già previsto per il prossimo mese di maggio, e rimanda ad una legge successiva, da approvare entro il successivo 31 dicembre 2013, la disciplina in ordine alla istituzione dei Liberi Consorzi di Comuni in sostituzione delle attuali Province Regionali.

            Ciò che emerge con evidenza all’occhio del lettore, rinviando ad altra data un esame più giuridico della questione, è la dilettantistica tecnica legislativa ancora una volta utilizzata dal legislatore siciliano. Non solo non vi è traccia di norme di coordinamento con la legge (speciale ed attuativa) istitutiva dei Liberi Consorzi di Comuni, denominati Province Regionali, n. 9/86, ma non vi è traccia neanche della precedente l.r. 8 marzo 2012 n. 14 attraverso la quale il medesimo legislatore aveva, appena un anno fa, già avviato il riordino dell’ente intermedio impegnandosi ad individuare con successiva legge, da approvare entro il trascorso 31 dicembre 2012, l’individuazione delle funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività dei Comuni e le modalità di elezione degli organi di governo.  

            A una norma di carattere programmatica varata con la l.r. n. 14/2012 la nuova A.R.S. risponde quindi con una nuova norma, anch’essa di carattere programmatico, che sposta esattamente le lancette dell’orologio di ulteriori 12 mesi per la definitiva approvazione della legge sul riordino dell’ente intermedio. Si lascia quindi all’interprete ed a tutti gli operatori istituzionali l’onere di applicare delle norme su una materia che, evidentemente, non trova una funzionale, sistematica ed ordinata disciplina nemmeno in fase programmatica.

            Un primo profilo d’incostituzionalità, che verosimilmente sarà scrutinato dal Commissario dello Stato Prefetto Aronica, concerne proprio la tempistica che l’A.R.S. si è data. Il rinvio di un anno operato dal legislatore regionale non sembra infatti condiviso dall’Avvocatura dello Stato, che già per il caso della consorella Regione a Statuto speciale Friuli-Venezia-Giulia ha sollevato, con ricorso del 21 maggio 2012, la questione di costituzionalità per un analogo rinvio temporale, ritenendo che “la competenza in materia di ordinamento degli enti locali non può infatti impedire l’esplicazione di una competenza tipicamente trasversale come il coordinamento della finanza pubblica statale e locale, considerato che l’ordinamento degli enti locali ha indubbio impatto sugli equilibri di tale finanza”. Dello stesso avviso sembra essere il Presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida secondo cui “Che i principi desumibili dall’art. 17 del d.l. n. 95 del 2012 valgono a vincolare anche le Regini a Statuto speciale, come è espressamente stabilito nell’art. 17, comma 5, non è dubbio. I principi sul riordino delle Province sono certamente idonei a costituire, al di là dell’autoqualificazione – norme fondamentali di riforma e/o principi generali dell’ordinamento, e quindi vincolare la potestà legislativa primaria delle stesse Regioni in tema di ordinamento degli enti locali e delle rispettive circoscrizioni…Infatti il riordino ha un ruolo di definizione dell’assetto fondamentale dell’ordinamento, che è ragionevole ritenere vincolante anche per le autonomie speciali”. La questione sarà comunque trattata dalla Corte Costituzionale assieme a quelle sollevata dalle Regioni a Statuto ordinario nell’udienza già fissata per il prossimo 19 giugno 2013.

            Rimandando alla lettura degli articoli “Dalle Province Regionali ai Liberi Consorzi di Comuni. Una scelta di politica emozionale” e “La temuta incostituzionalità della legge istitutiva delle Province Regionali in Sicilia”, pubblicati, tra gli altri, su  Forum di Quaderni Costituzionali e su Amministrazione in Cammino, l’approfondimento del controverso rapporto tra ente territoriale di governo (Provincia) ed ente consortile (Libero Consorzio di Comuni), l’altro argomento che merita una, pur sbrigativa osservazione, è quello concernente la programmata istituzione delle Città metropolitane contenuta nel 2° comma del citato articolo unico approvato dall’A.R.S..  

    Il 2° comma infatti prevede che con la legge da approvare entro il 31 dicembre 2013, la Regione provveda alla istituzione nel territorio della medesima delle Città metropolitane. Tale disposizione, ancorchè di carattere programmatico, presenta profili di incostituzionalità, atteso l’immediato ed elevato grado di vulnerabilità della stessa, in grado di ledere il sistema ordinamentale siciliano derivante dalla lettura dell’art. 15 dello Statuto siciliano. L’ordinamento degli enti locali, delineato dallo Statuto, a differenza dell’art. 114 della Costituzione non prevede infatti l’ente locale Città metropolitana. La previsione di siffatta istituzione, in assenza di una specifica copertura statutaria, ponendosi praeter legem, viola lo Statuto che, com’è noto, gode di rango costituzionale. A nulla rileva l’invito del legislatore statale operato attraverso l’art. 18 del d.l. n. 95 del 2012 secondo cui, “Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, nel rispetto degli statuti speciali, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano i propri ordinamenti alle disposizioni di cui al presente articolo, che costituiscono principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica”, atteso che la richiesta compatibilità della disposizione allo Statuto siciliano si pone quale limite insormontabile per una legge ordinaria, ancorchè a rilevanza finanziaria, qual è quella statale.   

In tale contesto, il legislatore siciliano sembra non avere fatto tesoro della sentenza della Corte Costituzionale n. 286/97 che nell’escludere l’ipotesi della costituzione di Città metropolitane in Sicilia quali enti territoriali di governo sub provinciali, ha ammesso la sola costituzione delle Aree metropolitane previste dall’art. 21 della l.r. n. 9/86. Nel modello siciliano, a Statuto invariato, il governo dell’Area metropolitana assume fisionomia prevalentemente funzionale, comportando un mero trasferimento di funzioni c.d. di area vasta dai Comuni alla Provincia Regionale, senza che ad esso si ricolleghi, così come invece accadeva ieri per la legge n. 142/90 e accade oggi per l’art. 18 del d.l. n. 95 del 2012, un riassetto istituzionale interno all’era medesima. Plausibilmente la differenza nominalistica tra “Area” e “Città” metropolitana discrimina anche la consistenza dell’istituzione, funzionale e di coordinamento la prima, territoriale e di governo la seconda.

Corollario di questa breve riflessione è che la volontà dell’Assemblea Regionale Siciliana di istituire le Città metropolitane di Catania, Messina e Palermo passa da una propedeutica modifica dello Statuto. Del resto, se le Provincie Regionali della l.r. n. 9/86 attraverso la novella normativa dell’ARS risultano implicitamente incostituzionali perché dotate anche di quell’autonomia politica di cui sono sprovvisti i Liberi Consorzi di Comuni, a fortiori sono affette da incostituzionalità le istituende Città metropolitane per violazione dell’art. 15 dello Statuto.    

Ci auguriamo che il tempo di riflessione richiesto dall’ARS per approvare la riforma dell’ente intermedio venga utilizzato per intavolare un ragionamento franco da pregiudizi emotivi (rectius grillini) e da imbarazzanti scelte di ingegneria costituzionale.

                                                                                                   Massimo Greco